Paola 1971                                                                                                                                                torna indietro

L'inizio

 

Non avevo fatto nessuna domanda. La lettera dell’Elsag mi arrivò a casa, del tutto inaspettata, nell’aprile del 1972. Io mi ero laureata in fisica nel luglio dell’anno precedente con un voto di laurea discreto ma non eclatante: 104/110, e stavo attendendo una borsa di studio del C.N.R. presso l’Istituto di Biofisica, dove avevo fatto la tesi. All’industria non ci pensavo proprio.

La lettera diceva – vado a memoria – che l’azienda aveva tratto il mio nome dall’elenco dei laureati dell’ultimo anno, e mi proponeva di presentarmi – questo lo ricordo benissimo – “con comodo tra le 7.30 e le 8 del mattino” per un colloquio. Per me era una lettera stupefacente che veniva da un mondo alieno. Andai con la convinzione che non ne avrei fatto niente. Mi accompagnò mio padre. Deve essere stata la prima volta o quasi che mi recavo a ponente, i miei percorsi si svolgevano all’epoca tra Albaro, dove abitavo, e San Martino, in Facoltà. Sicuramente è stata la prima volta che ho osservato, guardato, visto un paesaggio industriale. I depositi di gas bianchi e gialli tra la fine di Cornigliano e Sestri Ponente mi fecero una grande impressione, e ancora oggi li saluto mentalmente quando ci passo davanti. Una fabbrica però l’avevo già vista: era la Paragon Italia, occupata, c’ero andata con una rappresentanza degli studenti nel 1969, credo.

I colloqui furono due. Il primo tecnico, col mio futuro dirigente, Luigi Stringa. Deve essere andato bene, perché poi mi assunsero, ma non ne ricordo nulla. Il secondo psichico, caratteriale, attitudinale … con un dirigente più alto in grado che si chiamava Sparatore, e lo ricordo benissimo. Memorabile il passaggio in cui mi chiese “Come pensa di coniugare la natura sublime della donna con un lavoro così tecnico?”. Dopo questo approccio filosofico la seconda domanda fu molto più esplicita: “Lei è una giovane e bella dottoressa, intelligente, brillante… come reagirà quando tutti i giovani laureati maschi che assumeremo dopo di lei faranno carriera, mentre lei non la farà?”. Purtroppo non ricordo le mie risposte, seppure ne diedi. Anche queste, evidentemente, furono di gradimento.

Quanto a me, la concretezza spoglia di quel luogo di lavoro e di tutto quello che lo circondava, le cifre del guadagno mensile messe nero su bianco su un foglio di carta, la disciplina che avevo intravisto in quell’appuntamento fissato ad un’ora per me incredibile mi parvero un’ancora a cui aggrapparmi per uscire da una lunghissima adolescenza. Dissi di si lasciandomi alle spalle l’ambiente universitario.

La stanza aveva quattro scrivanie, la mia aveva la finestra alle spalle, poi c’era quella di un giovane capetto, e quelle di due colleghi. Il vetro della mia finestra aveva una incrinatura tamponata da una placca di alluminio che portava incise queste esatte parole: “lavorate in silenzio, perché chiacchierando si produce poco e male”. A metà mattina arrivò un carretto su ruote pilotato da un tipo un po’ strano che ci portò, sul posto, caffè e focaccia, da comprare. Dieci minuti, senza uscire dalla stanza, e poi di nuovo alla scrivania.

Tutti lavoravano effettivamente in silenzio. Mi sentii perduta.

Erano pochi giorni che lavoravo quando chiesi al mio “capetto”: senti voglio iscrivermi alla CGIL, come si fa? Io ero “di sinistra”, consideravo naturale, doveroso eccetera iscrivermi immediatamente alla CGIL. Il giovane ingegnere mi disse: … aspetta di aver superato il periodo di prova. Da questa raccomandazione capii qualcosa del contesto, e aspettai. Appena terminato il periodo di prova andai dal delegato di reparto, comunista, e gli dissi: ecco, ho finito la prova. Voglio iscrivermi alla CGIL. E lui mi disse: non si può. C’è la unità sindacale. Ci si iscrive alla FLM. Non si fanno più scelte di organizzazione. Allora non mi resi conto di quanto fosse eccezionale e preziosa quella “impossibilità”, ma proprio a Genova tra il 29 settembre e il 2 ottobre di quell’anno si era tenuta l’Assemblea nazionale dei delegati Fim, Fiom, Uilm, era stata approvata la piattaforma per il nuovo contratto di lavoro ed era stata costituita la FLM, il sindacato unitario dei metalmeccanici.

Ricordo la prima assemblea sindacale. Era di certo una assemblea di informazione sul contratto, e quando presi su per andarci sapevo benissimo che non era quello che ci si aspettava da me. Al ritorno nell’ufficio il dirigente mi disse, ah sei andata, bene. Che si diceva? Chi è intervenuto? Risposi che non ero andata per fare un rapporto, ma perché mi interessava.

Ricordo il primo corteo a cui partecipai. Iniziavano gli scioperi per il contratto. C’erano i lavoratori, gli operai, un mondo adulto. L’emozione fu molto forte.

Ad aprile del 1973 il contratto fu concluso. Ricordo che alla sera, dopo le 17.30, nel locale del Consiglio di Fabbrica, vicino alla portineria, si tenevano delle “lezioni” sul nuovo inquadramento professionale, “l’inquadramento unico operai impiegati”. Decine di lavoratori all’uscita del lavoro, anziché correre a casa, si fermavano per ascoltare, per discutere.

Quello stesso anno Mario Sottili, il nostro delegato di reparto andò a fare il sindacalista a tempo pieno, ed io accettai di candidarmi al suo posto.