Silvana 1997

Ragazza di 47 anni                                                                                                                                                       torna indietro

 

Era il 9 dicembre 1997 quando sono entrata in fabbrica la prima volta, “ragazza” di 47 anni 27 dei quali trascorsi negli uffici in centro città.

E’ stato come il primo giorno di lavoro, ma in un’Azienda a cui non avevo presentato domanda di lavoro.

Mi trovavo lì perché la Società dove ero occupata prima era stata fatta a pezzi ed uno di questi è toccato ad Ilva, poi Riva.

Lasciare la vecchia occupazione ed  i compagni di lavoro non è stato facile, così come essere catapultata in un’altra realtà, in un sito industriale di 2700 lavoratori, ma quanta solitudine!

Nessuno sembrava preoccuparsi che diritti dati per scontati fino ad allora venissero calpestati: diritto di sciopero e adesione al sindacato, diritto alla dignità della persona ed alla salute. E attorno un clima di intimidazione costante e da parte dei colleghi rassegnazione e assuefazione.

Il ritardo di un minuto veniva sanzionato con mezz’ora di ferie, l’orario elastico abolito. Partecipare alle assemblee ed allo sciopero non era gradito; quando la “Famiglia” arrivava un tam tam aziendale provvedeva ad avvisare tutti, non per il bene dei singoli dipendenti, ma per non rompere quell’armonia creata dalla “proprietà”.

La fabbrica come luogo di relazioni umane e di emancipazione diventava solo frutto di mie fantasie.

Tra operai ed impiegati un muro di confine invisibile pareva invalicabile.

Da sola sarei a malapena sopravvissuta. Ma parafrasando De Andrè: dal letame nascono i fior….

Succede che mi trovo a condividere, con altre tre colleghe, ideali e sentimenti; scopriamo un comune sentire e decidiamo di non avere più paura e di riappropriarci dei nostri diritti. Siamo in prima fila nelle manifestazioni sindacali durante gli scioperi, partecipiamo a tutte le assemblee di fabbrica e inaspettatamente ci sentiamo più forti ed in grado di affrontare con maggiore serenità le difficoltà quotidiane. Oggi siamo tutte in cassa integrazione ma quel legame di allora continua. 

La divisa: negli anni 80/90 con l’avvento dei Riva alle Acciaierie di Cornigliano (ma anche negli uffici di Milano in Viale Certosa) le lavoratrici hanno tutte la divisa, grigio topo scuro o blu, a seconda delle stagioni. C’è il tipo invernale ed il tipo estivo: giacca e gonna più camicetta a righe bianco/azzurra. Nell’elenco telefonico di Milano gli uomini sono in ordine alfabetico per cognome, le donne per nome.

Quando tutti gli uffici dell’Ilva di Via Corsica a fine 97 vengono trasferiti a Cornigliano, il Dirigente chiede “democraticamente” ad ogni donna: vuole la divisa? C’è una colonna per il SI ed una per il NO.

Vincono i NO (ma di stretta misura): le donne possono lavorare in borghese (ad eccezione di quelle che già la divisa la indossano) proprio come gli uomini!!!

Anche a Milano l’elenco telefonico viene aggiornato: tutti in ordine alfabetico per cognome, uomini e donne.

E’ una bella “conquista” …, peccato che la legge 125 sulla parità uomo-donna nel lavoro sia del 1991.

La tessera sindacale: Da società pubblica nel 1995 passiamo al privato. In pochi tra gli impiegati manteniamo la tessera sindacale. Ho la percezione che siano intervenuti veri cambiamenti quando, nel passaggio di contratto da una categoria all’altra (quella dei metalmeccanici) le RSU mi suggeriscono di versare il contributo sindacale non più tramite Azienda, ma direttamente al Sindacato: “ecco, questo è il modulo per la banca …” Per circa due anni non sono iscritta: la tacita ammissione di debolezza da parte di chi mi dovrebbe difendere dall’arroganza del padrone è davvero uno shock: siamo alle soglie del 2000!!! Il Sindacato è riconosciuto dallo Statuto dei lavoratori, non una organizzazione clandestina!!! In questi due anni entro nel circuito dei ricchi premi, elargiti dall’Azienda agli impiegati “virtuosi”, sotto forma di gratifiche natalizie,che vengono a mancare non appena mi riscrivo al sindacato. A Natale 2002 sono in buona compagnia perché molti partecipano allo sciopero per l’art. 18 e uno sciopero basta per essere esclusi dai doni di Natale. Ma anche se la legge 300 vieta la concessione di trattamenti economici discriminatori, non si può intervenire o stigmatizzare o denunciare o protestare, perché "sono soldi dell’Azienda e non salario contrattuale" … Quante occasioni mancate per il Sindacato e i lavoratori!!!

L'assemblea: ricordo il capannone squallido e rumoroso dove si svolgevano le assemblee sindacali Ilva. Gli operai erano qualche centinaio, gli impiegati uno sparuto gruppo e le donne 10 o 20 al massimo. La prima volta è stata l’indignazione a farmi intervenire. Già erano previsti esuberi di personale e l’azienda tratteneva con contratti di consulenza lavoratori prepensionati con la legge dell’amianto. Il sindacato non mi pareva impegnato su questo fronte, così come nell’attribuire alla proprietà aziendale la responsabilità dell’inquinamento e di conseguenza la ristrutturazione aziendale.

I fischi non sono mancati: per gli operai rappresentavo una classe (quella degli impiegati) mai amata e quindi senza alcun diritto di critica. Anche se ero iscritta al sindacato e partecipavo agli scioperi mi venivano attribuite responsabilità collettive, responsabilità degli impiegati, che in genere si defilano dalle lotte. E pensare che mi sentivo parte della fabbrica proprio durante le manifestazioni sindacali o in assemblea, unici momenti in cui operai e impiegati potevano mescolarsi e condividere obiettivi comuni.

Ma un ragazzo molto alto in tuta è venuto in mio soccorso, ricordando che Fiom significa Federazione impiegati operai metallurgici, quindi tutti lavoratori e lavoratrici con pari dignità e diritti.

Da allora in poi in assemblea è andata molto meglio. Quei pochi impiegati erano tollerati, se non addirittura apprezzati.

Neri “per caso”: Dalle finestre vedevamo spesso fumate nere, ma anche rosse, verdi, grigie. Quelle bianche dicevano: è vapore, non fa male. Ogni tanto anche i botti sentivamo, ma quella volta tutto è più intenso: prima è il boato (tremano non solo i vetri ma anche il pavimento), poi i fumi nerissimi. E le sirene delle ambulanze che raggelano il sangue e fan presagire chissà quali tragedie (nel passato già accadute). E poi vedi i sopravvissuti, uno in particolare in piedi sulle sue gambe, tutto nero: tuta, mani e viso, dove spicca il bianco degli occhi, spalancati. Non ha più di 25 anni ma dall’espressione sembra un bambino, spaventato. Quella volta non ci sono stati morti, solo feriti, è andata proprio bene, e non come alle Acciaierie di Torino, dove purtroppo oggi contiamo 6 morti. Ecco, in queste occasioni gli operai si guadagnano i titoli di prima pagina e tutti fanno a gara per parlare di turni massacranti e di misure di sicurezza. Poi, passato il momento, è l’oblio, fino al prossimo incidente.

Altoforno giù: all’esterno, tutto si ferma: non atterrano gli aerei, chiuso il traffico stradale, bloccata la circolazione dei treni. Abbattono l’altoforno (così come qualche mese prima hanno buttato giù il gasometro) e per ragioni di sicurezza e di rispetto dei cittadini intervengono le istituzioni genovesi. Il Gruppo Riva (Corriere Mercantile 9/11/2007) concorda con tutte le parti interessate, Ferrovie, Aeroporto, Società per Cornigliano e Pubblica Sicurezza, l’orario per l’abbattimento per garantire l’incolumità delle persone, tra le ore 15 e le 16.30.

All’interno delle Acciaierie il lavoro prosegue normalmente, sia negli uffici che in produzione. Difficile all’Ilva coniugare lavoro con diritto alla salute e alla sicurezza.

Rappresentanze Sindacali Unitarie: i lavoratori e le lavoratrici dell’Ilva hanno votato, dal 2000, una sola volta per le RSU che ormai sono scadute da oltre 4 anni; ciò significa che, ad oggi gennaio 2008, per ben due volte non è stato concesso di esercitare il diritto di voto. Sono intervenuti sì accordi di programma, ristrutturazioni aziendali, cassa straordinaria e ordinaria per un totale di ben 1100 lavoratori, ma tutte queste misure non giustificano una sospensione delle regole democratiche e deroghe così ampie. Anzi… la democrazia e l’efficienza di un organo politico-sindacale si misura proprio nell’esercizio del voto e nel rinnovamento dei suoi rappresentanti, che possono così portare linfa nuova e idee giovani e fresche, a meno che invece non si vogliano adottare metodi antidemocratici.