I primi giorni di lavoro                                                torna alla pagina iniziale

 

Gli scritti che seguono sono il frutto del lavoro collettivo di un gruppo di donne legate tra loro da una rete di rapporti personali. Nei ricordi dei nostri “primi giorni di lavoro”, e nelle fotografie ritrovate nei nostri cassetti, c’è il mondo del lavoro visto con il nostro primo sguardo. Scritti ed immagini sono stati presentati nella sezione "15 donne" della mostra "Ragazze di fabbrica - Voci e  volti  del ponente  dal dopoguerra ad oggi".  Accanto ai nostri nomi di battesimo, la fabbrica dove abbiamo lavorato e l’anno del nostro primo ingresso al lavoro.

 Pina                          Maura                      Anna

Ansaldo Campi 1956      Italsider 1962            Italsider Cornigliano 1975

 

Gabriella B.                  Gabriella L.               Angela

Italsider 1956               Ansaldo Campi 1968   Italsider Ilva 1976

 

Caterina                     Luciana                    Silvana

Ansaldo Campi 1961      Mensa CMI 1969        Ilva 1996

 

Nina                           Paola                      Giovanna

Italsider 1961               Elsag 1972               Ilva_La spiaggia 1997

 

Luisa                          Aurea                      Laura

Italsider 1962               Elsag 1973               Lauramilleposti 2002

 

Pina Ansaldo Campi 1956

 

1956: non so più il giorno, avevo 20 anni e sono stata assunta all’Ansaldo di Campi. Dai 18 ai 20 anni avevo lavorato con contratti di prova qualche mese, come dattilografa. Era morto mio padre e al suo posto mi avevano assunta. Lui, lì nella fabbrica, aveva passato la vita dai 14 ai 50 anni, aggiustatore, credo si chiamasse la sua mansione.

Avevo voluto andare a Campi perché nella sede di Carignano mi chiedevano comportamenti per me impossibili: vestirmi bene, mettermi in fila per andare dal Direttore a fargli gli auguri. Io volevo morire perché avevo dovuto lasciare la scuola e non sapevo immaginare una via di uscita.

 

 

La classe operaia non capiva P. P. Pasolini, ma io aspettavo i suoi film e i suoi articoli e capivo e mi bastava e capivo anche gli operai che avevano ragione a non capire P. P.Pasolini....

Ora so che devo ringraziare il padre Ansaldo che mi ha salvato la vita, costringendomi ai suoi programmi nucleari vissuti da me come distruttivi e che tali sono e restano ...

A quei trenta anni torno sempre e penso a loro, gli operai nel reparto Spedizioni e la loro perizia, coraggio, onestà, conoscenza dei conflitti irrimediabili.

 

 

E poi c'eravamo noi, le donne impiegate e operaie del piccolo gruppo dentro il Consiglio di Fabbrica a parlarci, ad essere, provando, " compagne".1970 – 1976: “Operai, impiegati uniti nella lotta”, i cortei contro i crumiri, la “rivoluzione”, la “felicità”. Non importa se fu una grande illusione

 

Ferro, bakelite, epoxal                occhi arrossati                        spruzza sulle vasche

gomma, vetro,                           costruiscono                          degli acidi

"chi non chiude la porta è bello".  pezzi di giocattoli                   è diversa e gonfia la primavera.

Trucioli sotto le scarpe,               per ciclopi,                             La solitudine del ciclope accecato

fuoco blu negli occhi,                  muoiono tra resine                 si è frantumata.

tra le lamiere                             misteriose.                            Non partoriremo più frammenti di solitudine.

tubi, gomiti                                Il ciclope si è disintegrato       Non costruiremo più

carcasse                                    gli omini blu                          pezzi di giocattoli inutili.

gli operai                                   stanno intorno                       Inventeremo la pioggia sull'erba

hanno dato tutto.                       al suo giocattolo rotto             per la pelle delicata

Sono fagottini in tuta                  Piove sulla ruggine                 di piedi delicati di ciclopi teneri

 

ansaldo 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immagini:

1957 8 marzo Ansaldo di Campi, mensa

1974 Ansaldo di Campi, locomotore

1974 Ansaldo di Campi, Pina tra gli operai del reparto Spedizioni

 

 

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Gabriella Italsider 1956

 

Gli operai erano giudicati incapaci di amministrarsi un intero mensile, perciò la paga veniva erogata in due tempi: l’acconto a fine mese e il saldo a fine quindicina successiva. Così mi spiegò il Ragioniere Capo, accompagnandomi alla mia scrivania nel grande ufficio risuonante del ritmo ossessivo delle calcolatrici Ferraris comptometer, sottoposte alle martellanti pressioni degli impiegati curvi sulle dodici file di tasti che a seconda della posizione impostata con le mani eseguivano le quattro operazioni.

C’erano ventidue scrivanie con l’incavo a destra per collocare la Ferraris Comptometer, nessuno dei ventidue operatori era mancino. Gli uomini in camicia indossavano le mezze maniche nere, le cinque donne indossavano il grembiule nero. Tutti si impegnavano a testa china per finire la liquidazione per primi. Seppi poi che gli uomini percepivano una retribuzione più alta delle donne con le stesse mansioni. La mia presentazione non è stata causa di interruzione o di saluti a mano tesa, solo un cenno con la testa.

 

Alcuni giorni dopo l’assunzione un signore mi fermò al varco della cancellata di Palazzo Bombrini. Aveva in mano un elenco di nomi e con un gesto poco più che indifferente e un “come ti chiami” mi spuntò dall’elenco e mi consegnò una tessera cogliendomi assolutamente impreparata. Era il sindacalista Santi della Cisl, mi dissero poi alcuni colleghi senza altri commenti,né io feci domande. Per anni non avevo avuto occasione, né apparente necessità, di incontrare un membro della Commissione interna che aveva un suo ufficio, come il Cappellano, un po’ in disparte. L’Azienda rispondeva ad ogni mia necessità. Mi ci volle quasi un decennio per rompere lo schermo e confrontarmi con “la vita“ e quindi per cogliere il significato di quella tessera.

 

 A Cornigliano sono nata nel 1936, mamma usciva di casa con l’accappatoio e mi portava in braccio per Via S. Giovanni D’Acri fino ai Bagni “Costanza”, appena oltre il varco sotto il terrapieno della ferrovia.  La spiaggia era grande, di sabbia grigia, e correva lunga, dal Lido a costeggiare la pietraia dei binari, interrotta a tratti da alcuni scogli, fino all’insenatura di Castello Raggio. Vent’anni dopo respiravamo con i corniglianesi l’aria inquinata dalla polvere della siderurgia, mescolata all’offerta di svago e cultura confezionata prima nei saloni di Palazzo Bombrini e poi dal 1958 nel prestigioso teatro tutto di lamierino, con bar e biblioteca antistante, come un confortevole foyer allestito e arredato con la firma di Carmi. Il livello dell’attività – immagine curata e voluta dall’Azienda, trasmessa a piene mani, era molto alto nel CRAL di Cornigliano... Entrai a far parte della Compagnia Filodrammatica del Dopolavoro Aziendale: recitavamo le commedie di Castaldo, Pirandello, Cechov, Moliere.

Immagini:

1956 Tesserino per la libera circolazione nello stabilimento Italsider

Castello Raggio, abbattuto il 14 aprile 1951 per la costruzione della Italsider

1963 Gabriella con Germana Venanzini nel "Tartufo" di Moliere al Teatro Italsider

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Caterina Ansaldo Campi 1961

La speranza era, non solo che l’assunzione mi avrebbe dato un futuro migliore, ma mi sembrava anche importante proseguire la storia della famiglia.

Allora pensavo che non solo i ricchi si potessero tramandare di padre in figlio le loro dinastie: anche tra la gente comune (gente del popolo) la possibilità di continuare a lavorare dove, prima di te, hanno lavorato altri della tua famiglia, e dove forse tu potrai avere dei miglioramenti rispetto ai tuoi predecessori, credevo fosse un modo di tramandare ciò che sai.

Il Capo Officina riceveva tutti i nuovi assunti operai e dopo un breve sguardo ti destinava a questo o quel reparto, chissà in base a quale criterio! Io fui destinata al reparto ELCI, divisione MICA, facevamo nastri e fogli con materiale isolante, la “mica” appunto, per le bobine dei rotori delle grandi macchine.

Forse non ho detto che avevo diciassette anni e negli anni ’60 a quell’età si era veramente ragazzine, ma a me sembrava di vivere una bella favola e forse lo è stata davvero.

Scesa dal bus sul piazzale mi sono guardata attorno e tutto mi sembrò immenso. Per capire questa sensazione dovete immaginare il piazzale senza una macchina posteggiata, forse solo qualche vespa o lambretta! Davanti a me c’era la grande porta che immetteva in Officina e un flusso ininterrotto di persone che entravano, mi sembrò una grande bocca vorace! Anch’io mi misi in fila con gli altri ed entrai nella grande fabbrica.

Immagini:

1974, Caterina con le compagne di lavoro alla mensa dell'Ansaldo di Campi

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Nina Italsider 1961

 

Sono entrata all'Italsider nel 1961, avevo 19 anni. Ero stata assunta come dattilografa nonostante il diploma, ma allora le donne entravano soprattutto così.

Mio padre, che era direttore del Circolo dello Stabilimento di Cornigliano, mi aveva presentato all'esentato CISL della Sede e mi aveva fatto iscrivere al sindacato. Educata “all'antica" poco sapevo di politica e di sindacato, mi sembrava anzi che "quelle cose" non mi interessassero per niente, così il '68 mi è scivolato addosso e gli scioperi di quel periodo mi hanno toccato solo quando gli operai facevano i picchetti in Sede e non ci lasciavano entrare.

In quella specie di limbo mi sono sposata e ho fatto due figli, troppo occupata a gestire il mio castello privato per pormi altre domande.

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Luisa Italsider 1962

 

 

Una sera, prima che iniziassi a lavorare, venne a casa nostra una persona (credo un investigatore) che doveva prendere informazioni su di me e la mia famiglia, ma vista la mia giovane età (non ancora diciotto anni) aveva preferito venire direttamente a casa per rendersi conto di chi eravamo. Ci disse che avevano già preso informazioni su di noi dal Parroco.

Ci fu un colloquio “psicologico attitudinale” abbastanza stringente, ma ci fu anche la sorpresa nell’apprendere che lo stipendio sarebbe stato più alto di quello a cui ero abituata.

Del primo giorno di lavoro ricordo il timore che mi incuteva lo stabilimento, la sua grandezza e imponenza …

Dopo la prima giornata, alle 18,30 io uscii tranquillamente dallo stabilimento senza chiedermi perchè altri erano rimasti. L’indomani mattina la collega mi disse che il capo mi aveva cercato e che avrei dovuto chiedere, prima di uscire alla fine della giornata: in quel momento cominciai a capire che tipo di controllo veniva esercitato....

I lavoratori che uscivano, in grande numero, dalla fabbrica e raggiungevano il punto previsto per la partenza della manifestazione davano la sensazione di qualcosa di inarrestabile e potente. Era qualcosa che si materializzava, le idee prendevano forza da tutte quelle persone che si muovevano insieme. Essere in mezzo a quella corrente ti faceva sentire sicura e “dalla parte della ragione”.

Per noi impiegati, peraltro in numero modesto rispetto agli operai, era un rafforzare la nostra condizione ed identità. Non eravamo molto ben visti dai nostri colleghi che non “partecipavano”, e lì con tutti gli altri trovavamo il nostro posto.

Immagini:

primi anni '60, Luisa e le sue colleghe negli uffici della Italsider di Cornigliano

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Maura Italsider 1962

 

Primo giugno 1962: dovevo presentarmi all’Italsider in piazza Dante, terzo piano, ufficio Acquisti, rag. Delucchi. Mio padre aveva già stabilito nei giorni precedenti che naturalmente mi avrebbe accompagnato lui… e naturalmente sarebbe venuto in divisa da vigile urbano, visto che era una normale giornata di lavoro! Ricordo che il ragioniere fu piacevolmente sorpreso che fossi accompagnata dal papà; si misero cordialmente a parlare nel suo ufficio e poi ci fu questa sorta di passaggio del “testimone”: mio padre mi salutò e mi “consegnò” al rag. Delucchi!!!

Poi iniziarono le presentazioni ai colleghi: come ogni nuova assunta fui accompagnata in ogni ufficio del piano, e presentata ad ogni singolo collega: “Questa è la nostra nuova collega, la signorina Cappellieri… l’ha accompagnata il papà” … E tutto questo col tono di chi mi stava appuntando una medaglia sul petto!

Immagini:

Anni '60 Maura nel suo ufficio all'Italsider

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Gabriella Ansaldo Campi 1968

 

Sono arrivata all'Ansaldo di Campi nel 1968. Provenivo dalla filiale CGE di Genova, c'era stata una fusione, perciò non era la mia prima esperienza lavorativa, ma era nuovo il contesto: tutto così grande, impersonale e grigio; mi sentivo smarrita e pensavo che non ce l'avrei mai fatta a vivere lì per tutta la vita: poi rimasi incinta e per un po’ non rientrai in fabbrica.

Mi ricordo il primo sciopero a sorpresa: cancelli bloccati e nessuno che poteva entrare: la direzione fece aprire un'entrata secondaria, dove potevano passare auto e camion in caso di necessità. La collega anziana del mio ufficio mi trascinò quasi con la forza insieme ad un gruppo di impiegati crumiri tra le urla e gli insulti degli scioperanti. Che immensa vergogna! Non ero d'accordo e mi facevo portare! Come in tutta la mia vita precedente lasciavo che gli altri decidessero per me. Da quel momento è nato tutto il mio percorso politico e privato.

Il rapporto con il sindacato e le donne venne qualche tempo dopo, con i primi scioperi per l'inquadramento unico.

Immagini:

Primi anni '70 Sciopero all'Ansaldo di Campi

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Luciana Mensa CMI 1969

 

Il mio primo lavoro: ho 19 anni, l’ufficio di collocamento mi contatta per un lavoro come “addetta mensa”. Accetto senza sapere bene di cosa si tratta. Era l’occasione per uscire di casa, cercare l’indipendenza economica, forse la libertà. Mi diedero una divisa, camicetta, cravatta e gonna, e senza altre spiegazioni mi mandarono a fare servizio alla mensa del C.M.I.. Non c’era niente da imparare, ero una donna e in quanto tale dovevo saper distribuire cibo, aiutare in cucina, pulire. Ricordo i locali della mensa, immensi, che all’improvviso si riempivano di una massa di uomini. Ricordo la mia timidezza, disorientamento, disagio: avrei voluto scomparire. Di notte avevo gli incubi, sognavo il cibo che mi scivolava dalle mani non riuscivo a prenderlo, e gli uomini urlavano.

Con noi addette mensa, spesso pranzava un delegato esentato della Commissione Interna. Parlava della fabbrica del ruolo del sindacato, spiegava le ragioni degli scioperi. Raccontava episodi di storia. Grazie a lui, al suo saper spiegare raccontare ho cominciato a conoscere il ruolo della politica e del sindacato. Lo incalzavo di domande. Era un uomo straordinario, aveva fatto la Resistenza e spiegava le cose con una dolcezza e un rispetto incredibili. Emanava calma e sicurezza nonostante gli argomenti forti e il terremoto quotidiano degli scioperi di quel periodo. Tutto si muoveva velocemente, mi iscrissi alla CGIL, cominciarono gli scontri con la capo mensa e il datore di lavoro.

 

Un giorno, dopo l’ennesima lite col capo, mi tolsi la divisa e me ne andai sbattendo la porta: dopo un anno e tre mesi era ora che cambiassi lavoro! Pochi giorni dopo fui assunta come operaia al Tubettificio Ligure.

Il capo fabbrica, valutata la mia robustezza fisica, acconsentì all’assunzione come operaia alla catena di montaggio, mansione che svolgevano solo le donne perché dicevano che eravamo portate alla ripetitività, più resistenti allo stress.

Dieci anni in questa fabbrica, luogo di grosse esperienze, di lotte sindacali e di emancipazione femminile.

 

Immagini:

1969 Luciana con le colleghe della mensa del C.M.I. Costruzioni Meccaniche Industriali

 Primi anni '80 Luciana ad una manifestazione del Tubettificio Ligure

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Paola Elsag 1972

 

La concretezza spoglia di quel luogo di lavoro e di tutto quello che lo circondava, le cifre del guadagno mensile messe nero su bianco su un foglio di carta, la disciplina che avevo intravisto in quell’appuntamento fissato ad un’ora per me incredibile, mi parvero un’ancora a cui aggrapparmi per uscire da una lunghissima adolescenza. Dissi di sì, lasciandomi alle spalle l’ambiente universitario. I colloqui di assunzione furono due. Il primo tecnico. il secondo psichico, caratteriale, attitudinale... memorabile il passaggio in cui il dirigente mi chiese: “Come pensa di coniugare la natura sublime della donna con un lavoro così tecnico?” Purtroppo non ricordo le mie risposte, seppure ne diedi.

 

E' in una scatola gialla che vivivo,

nove finestre listate di nero

lasciano scorgere i nuovi confini.

Da alcune posso vedere una serie

forse infinita,

di scatole eguali:

dentro, in ciascuna, persone sole

sotto una luce intensa, ossessiva

che non dà ombre nè ammette riposo.

Dalle altre, invece, vedo l'andare

eguale del muro di un corridoio.

Qualcuno passa, ogni tanto, e mi guarda

di là dai vetri.senza parlare.

 

La lettera con cui l’Elsag mi invitava a un colloquio proponendomi di presentarmi “con comodo tra le 7.30 e le 8 del mattino” era per me stupefacente, una lettera che veniva da un mondo alieno. Andai con la convinzione che non ne avrei fatto niente. A Sestri mi accompagnò mio padre. Deve essere stata la prima volta o quasi che mi recavo a Ponente. Sicuramente è stata la prima volta che ho osservato, guardato, visto un paesaggio industriale.

 

Da quando avevo scoperto che dietro la porta del mio ufficio di

impiegati tecnici c’era una fabbrica, e intorno alla mia fabbrica altre fabbriche, il mondo mi si era spalancato. Nel 1973 diventai delegata di reparto, una specie di rarità: donna e laureata, una delle pochissime. Dimostravo meno dei miei ventisette anni ed ero tenuta in palmo di mano dai compagni del Consiglio di Fabbrica. Seguivo puntigliosamente tutte le attività del Consiglio, rapidamente il mio lavoro professionale stava passando in seconda linea, cedeva il passo. Appena terminato il periodo di prova andai dal delegato di reparto, comunista, e gli dissi: ecco, ho finito la prova. Voglio iscrivermi alla CGIL. E lui mi disse: non si può. C’è la unità sindacale. Ci si iscrive alla FLM. Non si fanno più scelte di organizzazione. Proprio a Genova tra il 29 settembre e il 2 ottobre di quell’anno si era tenuta l’Assemblea nazionale dei delegati Fim, Fiom, Uilm, era stata approvata la piattaforma per il nuovo contratto di lavoro ed era stata costituita la FLM, il sindacato unitario dei metalmeccanici.

Immagini:

1973 Paola ad una cena aziendale dell'Elsag

Anni '70 Sestri Ponente, fotografia presa durante l'intervallo mensa

Anni '70 Elsag uffici 

Fine anni '70 Lo striscione dell'Elsag ad una manifestazione dei metalmeccanici

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Aurea Elsag 1973

 

 Nel 1970 avevo 21 anni e lavorai per un breve periodo in una ditta che costruiva arredi in legno e metallo. Lì gli operai erano tutti uomini, e se loro rischiavano la silicosi per la polvere acida del "legno mansonia", a me, in ufficio, al piano di sopra, arrivava la polverina più volatile e sottile che in pochi mesi mi riempì i bronchi e mi procurò epistassi continue, costringendomi al licenziamento. Poi una esperienza alla Polvani.

 

 

 Ma nel 1973 il desiderio del posto fisso a 8 ore, e con tutele certe, mi portò a cercare un altro posto di lavoro, così entrai all'ufficio commerciale della Divisione Navale in Elettronica San Giorgio, ufficio marketing e vendite all'estero: una fabbrica allora in espansione.

Avevo fatto due colloqui con due ingegneri di diverse divisioni, signori dell'età di mio padre. Uno dei due mi telefonò il giorno dopo per chiedermi di vederci per un altro incontro per conoscerci meglio, ma ... fuori dalla azienda. Gli risposi che non avevo nessun interesse a conoscere lui personalmente ... se voleva rivedermi sarebbe stato in Elsag e non altrove, e per motivi di lavoro.

Non era un buon inizio, ma non mi persi d'animo.

Immagini:

1972, Aurea con le sue colleghe alla Polvani

1984, Aurea: cena di lavoro con gli ufficiali irakeni in addestramento all'uso degli apparati militari di bordo prodotti da Elsag

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Anna Italsider Cornigliano 1975 

 

Non avevo ancora compiuto 25 anni ed ero stata assunta a tempo indeterminato nella più grande fabbrica genovese, inquadrata al quinto livello come neolaureata e quindi con una carriera programmata fino all’ottavo e massimo livello impiegatizio.

Ero felice ed entusiasta. Avevo studiato per fare l’insegnante di filosofia ma senza ripensamenti avevo colto la straordinaria opportunità di lavorare nella Direzione del sistema informativo centrale a Cornigliano. Avevo la possibilità di diventare una ‘siderurgica’, avrei fatto parte del mondo dei ‘metalmeccanici’, avrei potuto iscrivermi al sindacato FLM… Più che emozionata ero incuriosita, mettevo piede nel territorio di quella immensa fabbrica, che impiegava, allora, poco meno di 12000 persone, più altre 6000 considerando le aziende dell’indotto; in tutto 18000 persone, anzi uomini, dato che le donne erano pochissime. Dopo pochi giorni ci portarono a visitare lo stabilimento, noi giovani assunti. Ogni giorno un reparto. Un altro nuovo mondo mi si apriva davanti.

 

 

 

 

Quella che mi rimase più impressa fu la visita all’acciaieria: l’inferno dantesco! Rumore, fumo, bagliori di fiamme e gli uomini piccoli piccoli che camminavano quasi sopra, o così mi sembrava, enormi pentoloni ribollenti in cui gettavano manciate di sostanze perché “loro capiscono ad occhio cosa serve aggiungere per ottenere l’acciaio giusto”. Ritornavamo al Centro di calcolo, pulito, luminoso, quasi accogliente, dove giravano i tecnici del calcolatore in camice bianco: inferno e paradiso, così vicini, così lontani.

Immagini:

Anni '70, Italsider altoforno

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Angela Italsider Ilva 1976 

 

Sono stata assunta in Italsider il 1° novembre 1976. Mio padre, ex dipendente, andato in pensione per gravi motivi di salute, era euforico. Il suo sogno era che anch’io entrassi a far parte della “grande famiglia” che, nonostante dolori e problemi per la sua vecchia appartenenza al PCI, era la fabbrica che gli aveva dato un posto di lavoro e gli aveva permesso di vivere, di comprarsi una casa (grazie alla Gescal) e mantenere quindi la sua famiglia. E poi era la fabbrica che lo aveva aiutato,assumendo, al suo posto, mio fratello che aveva anche ottenuto dei permessi per finire gli studi. Quindi rimanevo solo io … Ricordo il mio primo stipendio, £ 302.000 circa, e non erano pochi per chi come me, appena ventenne, era al suo secondo lavoro. Gli amici mi dicevano che ero fortunata perché oltre ad un buon guadagno quello era un posto di lavoro sicuro per il mio futuro.

 

Oggi sono dipendente Ilva che fa parte del gruppo Riva, ma sono in cigs, e svolgo lavori di pubblica utilità presso l’amministrazione comunale. Note sono le traversie economico - finanziare dell’Italsider dovute alla crisi dell’acciaio dalla fine degli anni '80 e con le varie ridenominazioni e assetti societari, sorgevano in noi dipendenti (ancor più a noi donne) forti preoccupazioni sul futuro occupazionale. Quando sono stata assunta la Società si chiamava Italsider per poi chiamarsi nel 1980 Nuova Italsider e richiamarsi Italsider dal 1° agosto 1987. Diventata Italsider in liquidazione il 1° gennaio 1989 riprende il suo nome originale, cioè Ilva S.p.A. A seguito della scissione della società in liquidazione, dal 1° gennaio 1994 diventa Ilva Laminati Piani e rilevata nel 1995 dal gruppo Riva, al quale era stato conferito nel 1989 l’impianto delle acciaierie di Cornigliano.

Il nostro CRAL era organizzato piuttosto bene, c’erano varie sezioni: viaggi, biblioteca, musica, teatro, sci, ed escursionismo di cui ho fatto parte come organizzatrice. Poi c’erano vari incontri, seminari e anche mostre. Ho partecipato a una di queste esponendo alcuni miei disegni.

Immagini:

Anni '90 Angela nel suo ufficio all'Ilva

14 luglio 1993 titoli sui giornali

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Silvana Ilva 1996

 

Era il 9 dicembre 1997 quando sono entrata in fabbrica la prima volta, “ragazza” di 47 anni, 27 dei quali trascorsi negli uffici in centro città.E’ stato come il primo giorno di lavoro, ma in un’Azienda a cui non avevo presentato domanda di lavoro. Mi trovavo lì perché la Società dove ero occupata prima era stata fatta a pezzi ed uno di questi è toccato ad Ilva, poi Riva. Lasciare la vecchia occupazione ed i compagni di lavoro non è stato facile, così come essere catapultata in un’altra realtà, in un sito industriale di 2700 lavoratori, ma quanta solitudine! Nessuno sembrava preoccuparsi che diritti dati per scontati fino ad allora venissero calpestati: diritto di sciopero e adesione al sindacato, diritto alla dignità della persona ed alla salute. E attorno un clima di intimidazione costante, e da parte dei colleghi rassegnazione e assuefazione. Partecipare alle assemblee ed allo sciopero non era gradito; quando la “Famiglia” arrivava, un tam tam aziendale provvedeva ad avvisare tutti, non per il bene dei singoli dipendenti, ma per non rompere quell’armonia creata dalla “proprietà”. La fabbrica come luogo di relazioni umane e di emancipazione diventava solo frutto di mie fantasie. Tra operai ed impiegati un muro di confine invisibile pareva invalicabile.

Immagini:

Anni '90 uno sciopero all'ILVA

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Giovanna 1997 - La spiaggia

 

Dov’era la spiaggia?

Con un dito poteva tracciarne l’arco nella mente e disegnare le case affacciate sul litorale e la sagoma di Castello Raggio.

Se la realtà cedeva il passo alla fantasia il bianco e nero restituiva i sassi lisci e l’acqua che scivolava sui piedi e poi ancora i rumori del mare, del vento, del quartiere.

La spiaggia appariva nei suoi sogni, ma non faceva parte del suo passato poiché, è un fatto, per lei esisteva solo nelle foto seppia che i luoghi più improbabili della città – bar, circoli, sale di attesa – riservavano a clienti distratti o in fuga.

Ma era un incanto fermarsi a guardarla. Adesso che la abitava, l’immagine si riproduceva da sola. In un istante. Su richiesta.

 

Della spiaggia avevano parlato tutti: comitati, ambientalisti, uomini e donne del quartiere, evocandola con rimorso. La spiaggia conteneva i loro ideali di vita. Bellezza sottratta quando il progresso masticava cose meravigliose per il lavoro.

Erano undicimila ai tempi dell’assassinio di Guido Rossa gli addetti dell’Italisider. Praticamente un esercito con i figli e mogli e nonni che le dovevano rispetto e gratitudine. Così spiaggia e fabbrica combattevano alla ricerca di un senso, che è quello che si vuole dare normalmente alle cose passate, che sostenesse il suo essere lì. Sulla carta, all’alba del 1997, lei doveva far parte della schiera degli eternamente grati ad un’idea di progresso che politici, governo, comitati stavano smantellando in nome di un ambiente dalla consistenza dei sogni, ma numeri per malati di cancro sorprendentemente superiori alla media. Lei era parte dei duemilasettecento addetti delle Acciaierie ed ogni mattina varcava i tornelli. Loro non erano precisamente padroni cattivi. Erano padroni. In un lampo si erano comprati la siderurgia pubblica a prezzo di saldo. E i dipendenti avevano compreso che non sarebbe stata più aria. Aria per cosa? Aria e basta. La logica delle fusioni produce vittime. I dipendenti sapevano di essere vittime. Non si tratta di una consapevolezza lucida. E’ un sentire che si acquisisce giorno per giorno. E’ l’ufficio che fa capriole, con le carte all’aria, la gente che accorre, le domande pressanti, i bilanci, i conti, le analisi, le riunioni spietate. Perché avete fatto così? E’ l’8 settembre aziendale, inevitabile e atroce che impone le sue regole. E poi la tregua nella quale si contano fedeli e partigiani. Lei guardava il mutare dei caratteri, i colleghi tramutati in ombre, altri, in grado di riferire l’irriferibile, acquisire potere. Uomini e donne prima liberi, adesso un po’ meno liberi, come frenati dagli eventi, nel tentativo di assecondarne il flusso...

Immagini:

Anni '50 il litorale di Cornigliano e Castello Raggio prima della costruzione dello stabilimento Italsider

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Laura 2002 - Lauramilleposti

 

Venticinque anni compiuti, studentessa universitaria, cinque anni e mezzo che studio e lavoro, venticinque ed oltre primi giorni di lavoro. Lavori di ogni tipo: assunzione diretta a tempo determinato, assunzione tramite agenzie interinali per brevi o brevissime missioni, collaborazioni coordinate e continuative, lavori come extra nella ristorazione, e fiere semplicemente in nero.

Ogni posto, una t-shirt. Le conservo tutte.

Il primo fra tutti i miei “primi giorni” è quello di cui conservo il ricordo più bello perchè ha rappresentato il mio affacciarmi, un po’ per gioco, al mondo del lavoro, della retribuzione; finalmente mi sentivo produttiva, un senso di soddisfazione che studiare a tempo pieno non mi aveva mai dato.

 

Gli altri sono stati tutti diversi e tutti uguali.

Diverso il contesto, i colleghi, il lavoro da svolgere.

Uguale lo spirito con cui mi avvicinavo alla nuova esperienza, consapevole del limitato spazio temporale che avrebbe avuto nella mia vita e con ben chiara in mente la regola aurea che quel che conta è la prima impressione: per una proroga del contratto, per essere richiamati dall’agenzia interinale…

Il primo giorno di lavoro richiede anche l’adattamento a un nuovo ambiente con i suoi equilibri umani e lavorativi precostituiti.

Tanti primi giorni, altrettanti adattamenti.

Ostaggio di un sistema ricattatorio indosso il mio sorriso migliore e ogni volta cerco di dare il meglio di me…

Immagini:

2008 Laura durante il laboratorio teatrale "15 donne"

2000 - 2008 Le magliette di Laura 

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