Laura 2002

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Venticinque anni compiuti, studentessa universitaria, cinque anni e mezzo che studio e lavoro, venticinque ed oltre primi giorni di lavoro. Lavori di ogni tipo: assunzione diretta a tempo determinato, assunzione tramite agenzie interinali per brevi o brevissime missioni, collaborazioni coordinate e continuative, lavori come extra nella ristorazione, e fiere semplicemente in nero.

Ogni posto, una t-shirt. Le conservo tutte.

Il primo fra tutti i miei “primi giorni” è quello di cui conservo il ricordo più bello perchè ha rappresentato il mio affacciarmi, un po’ per gioco, al mondo del lavoro, della retribuzione; finalmente mi sentivo produttiva, un senso di soddisfazione che studiare a tempo pieno non mi aveva mai dato.

2000 - 2008 Le magliette di Laura

 

Gli altri sono stati tutti diversi e tutti uguali.

Diverso il contesto, i colleghi, il lavoro da svolgere.

Uguale lo spirito con cui mi avvicinavo alla nuova esperienza, consapevole del limitato spazio temporale che avrebbe avuto nella mia vita e con ben chiara in mente la regola aurea che quel che conta è la prima impressione: per una proroga del contratto, per essere richiamati dall’agenzia interinale…

Il primo giorno di lavoro richiede anche l’adattamento a un nuovo ambiente con i suoi equilibri umani e lavorativi precostituiti.

Tanti primi giorni, altrettanti adattamenti.

Ostaggio di un sistema ricattatorio indosso il mio sorriso migliore e ogni volta cerco di dare il meglio di me…

 2008 Laura durante il laboratorio teatrale "15 donne"

Hi-Fi

Un nuovo negozio di televisione, hi-fi, informatica, libri e dischi… alla sua inaugurazione non ero potuta mancare… Quasi per gioco avevo lasciato il mio curriculum durante il periodo natalizio, ed ecco che a fine maggio stavo facendo un colloquio: sostituzione maternità… Le mie esperienze erano praticamente zero, qualche cosa non in regola di cui avevo perfino paura a parlare, ma ricordo la tranquillità con cui ho affrontato il colloquio, certa che non sarei stata scelta… nel giro di pochi giorni, invece, sono stata assunta. Era un grosso negozio dove c’erano tante persone non più giovanissime, ex dipendenti del grande magazzino che c’era prima di questa multinazionale, io ero la più piccola… erano dolcissime con me, mi sentivo in un ambiente caldo, protetto…

Qualche sera dopo la mia “assunzione” ero al Liquid con un gruppo di ragazzi, mi chiedevano di quel che facevo nella vita, e con immensa soddisfazione mi ascoltavo rispondere «studio e lavoro». Rivedo ancora la scena e percepisco ancora la soddisfazione nel mio cuore.

Ma poi ci furono dei problemi all’interno del negozio, e io, rassicurata dalla rappresentante sindacale, decisi di iscrivermi al sindacato. Risultato? A pochi giorni dalla scadenza del contratto mi chiesero se volevo liquidare le ferie o farmele… Grazie e arrivederci insomma… E il sindacato? La signora che mi aveva fatto iscrivere era ormai in pensione, il nuovo delegato mi disse che non c’era nulla da fare…

Call center

Uffici, a tutti piace chiamarli così, non call center: spazi arredati modernamente, seguendo tutti gli standard della sicurezza sul lavoro, strumenti informatici all’avanguardia, locali per la ricreazione con distributore di snack, bevande, e un fusto di acqua a disposizione, una cassetta di frutta fresca una volta al giorno (col passare del tempo una volta a settimana), cucina con frigorifero, fornelli, microonde. Per entrare ai vari piani bisogna usare il badge. Ambiente che monta la testa a chi ha fatto altri lavori, c’è chi si crede arrivato.

Anche questo lavoro l’ho iniziato con lo spirito di chi è di passaggio, che ben apprezza un contratto di qualche mese, ma sa di poter aver altre alternative: un parcheggio, per studiare guadagnando quel che basta, per non dover chiedere nulla in casa, divertirsi e mettersi via qualcosa.

All’inizio non mi si chiedeva solo la quantità, c’era tempo e spazio per riflettere e proporre piccole soluzioni. Forse era solo la novità. Forse è stata un’illusione. Ad ogni modo è durata poco. Con il passaggio da lavoratrice interinale a dipendente della ditta, sono stata spostata sul lavoro on line, la caienna dei call centers.

Camaleonti

Centotrentatrè. Nelle giornate critiche anche 133 chiamate in 6 ore lorde, 5.5 ore al netto delle pause. Eccomi finita in una caricatura dell’inferno dantesco. Un camaleonte, questo bisogna essere per stare in un call center, bisogna essere giunti al vertice della catena evolutiva per il massimo dell’adattamento

Capaci di passare da un’attività on line (in cuffia) a una off-line (no cuffia) in ogni momento, slogarsi le dita delle mani (e il cervello) districandosi in quattro minuti tra vari programmi in modo da gestire anche il caso più complicato in poco tempo. Un lavoro alienante, costruito apparentemente secondo regole precise, ma in realtà posto sui loro incerti confini.

Era un piccolo microcosmo inglobante, che mirava a risucchiarti sempre di più, che sceglieva gli elementi giusti che erano indottrinati come cani, cani da guardia con 100 € in più sulla busta paga, col compito di sorvegliare.

Complimenti a chi li chiama ancora uffici: sono fabbriche, fabbriche del futuro. Ai miei amici che lavoravano in ILVA invidiavo la stanchezza fisica: la mia era mentale, lobotomizzante. Immaginarmi un futuro attaccata alla cuffia era assurdo…

L’agenzia interinale

Pressing psicologico. Ero diventata un elemento scomodo, di disturbo, incitavo colleghi e colleghe a far valere i propri diritti, facevo dell’appartenenza al sindacato una questione di modus vivendi, di filosofia di vita. Allora ecco la coach che fa il suo numero di circo, mi si affianca col cronometro: misura platealmente davanti a tutti i miei tempi, quando i minuti secondi di ogni nostra chiamata sono registrati dal sistema elettronico… Da lì la scelta di dare le dimissioni a fine estate proprio alla coach che mi aveva organizzato la festa: una soddisfazione immensa. Imperturbabile, io non lei. Ferma e decisa. Orgogliosa di me stessa. Poi dopo il call center ho lavorato alcuni mesi in una grande agenzia interinale. Un giorno il responsabile mi mette davanti un foglio: devo firmare di aver frequentato un corso di formazione, mai avvenuto… provo a obiettare, ma il “paterno” consiglio è di lasciar perdere … Aggravo la situazione decidendo di iscrivermi al sindacato… cosa altamente sconsigliata, a dire il vero: il foglio pre-compilato che mi mettono davanti contiene già una bella croce sul NO, che io trasformo in SI. Non mi hanno mai più richiamata per nessun lavoro. Attualmente commessa, uscita dalla mia intossicazione - alienazione da lavoro, dove sembra esserci solo questo e niente più.

2008 Laura e Luisa durante il laboratorio tetrale "15 donne"

Lo sportello 626

Sindacato SLC (nota: Sindacato dei Lavoratori della Comunicazione), CGIL, sportello 626… nonostante non fossi delegata sindacale, nel tempo libero partecipavo alle iniziative che mi venivano proposte.

Ho incontrato Paola. I miei racconti coloriti sulla sofferenza di lavorare in un call center. L’idea di un questionario. Gli incontri con i lavoratori. Le interviste a ruota libera dove non ho omesso nulla: i dati ci sono, non siamo deliranti, ci sono sintomi comuni!

La trasformazione del progetto, la presentazione al convegno, poi il libro con tanto di dati, spiegazioni…

e quella dedica proprio a me, Grifoncina, che mi ha commosso davvero…

Ne è valsa la pena lavorare per quasi diciannove mesi in un contact center!

I contratti sono precari, ma per me non è un problema, non vedo ancora la fine del mio percorso, anche se a 25 anni inizio ad avere l’ansia di non decidere troppo tardi cosa fare della mia vita, verso quale strada andare.

Attorno a me vedo fame di soldi più che di realizzazione personale. Alcuni giovani sono lo specchio di questa società mediatica dove apparire è più di essere. Possedere per sentirsi appagati.