Aurea     

Venni bollata quale passionaria femminista                                                              torna indietro

 

Il 1976 è stato un anno importante per le donne dell'Elsag, con l'aiuto del Consiglio di Fabbrica e grazie alla nascita del Coordinamento Donne FLM, abbiamo potuto fare una indagine sulla condizione femminile in fabbrica: Dico "abbiamo" perché ho partecipato alla stesura distribuzione e raccolta di un questionario, chiamato "Riunione delle donne" dal titolo dato ai nostri incontri preparatori.
Ne uscirono dati e situazioni che ci consentirono poi di chiedere alla direzione del personale, con maggiore cognizione di causa, l'applicazione della legge di parità nei vari reparti.

Per me è stata una bellissima esperienza, avevo potuto e dovuto occuparmi fino a quel momento solo di me stessa e dei miei genitori, ma in fabbrica mi stavo interessando senza superficialità ad un mondo del lavoro che fino ad allora avevo solo letto sui quotidiani.

Mi coinvolse il Coordinamento Donne FLM, che si stava occupando di argomenti essenziali per il movimento femminile; ho creduto in quel tentativo di migliorare la società ed in particolare l'ambiente di lavoro, ma per tutti, donne e uomini. Noi donne ragionavamo ed affrontavamo gli argomenti senza mai dimenticare che gli uomini, anche quelli del sindacato, avevano poca propensione a dividere spazi sia fuori che dentro l'ambiente di lavoro. Mi sono convinta che le donne abbiano maggiore capacità di esaminare i problemi nei dettagli e conoscono bene i confini dettati dalla praticità e dalla convivenza.
Lavoravo in un ambiente prevalentemente maschile e maschilista, con i colleghi non perdevo l'occasione di fare rilevare comportamenti discriminanti per le donne e presto venni bollata quale " passionaria femminista", ma venivo stimata per il fatto di non temere il confronto anche quando veniva coinvolto un superiore. Mi regalarono una targhetta di metallo con scritto: "la femminista la preferisco bella". Non avrebbero mai ammesso di aver modificato le loro idee, ma invece dai comportamenti si notava che stavano migliorando.

Mentre noi parlavamo di parità in fabbrica, per la prima volta sono venuta in contatto con il mondo mussulmano. Come già detto mi occupavo di commissioni estere, e dovetti trovare gli alloggi per gli ufficiali libici di una unità navale che si trovava a Genova, per un lunghissimo corso di istruzione. Ricordo la scena del primo colloquio con un ufficiale e la moglie: quando sono entrata in sala riunioni non ci sono state strette di mani ma solo cenni con il capo e "good morning"; la signora in disparte con capo coperto e sguardo rivolto o verso il marito o verso terra, l'ufficiale ha fatto le sue richieste rivolgendosi ad un ingegnere del cantiere navale di Genova, il quale le ha ripetute a me in italiano, io ho risposto in inglese che avevo già alcune case da far loro scegliere e corrispondenti alle loro esigenze, anche subito, se avessero avuto piacere di farlo. Il fatto di guardarlo in faccia mentre gli parlavo, e di rivolgermi anche alla moglie, doveva averlo infastidito, perché ha "sibilato" che non voleva discutere con una "femmina", ho ribattuto che io ero li per fare il mio lavoro e sistemare la sua famiglia, che sicuramente di case avrei parlato meglio con sua moglie, se fosse stato possibile, inoltre qui da noi l'argomento viene considerato più adatto alle donne che agli uomini. Non si scusò, ma scelse senza vedere la casa, nè chiedere alla moglie di farlo.
Non so se per quell'episodio o per altro, dagli ufficiali della nave libica mi arrivò in omaggio un "libretto verde" detto di Gheddafi , perché vi leggessi che il ruolo delle donne è di allevare figli e curare greggi.

Un giorno un emiro venne in visita al'Elsag con il suo codazzo di funzionari, fui chiamata in sala riunione per fornire dei disegni e dati tecnici per una offerta di apparati, sulla porta incrociai una bellissima donna, giovane e ben poco vestita che usciva palesemente alterata e che "stramalediceva" in francese; capii che doveva essere l'interprete. Appena entrata il responsabile del Marketing mi chiese se potevo per cortesia far portare del the all'emiro ed alla sua corte. Era in grande imbarazzo, poiché da poco avevamo avuto uno scambio di idee sul fatto io non ero in azienda con le mansioni di cameriera, cosa che a lui, tenace maschilista, non andava a genio. C'era un servizio bar e perciò l'emiro ebbe il suo tè. Verso l'ora di uscita dal lavoro mi chiamò nuovamente il responsabile Marketing e disse: " si prepari che deve accompagnare l'emiro, ha licenziato l'interprete francese, ha chiesto che sia lei ad andare con lui a Milano, è già giù in macchina che aspetta!" clic, nemmeno il tempo di rispondere. Tre secondi dopo entravo nell'ufficio del Direttore spiegandogli l'accaduto e dicendogli che se anche ero la segretaria dell'ufficio commerciale, non intendevo accondiscendere ai capricci di un collega che voleva fare bella figura con l'emiro; inoltre avevamo in azienda un interprete uomo. Disse ridendo : "Non si preoccupi ci penso io a rispondergli, venderebbe sua madre per una tanica di benzina". Si tornò sull'argomento il giorno dopo ed il maschilista disse che avrei dovuto essere molto lusingata, poichè l'emiro aveva avuto parole di ammirazione per le mie "forme", e che poteva essere una occasione sprecata.

Era sincero, era un uomo con l'aria molto snob ma con il cervello del bottegaio becero.

Negli anni ottanta ho lavorato con una commissione irakena, costituita da persone di tipo completamente differente, le mogli non erano quasi mai velate, molte erano laureate e parlavano inglese, alcuni ufficiali erano di religione cattolica ed di mussulmani praticanti non se ne individuavano molti, infatti a tavola bevevano e mangiavano qualsiasi cosa. I giovani erano molto colti ed interessati alla nostra storia dell'arte, facevamo anche pranzi di lavoro dove ero l'unica donna, ma senza alcun imbarazzo. Le famiglie creavano un pò di scompiglio nel residence dove alloggiavano perché cucinavano, mangiavano e dormivano sul pavimento, razziando le coperte, che non bastavano mai, invece di chiederle come ci si sarebbe aspettato.

Successe però che un venerdì pomeriggio l'ufficiale più alto in grado si presentò nel mio ufficio dicendo che sarei andata a passare il fine settimana con lui a Roma, non per lavoro ma per suo diletto. Naturalmente gli risposi che nel fine settimana mi occupavo della mia famiglia e non dei clienti dell'azienda. Mi tornò alla mente l'emiro, ma anche che alcuni giorni prima avevamo avuto una discussione, conclusasi a mio favore, per un documento contrattuale che stavamo preparando insieme e che lui intendeva stravolgere. Forse anche per lui era un modo per dirmi che con le donne si fa altro che discutere di lavoro.

Sempre in quel periodo dovetti occuparmi di una delle figlie degli irakeni, di quattro mesi , per portarla con urgenza al Gaslini. Mia figlia era ancora piccola e per me fu durissimo vedere quella bellissima bambina che stava per morire, perché non era stata curata nei primi mesi di vita. La madre giovanissima non le sapeva dare il biberon, dovetti pensarci io, sembrava intontita dalle cose nuove che la circondavano, e nello studio del neurologo stava seduta in disparte. Dovetti prendere la bambina al volo mentre stava cadendo dal lettino per una crisi epilettica, mentre il medico in ottimo inglese spiegava che non c'era più tempo da perdere, il padre con aria disperata disse: "ma io vengo trasferito a Roma la settimana prossima e forse presto sarò costretto a tornare in Irak, là non la sanno curare! Prego ci aiuti!" il medico gli diede istruzioni e medicine per l'immediato, e scrisse una lettera per un ospedale di Roma, molto dettagliata e per un ricovero immediato.

Quando iniziò la guerra gli ufficiali irakeni tornarono a casa. I più giovani ci chiesero di cercare loro un posto di lavoro qui in Italia, "facciamo anche i camerieri piuttosto che andare a morire a casa". Infatti alcuni di loro morirono dopo poco, lo venimmo a sapere da uno degli colleghi che era rimasto in contatto con loro