Nina                                                                                                                                    torna indietro

Memorie di una ragazza per bene

 

Sono entrata all'Italsider nel 1961, avevo 19 anni.

Ero stata assunta come dattilografa nonostante il diploma, ma allora le donne entravano soprattutto così.

Mio padre, che era direttore del Circolo dello Stabilimento di Cornigliano, mi aveva presentato

all'esentato CISL della Sede e mi aveva fatto iscrivere al sindacato.

Educata “all'antica" poco sapevo di politica e di sindacato, mi sembra anzi che "quelle cose" non mi interessassero per niente, così il '68 mi è scivolato addosso e gli scioperi di quel periodo mi hanno toccato solo quando gli operai facevano i picchetti in Sede e non ci lasciavano entrare.

In quella specie di limbo mi sono sposata e ho fatto due figli, troppo occupata a gestire il mio castello privato per pormi altre domande.

Mi sembrava di essere perfettamente felice ma qualcosa doveva lavorare dentro a mia insaputa: non mi spiego altrimenti l'effetto che mi fece un libro letto per caso, "La mistica della femminilità" di Betty Friedan. Era la prima ricerca sociologica sulla vita delle casalinghe americane scritta con un taglio "femminista", per me era il primo testo del genere, ne sono rimasta folgorata.

Più che leggerlo lo divoravo con la sensazione chiarissima che tutte quelle cose io le sapevo, le avevo sempre sapute e vissute, facendo finta di niente. Mentre me le ritrovavo davanti stampate sentivo che non potevo più guardare la vita dall'argine e dovevo, volevo, tuffarmi nel fiume di energia che percorreva quegli anni. Da quel momento tutto accadde, era il 1973.

Come per caso, in quei giorni, un trafiletto del "Manifesto" informava della nascita di un "Collettivo femminista" presso la propria sede di Via Ponte Reale.  

Ricordo che mi presentai una sera, insieme a una collega che scomparve dopo le prime riunioni.

C'erano tante donne, anche più giovani di me, non ne conoscevo nessuna. Entrai nel cerchio, mi sedetti ed ascoltai

Quella sera si parlava del convegno di Pinarella di Cervia dove le compagne femministe di gran parte dei Collettivi italiani si erano riunite per discutere dei grandi temi che impegnavano il Movimento.

Ne sapevo veramente poco e quel poco era filtrato dalle deformazioni che ne facevano i giornali, mi si spalancò davanti un mondo nuovo.

Tutto mi colpì, quel parlare disteso di temi che mi sembravano strettamente privati e che lì diventavano di valenza molto più ampia (il personale è politico), la qualità dell'ascolto reciproco (niente era irrilevante, neppure i dolori mestruali) il desiderio di costruire strumenti politici nuovi che corrispondessero al nostro modo di essere, per segnare, anche nella forma delle azioni, la nostra specificità (da qui, ad esempio, la costruzione di tutto quel corredo “folcloristico” che sembrava l'unico a colpire i mass media).

Capii quella sera da dove veniva la mia estraneità alla politica e al sindacato, un mondo maschile in cui io non c'ero a meno che non mi omologassi completamente alle loro modalità di comportamento ed analisi della realtà.

Chiesi di entrare in un Gruppo di autocoscienza e da qual giorno iniziò per me una specie di doppia vita.

Di giorno madre, moglie e lavoratrice esemplare, tesa a non permettere alle cose che facevo di sera di turbare la serenità della famiglia, di sera semplicemente Nina, alla ricerca della mia storia e della mia strada.

Ero io, in entrambi gli ambiti, ma quello serale era un percorso solitario, lontano dagli schemi che avevano segnato e diretto la mia vita precedente.

Il mio gruppo di autocoscienza si riuniva in Via della Maddalena, a casa di una "compagna". Parlavamo di tutto, famiglia, figli, amori, lavoro, salute, di quello che volevamo per rendere migliore la nostra vita, analizzavamo i meccanismi culturali che ci aveva fatto diventare quelle che eravamo, mettevamo insomma in discussione TUTTO. Ascoltavo e parlavo, non avevo mai parlato di me in quel modo con nessuno ed era un parlare completamente diverso da quello che si faceva in casa o tra amiche.

Nelle riunioni generali, invece, si cercava di tirare le fila delle cose che uscivano dai gruppi per trasformarle in azioni “pubbliche”. La legge sull'aborto, i consultori, il nuovo diritto di famiglia, nacquero proprio da queste riunioni e la cosa meravigliosa era che anche dagli altri Collettivi femministi sparsi per l'Italia uscivano le stesse cose.

Naturalmente non era tutto un idillio. Mentre nei gruppi di autocoscienza il parlare di noi andava oltre le differenze di cultura, censo ed età, nelle riunioni generali queste differenze diventavano importanti, soprattutto per il peso che compagne, con esperienze politiche in partiti e gruppi della sinistra, avevano nelle discussioni e nelle scelte. Si formarono altri gruppi, più o meno radicali del nostro, mentre il femminismo si allargava mettendo in crisi donne che sino a quel momento non si erano occupate di politica, come me, o avevano fatto del Partito o del Sindacato, così com'erano, il punto fermo della propria militanza.

Tutto si muoveva dentro e fuori di noi, il sindacato si faceva unitario, nei partiti entravano le nostre voci, cominciavano le discussioni spesso feroci nei gruppi della sinistra... Noi andavamo avanti, sempre più numerose, sicure del valore di quello che andavamo scoprendo ed imponendo alla società tutta, certe che le donne si sarebbero riconosciute nei nostri temi e nelle nostre proposte in una sorellanza che ci sembrava indiscutibile. Dopo tanto parlare io avevo bisogno di azioni concrete e sentivo l'urgenza di portare questi temi anche sul

posto di lavoro in cui cominciavo a vedere storture e contraddizioni, ma non sapevo bene come fare.

Nei collettivi c'erano donne che lavoravano in molti ambiti, ma all'Italsider non conoscevo nessuno.

Nel 1975, durante una grande assemblea del Movimento nel teatro dell'AMGA (credo fosse per l'aborto) conobbi due compagne metalmeccaniche che avevano costituito un gruppo in cui si approfondivano i temi del lavoro e si discuteva del rapporto delle donne con la Tecnica. L''incontro e il confronto con queste compagne mi diedero gli strumenti e il supporto per fare il passo necessario: mi candidai al ruolo di delegata sindacale ed entrai nel Consiglio di Fabbrica dell'Italsider Sede.

Il progetto comune era quello di arrivare alle assemblee di sole donne per individuarne i problemi e imporre le “nostre” soluzioni, nel frattempo dovevo dimostrarmi adeguata al “ruolo” indipendentemente dal sesso: le delegate erano poche, nonostante l'alto numero di lavoratrici in Sede. (ca. il 36%).

Insieme alle compagne di altre realtà lavorative costituimmo il “Coordinamento donne lavoratrici”, aperto anche a casalinghe, studentesse e disoccupate che diventò il nostro punto di aggregazione e di elaborazione. Ci riunivamo in casa di una o dell'altra, tirandoci dietro mariti ansiosi e bambini addormentati, sino a che chiedemmo ed ottenemmo dalla FLM provinciale “spazio fisico e politico” proponendo strutture di fabbrica, di zona e attività di formazione e dopo una gestazione molto laboriosa (era giusto ed opportuno entrare nelle istituzioni?), costituimmo il “Coordinamento Donne FLM”.

Il racconto, lineare e semplificato, non segna le difficoltà, le liti, le incomprensioni e la fatica mostruosa che facevamo per avanzare a piccoli passi, ma c'erano, anche nel sindacato, compagni intelligenti disponibili a capire ed a sostenerci, altri che speravano di usarci e con motivi più o meno nobili ci lasciavano vivere e procedere.

Il primo grande incontro nazionale ufficiale fu un corso di formazione CISL al Centro Studi di Fiesole nel 1976. Era un intercategoriale, lì incontrammo donne di tutte le realtà lavorative italiane, tessili, chimiche, insegnanti ecc, non tutte con il nostro bagaglio di elaborazioni “femministe” ma quasi tutte desiderose di cambiare i contenuti delle lotte sindacali.

Il secondo, forse più mitico nella memoria, fu il corso FLM, sempre a Fiesole, dove ottenemmo di portare anche i bambini. Per chi lo fece fu incredibilmente faticoso, ma volevamo essere coerenti con uno dei nostri principi, che cioè le donne sono e vogliono esserci tutte intere in ogni cosa che fanno.

Da questi incontri nacquero elaborazioni comuni ma anche legami ed amicizie che ci permisero di muoverci in sintonia negli anni più produttivi del “movimento”, coordinando analisi e richieste e riuscendo ad inserire nei contratti collettivi dei metalmeccanici le nostre rivendicazioni.