Gabriella 1956

Primo giorno di lavoro: il ritorno                                                                                                            torna indietro

 

Vivevo a Tortona dal 1944 dove la mia famiglia, scampata agli allarmi della guerra, era sfollata da Genova  dopo che il bombardamento navale aveva sinistrato la casa di Via Cornigliano n°13 affacciata sul Vico Vicinale, oggi via Baffigo, creusa che sale fino a congiungersi con via Coronata..

A Cornigliano sono nata nel 1936,mamma usciva di casa con l’accappatoio e mi portava in braccio per Via S.Giovanni D’acri fino ai Bagni “Costanza”, appena oltre il varco sotto il terrapieno della ferrovia. La spiaggia era grande di sabbia grigia, e correva lunga dal Lido a costeggiare la pietraia dei binari, interrotta a tratti da alcuni scogli, fino all’insenatura di Castello Raggio.

A Tortona sono cresciuta e ho frequentato dopo  le Medie e la Ragioneria. Mi sono diplomata nel 1955 quando i primi corsi femminili negli anni cinquanta toglievano alla professionalità del “RAGIONIERE” la prerogativa maschile.

In verità per trovare l’impiego sono stata sottoposta esclusivamente a prove di stenodattilografia alla FIAT Sede Centrale di Corso Marconi a Torino il 16/11/1955 con esito infelice, e quindi nel Dicembre sostenni la prova di comptometrista alla Cornigliano SpA, Stabilimento Oscar Sinigaglia via S.Giovanni D’Acri con esito positivo. Non ricordo il colloquio.

Mi assunsero con contratto a termine di 6 mesi come impiegata all’Ufficio Paghe.

Il mio primo giorno di lavoro è stato il 1° Gennaio 1956 di un inverno gelido.

Il treno che partiva da Tortona alle 5,55, un convoglio “accelerato” che sbucava sui binari dalla nebbia ancora col buio, aveva gli sportelli inchiodati dal ghiaccio. Ad Arquata trovavo la coincidenza con un altro “accelerato” inchiodato dal ghiaccio per scendere a Sampierdarena.

Quel primo mattino non ricordavo dove prendere l’autobus e paciugando nel bagnato mi sono avventurata fino al ponte di Cornigliano dove ho ripreso il senso dell’orientamento. Il vento mi tagliava la faccia mentre allungavo il collo oltre il Polcevera per vedere le sagome rassicuranti dei gasometri

Quando ho imboccato via Muratori ed ho varcato la grande cancellata di Palazzo Bombrini avevo gli occhi appannati, i mocassini con la para erano fradici. Quasi inciampando mi sono presentata al Vigilante in divisa kaki che pareva aspettarmi per accompagnarmi all’orologio con in mano un cartellino per la timbratura.

Erano le 7,54, l’orologio era un grande cassone che con la timbratura emetteva un suono metallico quasi liberatorio. Era un grande occhio appeso in mezzo a un muro di rastrelliere fitte di cartellini incolonnati. All’orario di entrata e di uscita gli impiegati si mettevano in fila per timbrare e poi correvano via, ma quel mattino non c’era nessuno perché ero sull’orlo del ritardo. La timbratura doveva essere fatta con 5 minuti di anticipo all’orario e il cartellino doveva ritrovare il suo posto preciso nell’ordine di matricola, cognome e nome.

“Per i “liquidatori mano d’opera” il primo giorno di ogni mese era lavorativo in quanto dava inizio alle operazioni per calcolare l’importo delle buste paga che dovevano essere pronte entro il decimo giorno di liquidazione. Le paghe venivano distribuite a “quindicina” agli sportelli delle portinerie: al 15 il saldo e al 30 di ogni mese l’acconto”

Gli operai erano giudicati incapaci di amministrarsi un intero mensile.

Così mi spiegò il Ragioniere Capo Ufficio accompagnandomi alla mia scrivania nel grande Ufficio risuonante del ritmo ossessivo delle calcolatrici Ferraris comptometer sottoposte alle martellanti pressioni degli impiegati curvi sulle 12 file di tasti che a seconda della posizione impostata con le mani eseguivano le quattro operazioni.

C’erano 22 scrivanie con l’incavo a destra per collocare la Ferraris Comptometer, nessuno dei 22 operatori era mancino. Gli uomini in camicia indossavano le mezze maniche nere, le 5 donne indossavano il grembiule nero. Tutti si impegnavano a testa china per finire la liquidazione per primi. Seppi poi che gli uomini percepivano una retribuzione più alta delle donne con le stesse mansioni. La mia presentazione non è stata causa di interruzione o di saluti a mano tesa, solo un cenno con la testa. Preavvertita mi ero portata il grembiule di scuola e una collega ha avuto l’incarico di accompagnarmi nello spogliatoio delle donne per sistemare nel mio armadietto il cappotto e le mie cose.

 Poche cortesi parole. Mi sono poi seduta al suo fianco per imparare a compilare gli strisciolini in tre copie intercalate con la carte carbone blu, usando la matita copiativa: calcolo della paga base per le ore lavorate, l’integrazione fra le 44 e le 48 ore, il caro pane per le giornate, la contingenza, l’incentivo a seconda delle mansioni del reparto.

Sono uscita alle 17,35 salutata dal suono metallico dell’ orologio senza fare la fila perché i colleghi si fermavano tutti per lo straordinario e gli altri uffici erano in festa.

Mi sono avviata alla stazione di Sampierdarena, per ritornare a Tortona, che ero sazia di numeri, frastornata di rumore e di aria viziata dal fumo di sigarette, liberata dagli sguardi furtivi di facce incuriosite che fingevano disinteresse. Era buio quando ho attraversato a piedi il ponte deserto, avevo tutto il tempo di prendere aria e di voltarmi indietro a considerare le ombre dei gasometri diventate famigliari.

Il treno era un “diretto” per Milano che trasportava con me, in perfetto orario, i viaggiatori con le valige, cambiati col vestito buono delle vacanze e alle 19,25 lasciavo la nebbia gelata fuori dal portone di casa. I miei mi attendevano con trepidazione per festeggiare col panettone uno specialissimo Capodanno.”Il mio ritorno a Genova Cornigliano”, “Il mio primo giorno di lavoro”, la prima tra le mie compagne di scuola ad aver trovato l’impiego.

Tante domande sull’ambiente di lavoro e curiosità su quanto gli impianti dello Stabilimento avevano cancellato della spiaggia e il castello Raggio ormai bombardato. Ma io non avevo capito molto nè visto molto oltre il ponte e le finestre dell’ufficio. La mia emozione era stata tanta. Sono crollata a letto quasi senza cenare, esausta di racconti con l’orgogliosa stanchezza del mio primo giorno di lavoro. Ho sognato orologi.

La gerarchia delle buste paga

Ufficio paghe: il ritmo di lavoro nella 1° quindicina del mese era febbrile e si concludeva con l’imbustamento delle banconote e la distribuzione delle buste paga.

Quel mattino tutte le scrivanie erano sgombre e a lato di ognuna  una valigia di metallo attendeva di essere riempita. Il Ragioniere Capo Ufficio e il Ragioniere Capo Reparto attendevano al loro posto di guida consultando prospetti e incutendo soggezione.

 Ero esterrefatta quando vidi irrompere il Cassiere Capo con il suo secondo, altri addetti carichi di grosse valige, scortati dalla Vigilanza in divisa CAKI con pistola alla cintola, seguiti dai Carabinieri in divisa con pistola alla cintola.

Sulla scrivania del Capo vennero rovesciati e accatastati pacchi su pacchi di banconote, divise in plichi di tagli da 10.000 grandi come fazzoletti arancione tutti nuovi, da 5.000 verdolini e poi da 1000 e da 500, 100, etc. Il muro di banconote veniva demolito gradualmente e passato al setaccio delle dita abilissime del Ragioniere Capo Ufficio affiancato dai liquidatori prescelti come controllori; i Ragioniere Capo apponevano il visto su ogni fascetta controllata che prendeva il via per comporre cumuli minori destinati all’imbustamento. Il Cassiere e il suo seguito armato veniva congedato e ridotto al picchetto di guardia alla porta dell’ufficio. Allora toccava a noi che, ricevuto il giusto ammontare per le nostre 400/500 buste, lavorando in coppia con l’aspirazione di quadrare i denari con le buste e finire per primi, ci passavamo le banconote prelevate dalla pila dei tagli con le dita inumidite dalla spugnetta. Il primo prelevava i tagli a comporre l’importo, il secondo controllava e imbustava. La precisione, l’attenzione, il sincronismo della coppia dimostravano un’abilità manuale da catena di montaggio. Il mio impaccio fu patetico e scontato, finimmo per ultimi con quelli che vergognosamente non avevano quadrato e sulla scrivania erano rimaste £. 1000 o £. 500 che chiedevano la loro collocazione in chissà quale busta paga... con mortificazione, sotto gli occhi di tutti, disfacevano il lavoro fatto fino a trovare l’errore.

Le valigie di ciascuna coppia, sigillate, ritornavano al cassiere per esserci riconsegnate la mattina seguente. Allora si poteva correre in bagno che era circa mezzogiorno.

La distribuzione avveniva alla portineria Bertolotti; ogni coppia prendeva posto al proprio sportello allineato in batteria con altri dieci in sequenza di matricola. Era l’alba quando attendevamo gli operai che uscivano dal turno di notte. Infagottati si mettevano in fila davanti allo sportello poco illuminato che consentiva appena il passaggio del loro tesserino di riconoscimento per ricevere in cambio una busta vuota poiché le banconote venivano da noi estratte, ricontate e infilate sgarbatamente e scompostamente sotto la fessura del vetro dove le loro mani impacciate, stanche della notte, gonfie di fatiche le raccoglievano, senza un “buon giorno”, sollecitati con “appressooo” !

Il rito si ripeteva a fine mese per la distribuzione dell’acconto.

Le contestazioni erano rarissime e cariche di sospetti, e si chiarivano a porte chiuse a livello superiore. Io mi sentivo in dovere di adeguarmi, non potevo scegliere con chi accoppiarmi, lo decideva il Capo. Era umiliante. Era così.

La tessera del Sindacato

Ero stata educata a non far troppe domande. ”In casa non si parla di politica”. Così i grandi, con le ferite ancora aperte, stendevano un velo di protezione su noi figli minori cresciuti con molte privazioni. A scuola il clima dell’Istituto S.Vincenzo se pur molto illuminato e aperto non aveva offerto  alle privilegiate educande altro strumento che buoni libri di testo per la miglior preparazione scolastica  storico- cultural-religiosa. Mai un insegnante religioso o civile si presentò in aula con una rivista o un quotidiano per  commentare nell’attualità il significato politico dei valori all’origine dei conflitti fra classi sociali.

In verità tali conflitti non trovavano echi nell’ambito della realtà contadina benestante e borghese medio alta della piccola cittadina di provincia e grande diocesi vescovile, dove l’Istituto era la culla delle “ ragazze per bene”.

Alcuni giorni dopo l’assunzione un signore mi fermò al varco della cancellata di Palazzo Bombrini. Aveva in mano un elenco di nomi e con un gesto poco più che indifferente e un “ come ti chiami” mi spuntò dall’elenco e mi consegnò una tessera cogliendomi assolutamente impreparata .Era il sindacalista SANTI della Cisl, mi dissero poi alcuni colleghi senza altri commenti, né io feci domande

Per anni non avevo avuto occasione né apparente necessità di incontrare un membro della Commissione interna che aveva un suo ufficio, come il Cappellano, un po’ in disparte.

L’Azienda rispondeva ad ogni mia necessità.

Mi ci volle quasi un decennio per rompere lo schermo e confrontarmi con “ la vita “ e quindi per cogliere il significato di quella tessera.