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Autunno 2010: indice degli argomenti e trascrizione dell’incontro. Cliccando andate su quello che vi interessa

 

Interagire con l'esterno? Tornare a riflettere sul conflitto tra maschile e femminile. Fare cultura è fare politica. Non siamo "tutti eguali". La cultura fa paura: considerazioni su scuola e biblioteche. Questioni di archivi: progetti e difficoltà. Maschile / femminile: transizione da modelli rigidi e definiti a situazione articolata e complessa. Il punto di vista delle giovani donne. Interazione con le altre culture. Difficoltà / impossibilità di definire il maschile e il femminile. Non sentirsi inferiori in una realtà che inferiorizza. Il consenso femminile. Cosa non abbiamo trasmesso alle nuove generazioni? La persistenza dei modelli. Quale è la domanda che non riusciamo a farci? Fasi distinte e scollegate nella crescita delle donne. Noi abbiamo un compito? Rapporti con Islam: realtà e stereotipi. Erotizzazione della immagine femminile. Contaminazioni, adesione ai modelli "imposti", declassamento delle professioni che si "femminilizzano". L'immagine della vittima sacrificale. Esclusione, disagio, consapevolezza,trasformazione di sè, riconoscimento del proprio valore. Tra set cinematografici, microcosmi e internet. Desiderio autonomo o adesione a modelli. L'influenza della cultura: dove e come si forma oggi una cultura "media"?.Donne col velo: Rapporti e difficoltà. Confronto tra culture. I simboli della subordinazione femminile qui e altrove. L'introiezione dei modelli. Il punto di vista delle donne lesbiche. Impossibile definire i "modelli". E poi: valori irrinunciabili, piacere femminile, cosa significa "evolversi"... Burqa, esibizione del corpo, chirugia estetica: è possibile aprire un confronto su cose apparentemente opposte ma in realtà simili? L'ostacolo al confronto frapposto dai fattori identitari. Ci vuole un metodo!

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Paola La volta scorsa avevamo discusso se aveva significato politico o meno il fatto di vederci, stare qua a parlare, e a fare questi pensieri; o viceversa no, se qualcosa di politico voleva dire entrare in relazione più esplicita e più pubblica col mondo circostante. Giovanna aveva detto di stare attente a che non si compromettesse la caratteristica di intimità del gruppo, esponendolo al contatto con l’esterno. Contemporaneamente, se facciamo questa cosa del testamento biologico, è sicuramente una esposizione pubblica. Però potrebbe non essere l’unica modalità o l’unico argomento per cui noi andiamo “fuori”. Per esempio ci potrebbero essere delle occasioni in cui incontrare delle giovani donne che possono avere un interesse a parlare con noi. Ormai è un anno e mezzo che ci vediamo, non è pochissimo, il gruppo finora si è mantenuto intiero, anzi, non solo si è mantenuto intiero, si è arricchito. All’inizio era impensabile l’idea di avere un confronto con l’esterno. Adesso si può iniziare secondo me a pensarci. Nel corso di questi ormai parecchi incontri ne abbiamo toccati di pensieri, di argomenti, di cose. Confrontarli con qualcuno che non è di questo gruppo potrebbe essere interessante, possiamo cominciare a pensare a trovare una strada.

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Luciana Tra ieiri sera e avant’ieri sera mi sono riletta l’ultimo incontro, e rileggendolo è evidente che dentro i nostri incontri ci mettiamo veramente tanto, troppo. Secondo me sarebbe meglio darsi un metodo che sia di parlare di una o di due cose. Poi alcune contaminazioni avvengono comunque. Allora, rileggendo l’ultimo incontro mi ha acolpito il tema del conflitto tra il maschile e il femminile … tu appunto la scorsa volta avevi detto che c’è sempre, comunque, una conflittualità inevitabile, ma anche vitale, tra maschile e femminile. E avere questa consapevolezza significa trovare strade che siano diverse dall’essere vittime subordinate, o avere dei nemici. E quindi non dobbiamo raccontarci, e farci raccontare la favola che ci deve essere un mondo migliore, senza conflitto. Perché a volte consumiamo delle energie verso questa che poi è una falsa battaglia. Quindi ragionare su questo sarebbe utile. Anche perché poi, come diceva Livia, si può anche "godere" del conflitto. E allora per tornare a riflettere della diversità tra il maschile e il femminile, anche quella che si perpetua continuamente nel vissuto quotidiano, bisogna parlare della famiglia, che è il modello per eccellenza delle relazioni femminili. Pina diceva la volta scorsa che il matrimonio è un rituale maschile: non abbiamo inventato noi la monogamia. Il maschile e il femminile sono due modalità di parlare di una diversità. A me interessava parlare di questo.

Anna Cassol Io ho trascritto le tre ore e un quarto di conversazione (voci: grazie … grazie … grazie … risate ). C’è sempre un intreccio di tantissimi temi che credo in realtà inevitabile, ed è la ricchezza, dal mio punto di vista , degli incontri. Allora, quello che voglio dire è che penso anch’io che possiamo scegliere un tema centrale, se poi da lì ci sono tutti i vari rametti, è la ricchezza di questa cosa. A me interessa questa questione del “perché il conflitto maschile / femminile”, e "è dentro di noi e fuori". Che poi riassume tutto. E potremmo forse trovare un’altra parola, “conflitto” dà immediatamente segno di una profonda negatività. Non so perché. Forse nella nostra cultura … probabilmente nelle culture orientali, il conflitto non è negatività: la dialettica tra Yin e Yang non è negativa, eppure …

Luciana B C’è una dialettica …

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Anna Cassol Noi di cultura greco romana, cartesiana, ci dicamo “conflitto” ed io immediatamente – che sono visiva – penso alla lotta, a una pallottola che parte ecc … Invece potrebbe essere interessante mantenere il termine "conflitto", quindi a me va bene continuare a lavorare su questo. Dico una cosa sulla questione del politico / non politico. Una considerazione per me importante è quella di Gloria, e cioè che “fare cultura oggi è fare politica”. Io credo che sia una strada importantissima, e credo davvero che sempre nella storia della umanità quando si è fatta cultura si è fatta politica, comprese le suore che pregano nei conventi, o i monaci che trascrivevano, o … . Eleana diceva che il nostro “è un gruppo di resistenza”, e la resistenza si fonda sulla cultura, e quando si perde la cultura si perde veramente tutto. Questo è il punto cruciale. Poi va benissimo fare degli atti esterni, il testamento biologico, anche gli inctri con le donen delle Istituzioni se ne hanno voglia ... mi va benissimo, ma mi va altrettanto bene fare, tra virgolette, “solo” questo, perché non è “solo”, ma è una cosa straordinaria, e d’altra parte poi ciascuna se vorrà partecipare ... abbiamo fatto Lo Sbarco, il gioco dell'oca va ad Aosta (risate). Quindi volevo dire, e finisco, che secondo me siamo straordinariamente “politiche”, molto più “politiche” di tutto il resto della politica oggi. La vera grande politica degli anni ’70, degli anni ’60, se c’è stata, è perché aveva dei fondamenti di cultura, perché quando non c’è più la cultura la politica diventa conflitto tra corporazioni, tra interessi, una cosa da condominio.

Pina Polis, la città, è perché siamo animali “culturali”.

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Arianna Secondo me uno degli elementi più tristi di questo momento storico, è che manca qualcuno che dica: “No, ok. È vero, ci sono tante cose che vanno male, ma ci sono anche persone che fanno cose positive, e anche qualcosa di diverso”. In questo momento esprimere una diversità dalle cose che tanto "sono tutte eguali", è un atto molto rivoluzionario. Questo è un atto politico, sì, ne sono sempre strata convinta; esprimersi anche all’esterno non so bene in che modo , ma anche semplicemente dire che esiste un modo di essere, di concepire la donna in modo diverso è un atto fortemente politico, perché non è tutto uguale, non siamo "tutti uguali", non fa tutto schifo, c’è qualcosa in cui crediamo di diverso, e dare una testimonianza di questo è una cosa molto importante. Secondo me adesso in special modo.

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Aurea Negli striscioni della manifestazione degli studenti c’era “la cultura fa paura”. Tutte le volte che gli studenti sono scesi in piazza, dalla Gelmini in poi, hanno questo striscione, perché questa scuola sta per essere svuotata di cultura. Tutti i passi che fa sono in quella direzione. La scuola sta diventando una cosa diversa dal luogo dove i ragazzi si acculturano.E a me fa paura, mi fa veramente paura. Sono convintissima che tutto questo meccanismo che ora è in moto sulla scuola sia proprio perché la cultura fa paura. Io ci vedo un disegno sotto, non lo so, vorrei sentire voi.

Alisia C’è il problema del precariato nell’insegnamento, e il precariato incide nel riuscire ad organizzare un programma. Tra chi ha già fortunatamente superato la fase del precariato nell’ambito scolastico, c’è qualcuno che fa “resistenza”, ma adesso c’è un doppio problema: un turn over di docenti, e in più questi poveri professori non sanno che fine faranno l’anno successivo. Poi, dal punto di vista degli strumenti: la biblioteca dovrebbe essere il luogo del sapere, dovrebbe essere un luogo aperto, da cui si apre la cultura alle persone, a chi non va più a scuola, e loro hanno grossi problemi di fondi, non trovano i soldi per scaldare le sale, per sostiuire il dipendente che va in pensione Quello che potrebbe essere un luogo di diffusione, invece è depauperato sia dal punto di vista della conservazione, sia dal punto di vista della comunicazione: non gli viene dato alcun valore.

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Livia Mi stavo dimenticando di dire una cosa. Allora, in controtendenza con le cose che vanno male e che non si fanno, sta per partire un progetto, credo che parta da Milano, da qualche università che non ho capito bene quale sia, anche in accordo con il Ministero, e che dovrà riguardare i nostri istituti di ricerca del ministero di Piemonte, Lombardia e Liguria, per cui verrà creato un gruppo di lavoro interregionale, cioè del triangolo industriale Genova, Torino, Milano, per dare il via a un progetto di utilizzo per la scuola degli archivi industriali, e problematiche analoghe, digitalizzati. Per arrivare a fare delle proposte didattiche a partire dalla scuola elementare, quindi a partire dei piccoli, sulla storia industriale italiana. Che, secondo me, è una buona cosa, no? Tantè che io mi ci sono subito messa per la Liguria ...

Luciana Ci hai messo gli artigli …

Livia … Ci ho messo gli artigli … nessun altro ci voleva stare (risate) … Però secondo anche rispetto a tutto il materiale del lavoro nostro ci si può pensare.

Paola Su questo … un anno fa era venuto a Genova Luciano Gallino, che ha creato un archivio di documentazione sull’industria, per stabilire delle relazioni, dei rapporti con gli archivi genovesi: Fondazione Ansaldo, Centro Ligure di Storia Sociale. Non so se poi questi rapporti e relazioni siano andati avanti. Se parte un progetto di questo tipo dovremo essere attente che questa cosa non passi solo tra le grandi strutture già consolidate, come può essere l’archivio Ansaldo. Perché il nostro CLSS vive di carità pubblica in maniera abbastanza stentata, i processi di digitalizzazione sono fermi perché i soldi che ci vogliono non ci sono, gli orari di apertura del CLSS si stanno restringendo … vedo lì una situazione che non è proprio fiorente, e quindi un occhio di attenzione a quello che avviene, sia al centro ligure, sia al fatto di non essere escluse da altri progetti…

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Paola: Però vorrei tornare alla questione del conflitto. Io ho ancora dei problemi di definizione dei termini maschile e femminile: in cosa consiste oggi questo conflitto tra maschile e femminile, e come si determina il femminile oggi. Questa è una domanda che avevo già posto la volta scorsa: le diverse modalità di senso di sé, di coscienza, di espressione, di manifestazione dei termini “maschile” e femminile”, a partire dai bambini, dagli adolescenti, dai giovani. Un tempo i modelli erano molto più definiti, codificati, i binari da seguire tra maschi e femmine erano molto più chiaramente pre-definiti, istituzionalizzati, per cui partivi dal fatto che le donne non dovevano nememno andare a studiare perché tanto ... oppure facevano gli studi fibalizzati alla buona gestione della vita domestica, se avevi una posizione sociale che non fosse la contadina proletaria, che allora andava nei campi. Ma se eri borghese andavi a fare le scuole per poi diventare la brava signora della casa. Adesso la situazione è molto più articolata, complicata. Noi abbiamo vissuto una transizione da una situazione in cui i modelli erano definiti in maniera netta, più chiara e “binaria”, abbiamo fatto azioni e lavori per scompaginare questa cosa, però queste diverse modalità non sono così chiare, e mi sembra che non ce ne sia una consapevolezza. Adesso da parte di persone giovani, che non hanno ancora avuto impatti con alcune esperienze esistenziali come la maternità, c'è la sensazione che, va beh, non c’è differenza, perché io sono vispa come e anche più di quegli altri, studio, e cosa mi vieni a dire che …

Però poi al dunque ci si arriva, ai nodi, che vanno dalle violenze sessuali, ai rapporti con la maternità, a una infinità di cose come il fatto che la disoccupazione sta diventando di nuovo molto più femminile che maschile. Ma adesso in che modo pensiamo che si formino quelle che possiamo intendere come modalità di pensiero, di espressione, maschile e femminile? Cos’è che viene trasmesso? Per quale motivo è ancora così forte una modalità violenta di rapporto tra donne e uomini nell’ambito familiare?

E poi: in che modo la vicinanza ormai fisica, prossima, di altre culture interviene su questo? La mia vicina di casa del Bangladesh, che fino a un mese fa portava il velo, da un mese a questa parte porta il Niqab, e la sua bambina di cinque anni ha già il velo nero sulla testa ... Cos'è che ha fatto scattare questo cambiamento, come giocano i fattori identitari? Un mio amico arabo dice che donne che prima non portavano il velo, ora lo portano, come reazione: “Tu mi vuoi togliere il velo, allora io lo metto". Ma “io” chi, mi chiedo? Penso: il tipo che ha il negozio di sotto, più che sua moglie.

Voce Come facciamo a saperlo?

Paola Come facciamo a saperlo? Esatto. Però mi vien da dire: è il amrito.

Voce E’ un pregiudizio.

Paola E’ un pregiudizio, può darsi, però mi viene da dire così. E questa cosa fa sì che io non abbia più nessunissima voglia di andare a comprare dal negozio di sotto.

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Anna Cassol Ritornando al punto che mi pare ci girino tutte intorno e sia quello più importante del conflitto maschile – femminile, penso che sia molto difficile descrivere che cosa sia il maschile e cosa sia il femminile. Mi spiego. Quando diciamo che il maschile e il femminile sono intrinseci in ciascuno di noi, maschio o femmina che siamo, e che sono intrinseci nella società, e diciamo anche che il maschile predomina ... in realtà predominano gli uomini, che probabilmente hanno calpestato il loro femminile, e le donne sono sottoposte. Tu dicevi: se tu parlassi con le giovani non ti direbbero “io mi vivo come inferiore, come quella che deve fare certe cose e non certe altre”. La differenza per me è proprio questa. Lo scatto è che io pensavo in qualche modo di essere inferiore, e dentro ci avevo che mi chiamavo Anna Cassol, che ero una femmina, e che ero nata in quel momento in quel paesino; cioè la nostra identità è un coacervo, è un insieme di molte cose, ma in un certo momento io ho sentito che l’essere donna era prevalente nel mio sentirmi inferiore, nel non valorizzare me stessa. Credo che la differenza oggi sia questa. Cioè che le ragazze "non si sentono" inferiori, diverse dai loro compagni, ma poi fanno i conti con fatto che … sei incinta, firmi un contratto diverso, che ti dicono "preferisco che non sia una donna", che non puoi far carriera perché hai i figli e non ci sono gli asili … ecc. ecc. Ma secondo me loro non si sentono inferiori come persona. Allora in questa società c’è questa strana situazione (e questo è l'interessante): le donne non si sentono inferiori, però poi fanno i conti con la realtà che …

Giovanna … che inferiorizza

Anna Cassol  … che inferiorizza, che emargina. Siamo un po’ in una situazione di passaggio.

Fra l’altro è interessante vivere vicino a questa estremizzazione: cioè se un marito ti dice di metterti il velo, tu te lo metti perché sei apparentemente d’accordo, come noi siamo apparentemente d’accordo, ma "apparentemente" in profondità. Cioè se tu continui a sostenere il matrimonio, il matrimonio l’hanno inventato davvero gli uomini perché dovevano mantenere la prole, e il patrimonio, però in realtà noi donne “accettiamo”. Quindi come si fa poi a distinguere se è violenza? – lo dico provocotariamente.

Luciana Brunod: Salvo quelle che si fanno ammazzare …

Anna Cassol  … meno male

Luisa Meno male no!

Anna Cassol Era per dire che poi le trasformazioni ci sono, e sono faticosissime. Quello che in sostanza volevo dire è che temo che non sia possibile definire che cos’è il maschile e il femminile; non è che puoi dire “questo è femminile, e questo è maschile”. Bisogna saperlo, e soprattutto bisogna fare i conti con questa ambivalenza, che poi è la ricchezza in realtà, ma che non è riconosciuta.

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Luisa C’è un sito di donne che hanno fatto un documento, è un gruppo di cui fanno parte le Comencini, che hanno fatto anche uno spettacolo, dove ci sono una donna della nostra età e una ragazza giovane che parlano. Tra le cose che la ragazza dice alla persona più anziana, c'è che la nostra generazione ha fatto credere alle ragazze che tutte le conquiste che erano state fatte dalla nostra generazione erano conquiste “accettate”; poi loro si sono ritrovate che non erano accettate per niente, come dicevi tu prima, che poi ci sono i nodi. Tu hai detto “la nostra generazione si è scoperta che aveva questo bisogno di fare il salto, che si riconosceva una sua identità e una sua specificità", però questo l’abbiamo conquistato per noi. Per noi era chiaro, ma non era chiaro per le ragazze, per le giovani. Noi in qualche modo gli abbiamo fatto credere che questa conquista era una conquista per tutte le donne, anche per quelle che sarebbero venute dopo, …

Paola Intendi che la coscienza di sé che non si è trasmessa?

Luisa Sì, che non è trasmessa, e secondo me questo è proprio un salto.

Anna Cassol Scusa, io vorrei dire il contrario, perché le ragazze di oggi la coscienza di sé secondo me ce l'hanno, è il fuori che …

Luisa è il fuori! In qualche modo avendo noi conquistato, fatto questa conquista, è come se l’avessimo fatta per tutte le donne, e invece poi loro hanno scoperto che non era vero, e questo ha determinato anche uno scollamento, no?, fra le due generazioni. Noi questa cosa qua non l’abbiamo trasmessa.

Anna Cassol ma allora anche la democrazia …

Luisa Ma adesso parliamo di questo. L’altra cosa che volevo dire sui modelli del maschile e del femminile è che ho sentito alla radio che hanno dato un premio alla Michelle Obama: nella graduatoria delle donne più potenti è lei, la Michelle Obama.

Paola E la Merkel?

Luisa No, la Merkel è sotto

Vvoci sovrapposte: ma potente in che senso? Perché è la moglie!

Luisa Esatto! La giornalista che ha parlato di questa cosa, la Ritanna Armeni, ha detto che “è giusto averlo dato a lei, perché lei è una donna che fa l’orto e ha due figlie che sta allevando in maniera diversa (cosa volesse dire non lo so), e che comunque lei è una first lady, in America non è come in Italia che la first lady non conta un tubo, e che le ragazze giovani si possono riconoscere in questo modello. Quindi, ragazze, il modello è ancora quello lì: ha l’orto, due figlie ed è potente (sovrapposizone di voci e risate), e questo modello è una meraviglia. (sovrapposizone di voci), un modello nel quale si possono riconoscere. L’ha anche definito innovativo. Invece io ho pensato: siamo sempre allo stesso punto, di nuovo c’è l’orto. (risate)

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Pina: Stavo cercando cosa poter proporre per una discussione che non sia troppo complessa e troppo dispersiva, e siccome il maschile e il femminile è un titolo enorme, lo si può guardare da tutti i punti di vista. Noi possiamo sceglierne alcuni: maschile e femminile nella famiglia di oggi e nella sua trasformazione; maschile e femminile nel linguaggi; maschile e femminile nel lavoro ...

Cercare collettivamente quali sono i titoli, e i sottotitoli, maggiori, considerarli come punti di vista, e poi metterci una domanda per tutti questi punti di vista. La domanda è: "Questo problema che poniamo è per noi un problema oggi irrisolvibile, oppure possiamo dare un contributo perché possa essere risolto?" Prendiamo il punto di vista più grosso, "maschile e femminile in famiglia", con tutte le cose che diceva lei: ci sono domande che non ci facciamo perché ci paiono domande a cui non riusciamo ancora, o non vogliamo, dare una risposta?

A me questa cosa qui pare molto importante, sono stata chiara? Titolo: maschile e femminile: i punti di vista, le domande che ci facciamo (perchè più che domande non possono essere, con qualche risposta... diversa, meno diversa, conflittuale ... ), e le domande non possiamo farci perché non è possibile, perché non viene la domanda, perché non è l'epoca per poterci fare quella domanda. Insomma, quali domande neghiamo a noi stesse perché non riusciamo a trovare una risposta, nel senso che tocca tali punti antichi, così strutturati, che non vengono neanche alla consapevolezza.

Anna: Posso fare una piccola precisazione su questo? E' vero che quando uno dice farsi la domanda in realtà ha anche la risposta, almeno la via alla risposta, e che quando uno dice il problema vede anche le soluzioni. E' proprio quando non sa dirlo che...

Pina:Ecco è questa cosa qui! Possiamo insieme farci una domanda su questa cosa "che non ci facciamo la domanda"?

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Arianna: La domanda che mi galleggia dentro e che mi da il tormento, lo stimolo che ho più presente e che mi fa soffrire, è questo: ci sono delle fasi distinte e scollegate nella crescita delle bambine, delle ragazze, delle adolescenti e delle donne. E' quello che mi sembra sia venuto fuori molto bene da tutti i vostri interventi. Per le ragazze, finché sono bambine, questa differenza è proprio solo nel vestire, ma neanche, perché si vestono come maschietti, le mamme le portano all'asilo, alla scuola fanno gli stessi giochi, salvo qualche piccola eccezione: Si sente dire “Chissà come mai la mia bambina si è comportata cosi?” Quasi a stupirsi che escano delle connotazioni di una femminilità che già esiste. Non riusciamo neanche più a definire che cosa è maschile e che cosa è femminile guardando questi bambini, perché le bambine sono aggressive, perché le bambine fanno gli agguati, perché le bambine picchiano le più deboli; c'é questo mito della forza, chi è più forte vince, non importa se maschio o femmina. Poi però poi arrivano le mestruazioni e cominciano a fare la differenza, e allora quelle che sono mussulmane si mettono il velo e diventano donne adulte con una connotazione ben precisa, e cominciano a fare i conti con questa diversità, ma ancora continuano a pensare di potercela fare, perché a scuola sono brave, perché riescono ad essere vincenti, ed il conflitto fra i ragazzi e le ragazze punta sempre a chi si sente vincente, non importa se maschio o femmina. Il problema nasce quando c'é il confronto con la società. Non abbiamo preteso da questa società strumenti per rendere pari chi si sente pari, perché a quel punto comincia a capire che non è accettata, che è diversa, che è trattata diversamente, e a quel punto ormai è tardi perché non si è strutturata con quegli strumenti che veramente le danno la forza di affrontare il conflitto. Perché il conflitto c'è, però bisogna essere pronti ad accettarlo, a non farsene distruggere.

La donna che strumenti ha per non sentirsi perdente, quando ancora tutto è strutturato per far fare alla donna dei passi indietro? E' questo che mi galleggia dentro. Noi l'abbiamo trovato lo strumento per riuscire ad affermare e rivendicare la nostra identità; le ragazze oggi non sanno dove girarsi. Se noi abbiamo un compito è quello di offrire delle occasioni culturali per dar loro un po' di consapevolezza che non sia il fatto di farle rinunciare. Ci sono donne che non vanno neanche più ad iscriversi al collocamento, perché lavoro non ne trovano. Come fa una televisione a diventare uno strumento di cultura se poi sparge modelli come quelli che sta spargendo? Ci distrugge!

A questo punto, noi vogliamo avere un compito? E' forse il momento di uscire come gruppo a fare delle cose? Far nascere nelle adolescenti il bisogno di porsi delle domande finchè sono ancora in tempo per trovare delle risposte, per diventare delle donne capaci di affrontare il conflitto nella vita?.Io sono proprio in difficoltà, non saprei da dove cominciare.

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Arianna: Questa mattina ho comperato l'Internazionale, sulla copertina c'era scritto: “Uomini che odiano le donne” il disegno è una donna islamica, e quindi il giornalaio e la giornalaia che sono fratello e sorella iniziano a dire “Ecco qui inizieremo a vedere il burqa” e la sorella mi dice “Dovresti leggere quell'articolo che è uscito sul Giornale! So che tu non compri il Giornale, ma è molto interessante perché c'è un imam che spiega come deve essere picchiata la donna” E io a quel punto, visto che mi lanciavano tutti questi stereotipi, ho detto “io conosco molti islamici sereni, rilassati che vivono la loro religione con tranquillità, ed islamiche che mettono il velo consapevolmente”. “Eh, consapevolmente non credo proprio” dice lui. Quindi lì si era assolutamente annidata questa forma di pensiero. Ed io ho provato a replicare che esiste un islamismo moderato, che esiste un femminismo islamico che vorrebbe venir fuori, che si sta anche combattendo in Iran, che non dobbiamo vedere le cose soltanto in questa maniera. Secondo me alla fine il lavoro va fatto cercando di avvicinare questi gruppi. Su Radio3 se ne è parlato parecchio questa settimana, poi non so quali siano le modalità però secondo me Paola può trovare un modo per chiedere alla sua vicina di casa “come mai?”

Paola: "come mai" è inquisitivo.

Arianna: ... Sì, ma non ritirarsi completamente dal porre la domanda, magari uno le porta un dolce...

Pina: Quando la Caramore si occupa dell'Islam a Uomini e Profeti su Rai3 è uno dei modi.

 

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Giovanna: Anna diceva che è difficile definire il maschile e femminile, io invece sento che viviamo in una società dove maschile e femminile hanno una definizione a livello di immagine estremamente forte. Io sono molto proccupata

Anna: maschile e femminile, o maschi e femmine?

Giovanna: "Maschi e femmine" è un po' diverso. Se parlo di immagine abbiamo maschile e femminile. Per esempio alle nostre ragazze viene proposta una immagine femminile che è molto più erotizzata di quanto lo fosse quindici anni fa. E questa cosa mi preoccupa. Se guardiamo in un reparto per bambini i costumi che vengono proposti alle bambine di due o tre anni c'è letteralmente da spararsi un colpo in testa, e se accendiamo la televisione, avete visto i modelli femminili che ci vengono proposti?

Anna: Posso inserire una cosa? Da una ricerca scientifica è emerso che si è abbassata notevolmente l'età delle prime mestruazioni delle bambine in Europa, e già si pensa che sia proprio il messaggio culturale che va ad incidere sugli ormoni.

Pina ed altre: torniamo indietro!

Anna: Ad un certo punto ho scritto: "la mancanza di presidio", e questa idea del presidio mi martella da un anno e mezzo. Presidiare le conquiste che sono state fatte, e quello che diceva prima Luisa: "abbiamo dato alle donne, alle nostre figlie, una consapevolezza ed una forza interiore che però non possono far valere all'esterno, come se non fosse una moneta di scambio, non vale". Queste sono le mie considerazioni.

Alisia: posso fare un inciso veloce? Proprio sull'ultima cosa che hai detto tu, la mancanza di presidio. Quest'estate vi avevo mandato qualche messaggio sui gruppi di Roma, la Casa Internazionale delle Donne. La proposta di legge della Tarsia sta andando avanti, ed è praticamente una proposta per una privatizzazione dei consultori, con l'inserimento di una figura di controllo etico e con un grosso vizio politico e conflitto d'interessi. perché la Trasia è la Vice Presidente del Movimento per la vita. C'è tutto un problema legato anche alla sperimentazione della RU. E' una cosa sulla quale sta lavorando un Coordinamento dei diversi gruppi di donne, sindacati romani, hanno fatto una raccolta di firme. Però questa è la prova che non c'è presidio, o c'è all'inverso. Il problema è che può essere un grave precedente a livello nazionale, potrebbe essere proposto in altre regioni.

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Alisia: Volevo ritornare sulla parola contaminazione, perchè forse si è creata un po’ di confusione. Volevo riportarla al significato che in quel momento le avevo dato: io intendevo contaminazione tra le diverse esperienze che esistono attualmente, che operano e sono rappresentate dai movimenti femminili, dai movimenti omosessuali, dai movimenti extracomunitari. Contaminazione intesa come queste alterità, è li che può nascere qualcosa. Io per contaminazione intendevo non tanto la mediazione tra il nuovo rituale femminile e il rituale maschile. Non penso che ci porti da nessuna parte venire a patti, trovare un rituale di mezzo.

Laura: Volevo dire che alle volte la donna perde l’interesse ad occuparsi di cose altre, che può essere l’attivazione politica, la voglia di esserci, di stare in posti di potere, anche perché la cura dei genitori anziani, dei figli, della casa e di tutto quello che io chiamo burocrazie (come occuparsi dell’assicurazione della macchina, dell’idraulico ... ) sottraggono alla donna tempo ed energia, e alle volte si trovano costrette anche a rinunciare ai propri sogni. Quello che diceva Paola sulle giovani donne io trovo che si intersechi, perché la società, i modelli che passa, il dover avere un uomo, il dover avere un figlio, è un "dovere" che ti toglie il tempo di fare quello che veramente volevi fare, che non era il matrimonio, non era per forza un figlio ecc. Una domanda provocatrice: se la donna continuerà ad occuparsi della cura della famiglia, e poi anche della della politica, presenza ai vertici, ecc: l’uomo cosa fa?.....

Gloria: Voi pensate che un mondo fatto solo di prendersi cura potrebbe funzionare? (coro: nooo)

Anna Cassol: Scusate, ma riflettiamo un attimo: se c’è una cosa che si prende cura è la scuola. Prima della guerra chi insegnava era su un piedistallo, pagato, ed erano nella maggioranza uomini, con donne che andavano nei paesini, le maestrine. Qui il problema è: la scuola si è declassata e perciò hanno fatto entrare le donne o il fatto che siano entrate le donne l’ha declassata? Questa è la domanda. A me viene da dire che è stata declassata, ed hanno permesso alle donne di entrare, però non lo so. Ancora una cosa, la medicina oggi sta diventando a maggioranza femminile, la magistratura anche, sono dei luoghi di potere mica male e infatti li stanno declassando. Dobbiamo chiedercelo.

Laura: Secondo me la donna che cura si deve dare lei stessa valore perché molto spesso la donna che si prende cura - può essere il figlio, il genitore vecchio - si svilisce, si sente inferiore perché lei stessa si sente di fare una cosa che non vale. Se la donna si dà valore, nel momento che io sto seguendo la persona mi sento contenta, mi sento che valgo perché sto facendo qualcosa di importante… E’ dura!! però bisogna darsi valore se nò è una cosa che ti sottrae e non ti lascia niente.

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Arianna: In tutto questo discorso che stiamo facendo oggi c'è la vittima sacrificale, ma questo ci piace? E perché? Che immagine ha la donna di sé, che immagine diamo alla donna? Se noi ci rispecchiamo in una data immagine noi vogliamo essere quello, se la donna deve essere scalza e con la corona in testa, gentile e sensuale noi ci rispecchieremo in questo.

Gloria: Mi è venuto in mente che ho letto un libro di un sociologo che fa una rappresentazione dei comportamenti delle persone emarginate per un qualche motivo: perché hanno un handicap fisico, mentale. oppure perché sono negri ecc. ecc. e mette molto bene in luce come la persona emarginata spesso si comporta esattamente per essere emarginata, e questo mi sembra che colga quello che tu dici. Se una donna vuole sentirsi emarginata si comporta da emarginata.

Arianna: E soprattutto è una vittima sacrificale, si sacrifica per Dio e per il mondo. E questa cosa qui della vittima sacrificale mi faceva venire in mente la cura del mondo, del riconoscimento, in qualche modo c’è sempre una valenza mistica.  In tutto questo discorso che stiamo facendo oggi sui rituali, c’è sempre una sensazione che vibra, una sensazione di vittima, invece cosa dobbiamo fare: la forza delle donne, l’essere l’altra metà del mondo è una cosa potentissima. Rituali nuovi, in cui tutti ci rispecchiamo, non si creano a tavolino, bisogna creare delle consuetudini. Portare il maternage di massa fuori, è una cosa di una vitalità incredibile, però sento questa sensazione di vittima sacrificale nel sottofondo che aleggia. Da una parte questa spinta molto forte, di una vitalità immensa, dall’altra parte però sotto questa cosa di essere delle vittime, questa vittima che in qualche modo c’è sempre, immagine di donna non armata. Perché comunque i cambiamenti si fanno armati.

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Gabriella: Rispetto alle professioni che corrono il rischio di svilirsi e perdere di valore per la presenza delle donne mi è venuto il pensiero delle donne che desiderano entrare in polizia, nelle forze armate, nella marina militare, dappertutto dove c’è un ordine militare che ha fatto una resistenza incredibile per lasciare lo spazio alle donne, erché avrebbero sicuramente svilito il ruolo dell’uomo maschio fiero che difende la patria ed ha questi ruoli così importanti. E invece io penso che le donne nei secoli, da quando il cristianesimo ha cominciato a darsi una veste di istituzione, hanno accettato di avere un ruolo servile; le monache sono le spose di Cristo ed hanno un atteggiamento di servizio al sacerdozio che è esclusivamente maschile. Le donne all’interno di queste istituzioni, di questi rituali sono sempre state escluse .

Luciana: Non sono d’accordo, le donne all’interno dei conventi hanno avuto potere.

Gabriella: La donna contaminava le armi perché era mestruata. Per le donne il sangue significa vita, per gli uomini significa perdere la loro integrità. Noi nella società curiamo i bambini, gli anziani, ma poi quando si tratta del potere, quello che fa le leggi, ecco che noi facciamo un passo indietro, non riusciamo ad avere questa consapevolezza del valore di quello che facciamo, e la forza di farlo contare.

Arianna: La verità è che si dovrebbe rientrare in categorie che non sono nostre, e quindi nel momento in cui bisogna utilizzarle ci si sente a disagio.

Gloria:Secondo me qui si stanno scontrando due concettualizzazioni diverse. Una - chiamiamola contaminazione - che vede un’ipotesi di mondo migliore con un maggiore intreccio di maschile e femminile, ed implica quindi una maggior visibilità pubblica del femminile. Mentre mi sembra che ci sia un’altra ipotesi che vede un nuovo portato dalle donne che sia qualcosa di diverso sia dal maschile che dal femminile.

Giovanna: Non so se le donne che vedo agire adesso, a parte questo gruppo ristretto, siano così consapevoli e desiderose… Non so se quello che stiamo pensando qui possa stare nella realtà esterna, perché io avverto di più un senso di perdita, e una regressione della donna rispetto a quello che le è passato davanti vent’anni fa o venticinque anni fa, e secondo me il lavoro da fare è proprio più interiore, è proprio un recupero di consapevolezza sua. Se non c’è la consapevolezza sua, tu lavori con del materiale... è come iscrivere un ragazzo ad un corso di greco quando deve ancora imparare l’alfabeto. Io avverto una perdita dell’alfabeto, mentre l’uomo nel suo modo di viversi non è cambiato. Io avverto questa regressione.

Paola: Luisa ad un certo punto ha detto "I rituali non si costruiscono, non si creano per una decisione intellettuale; si possono creare dei nuovi rituali, delle nuove modalità di gestione del mondo, se ci sono delle condizioni intime e profonde che ti sei creato. All’epoca in cui abbiamo fatto il lavoro delle donne infatti noi abbiamo agito su quello, la trasformazione individuale era la condizione senza possibilità di alternativa per poter inventare e proporre una trasformazione pubblica, politica. Tu hai dovuto cambiare te stessa, cambiare dei rituali privati. Ciascuna di noi ha cambiato quello che succedeva nelle relazioni della propria famiglia. Senza quello non potevi pensare di cambiare.

Giovanna: Secondo me c’era un desiderio. Si partiva dalla consapevolezza che stava nascendo questo desiderio e che bisognava soddisfarlo, e quindi c’era un’urgenza. Adesso io non lo so se c’è … certo che si va avanti lo stesso.

Luisa: Questo si collega a quanto diceva Anna: prima io devo avere una consapevolezza maggiore, devo essere convinta del mio valore per poter andare avanti. Sono tutti passaggi inevitabili: per essere riconosciuta dagli altri prima ancora devo riconoscermi.

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Eleana: Quello che percepisco è come se fossimo in un film di ambientazione western e ci fossero delle quinte finte di un set cinematografico. Non c’è il bisogno di cui hai parlato tu e che ha citato Giovanna: la consapevolezza di voler arrivare a qualcosa, perché in teoria le quinte che vengono offerte dicono che abbiamo raggiunto delle cose, ci sono degli obiettivi, quindi non c’è più il bisogno di raggiungerli, perché platealmente, di facciata, ci sono. E' un gap temporale inevitabile, non c’è ancora la consapevolezza di aver perso tanto, non è ancora sentito. Forse è sentito individualmente, non è ancora diventato un afflato collettivo perché ci vuole tempo per rendersi conto di queste perdite.

Luciana: Mi viene in mente quello che ha detto Giulietta: era andata in una scuola superiore a fare lezione di genere e c’era stata una ragazza che, quando lei ha parlato delle discriminazioni salariali ha detto rivolta ad un insegnante: “Ma di cosa parla quella lì?” Non dirmi che esiste questo!

Paola: Anche perché capire che ci sono delle discriminazioni salariali adesso non è così immediato, non è come quando nel passato avevi le paghe differenziate per contratto.

Alisia: Prima di tutto è certo che il nostro è un microcosmo nel quale noi comunichiamo, ci comprendiamo - magari non completamente per motivi di esperienze diverse. E' il rischio che si corre sempre, che io vado avanti baldanzosa, questa cosa mi entusiasma, vedo qualcosa che si può sviluppare e poi magari esco di casa, piglio la facciata e dico : “Ah forse ti devi ricordare che tu hai un microcosmo, e che nel tuo piccolo mondo di Alisia puoi condividere delle cose, ma po,i esternamente, non ci sono relazioni che ti permettano di continuare a condividerle” Però vediamolo in modo diverso. Il nostro microcosmo è importante: il piccolo gesto o le cose che faccio nella mia quotidianità ... perché non dare valore a questo movimento di piccole cose? Se noi diamo importanza al nostro microcosmo, la nostra esperienza comunque ci porta ad un risultato, sicuramente ad una maggiore consapevolezza e sicurezza. C’è chi ci porta indietro, e magari ci sono tante persone che non si accorgono neanche di essere portate indietro, ma anche un piccolo movimento è qualcosa che ha un valore.

Aurea: Io volevo raccontare un’esperienza, per collegarmi a quello che aveva detto Anna prima: Io ho avuto paura del potere e di quello che dovevo fare per arrivarci, ho avuto un’occasione e sono scappata. Allora non ho mai detto la parola "paura", non mi è mai uscita dalla bocca, ho trovato mille giustificazioni, però il fondo era una paura tremenda, perché non condividevo il modo, non ero disponibile, non ero capace ad omologarmi in quel modo che era totalmente maschile per avere quella posizione di potere. Sono scappata, però poi mi sono inventata un altro lavoro e ho preso coscienza che non lo volevo fare come gli uomini. Era un mondo di uomini, però ho voluto fare a modo mio, e mi ha dato - lo vedo adesso - un successo, il lavoro mi è arrivato a valanga. Ho avuto la conferma che è stato il modo diverso che è stato vincente. Quindi non sono d’accordo di sposare i riti maschili, voglio, se è possibile, suggerire dei modi nuovi e credo, che internet possa essere uno strumento dato a voi giovani per trovare il modo nuovo. Anna dice che girando si trovano siti di donne, io ci credo che si possa, è uno strumento, il fatto di essere lì con un sito…

Laura: Infatti le mie amiche non hanno letto niente della mostra, ma il sito l’hanno girato come i bambini. Hanno guardato le foto, però.

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Paola: Mi venivano in mente le cose che diceva Lauretta la volta scorsa rispetto ai suoi coetanei, o anzi ormai non piu' coetanei perche' sta invecchiando a vista d'occhio anche lei! Diceva che le ragazze, sì, hanno una disinvoltura sessuale, vanno, fan l'amore ... ma come se non venisse da un loro desiderio: Loro rispondono, diciamo cosi', a un modello di comportamento a cui si adeguano per non essere fatte fuori dal gruppo, escluse o tacciate da imbranate, da persone che non sono accettate.

Gabriella B.: ne siamo sicure?

Luciana: Un po' sì, ne ho sentito parlare anche io, ho visto i comportamenti delle ragazze con mio figlio

Paola: Quella volta si parlava del desiderio. Allora: il comportamento delle giovani, di cui nulla so davvero, corrisponde ad un desiderio, ad una coscienza di se' per cui "io desidero questa cosa", oppure semplicemente io mi adeguo a dei comportamenti ipersessualizzati, che sono quelli proposti a valanghe dalla pubblicità, dalla televisione, dagli spettacoli, dal modo con cui l'immagine della donna e' ampiamente smerciata? Non so cosa passi nelle famiglie su questo piano. Giovanna dice "attenzione che anche quando le porti per fare una cosa banale come comprare un vestito, ti ritrovi che anche a bambine molto piccole viene proposto un abbigliamento che induce subito un messaggio di tipo sessuale". Cosa avviene dentro le famiglie su questo piano? C'e' una connivenza? C'e' un compiacersi?

Giovanna: dipende dal livello culturale delle famiglie, perche' ho notato che se e' una famiglia dove si legge, dove giran dei libri, c'e' una resistenza, il genitore opera una riflessione. Se e' invece una famiglia dove il sabato e domenica si va all'outlet, niente, non c'e' scampo.

Paola: Quindi vuol dire che uno dei punti critici e' dove si forma adesso un pensiero, una cultura media, diciamo cosi. In che modo si forma. Perche' se si indebolisce in maniera sempre piu' grave la formazione di una cultura diffusa, che abbia origine in sedi che possono essere la scuola, o il sindacato, i partiti, ecco che, come dire, ormai si sono aperte le porte all'entrata del Tamigi. Quello che arriva è senza filtro, inquinato dalla pubblicità, da quello che passano i mezzi di informazione.

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Maura: Anche dove abito io c'e' una famiglia mussulmana, simpaticissima, marito e moglie, con una casa piccolissima e sempre con tanta gente dentro che va e viene; adesso questa signora e' in stato interessante, e da quando sono venuti lì ho questa grande voglia e curiosita' di entrare più in contatto con loro, rispetto al solo salutarci molto cordialmente. Allora ho pensato di passare attraverso il cibo. Adesso ho il tajin, e ho pensato proprio di chiedere come si usa alla sposina con la pancia ... ho pensato di mettermi nella posizione in cui io ho bisogno che loro vengano in aiuto a me.

Anna: Lei ha questo desiderio. Io non ce l'ho per esempio, assolutamente. Io non ce l'ho. Questo suo desiderio cosi' forte di entrare in relazione io non lo sento proprio. Tu stai esplicitando un tuo bisogno, tuo, non e' il mio per esempio.

Maura: Io non lo voglio propagandare per tutte, pero' penso che forse attraverso, come dire, i passi individuali che più che le azioni collettive si possa ...

Paola: Un altro pensiero e' che non e' solo il matrimonio il problema. Tanta gente si sposa piu' tardi, prima convive, dai matrimoni ci si divorzia. E che le questioni dei rapporti tra uomini e donne vadano viste in maniera molto al di la': prima, dopo, durante, al posto della forza dell'istituto matrimoniale cosi' come si poneva venti o trenta anni fa. Nel momento in cui ci fosse una legislazione sulle coppie di fatto, secondo me sarebbe ancora più depotenziata la sacralità del matrimonio. Sono molto diminuiti i matrimoni religiosi. Almeno in alcune zone del mondo.

Sulla questione dello scambio con le donne di altre culture, il fatto che riesca a parlarci, che ne abbia voglia, che ci siano azioni per spostare e modificare la propria identita' e condizione, per cui ci sono le femministe islamiche che reinterpretano i testi coranici... non so quanto tutte queste cose riescano a farcela quando tutto il resto del mondo accentua le minacce reciproche e quindi l'arroccamento dentro il fatto identitario. Il numero delle donne che girano velate anche qui a Genova e' aumentato moltissimo. Ma e' indecidibile quanto questa cosa derivi da una una libera scelta della donna che vuole affermare la sua cultura, oppure no. Quando io vedo la moglie del signore di sotto che passa dal velo all'avere la fessura solo per gli occhi ... sarà un pregiudizio, ma non riesco a pensare che ci sia stata una decisione assolutamente libera di lei. Penso viceversa che ci sia stata una forte influenza familiare. Dopodiché cosa ci posso fare o cosa non ci posso fare non lo so. Magari ho voglia o magari non ho voglia di andare a parlare con la signora completamente velata. Puo' darsi che non ne abbia voglia, ad esempio.

Livia: Ma io devo dir la verita' mi danno un po' di fastidio questi discorsi sul velo inteso come omologazione, perche' in fondo se noi parliamo del femminile nostro lo differenziamo. Non parliamo di un unico femminile. Se pensiamo alle donne mussulmane tendiamo a pensare ad un tutto omogeneo. Che non e'. A me personalmente non da nessun fastidio il velo. Devo dire neanche tanto alle bambine. Dovendo scegliere tra una donna, beh non dico col velo intero, ma col foulard, e che tanto sono gia' due cose diverse...

Paola: Infatti. Il mio scatto e' stato quando la signora col velo, con cui non avevo il minimo fastidio, si è messa il niqab, con due fessure per gli occhi. Li' c'e' stato un salto.

Livia: Chiaro che il velo puo' rappresentare due cose, da un lato l'aspetto culturale e identitario, dall'altro l'aspetto di oppressione. Io credo che le stesse donne islamiche vadano lungo questo continuum dal massimo di oppressione al massimo di riconoscimento identitario. Io quando sono stata l'anno scorso in Marocco e' stato divertente, perche' li', all'interno di una societa' tutto sommato abbastanza omogenea, noi siamo stati un giorno presso una famiglia di allevatori seminomadi, dove le donne avevano il foulard, e quando si e' trattato di fare una foto tutte insieme, si sono tolte il foulard. Abbiamo fatto una foto con i capelli di tutte. Poi siamo state un'altro giorno in un'altra cooperativa di donne, e quando si e' trattato di fare la foto ci hanno messo il foulard a noi. La settimana scorsa tornando da Firenze, in treno avevo di fianco una coppia, lui e lei seduti di fronte, lei griffatissima, tutta di nero e di rosso, con anche la borsa firmata, con un cellulare tutto firmato, e un cappello nero in testa, stavano zitti, io anche: A un certo punto a lui squilla il cellulare, una musichetta araba, al che io sono un po' rimasta perché non te lo aspettavi; lui risponde in arabo e poi si mette a parlare con lei in arabo. A quel punto io ho notato che lei sotto il cappello aveva il foulard, questa "stra stivaletti", tutta cosi', aveva questo cappello nero ma anche perche' sotto aveva il foulard. Questo, e' ancora un'altro femminile.

Pina: Paesi arabi. Una ricchissima dei paesi arabi. E' per quello che dobbiamo mettere dei titoli e sottotitoli.

Livia: Realmente ce n'e' un'infinita'. C'e' una declinazione estrema. E allora a me interessa di piu' cercare di capire questo tipo di differenza. E tutto sommato le nostre nonne avevano il foulard in testa

Paola: il foulard l'ho portato anch'io.

Pina: e il velo in chiesa, io l'ho portato tutta l'infanzia

Caterina: a me piaceva tantissimo, perche' c'eran di tutti i tipi

Maura: il foulard e' una cosa, il velo...

Livia: No, no, e' chiaro che e' una cosa diversa. No, a me quello che disturba di piu' in queste situazioni in cui mi sono trovata a contatto con donne col velo integrale e' lo sguardo di disprezzo di queste donne nei miei confronti. Questo si. A me quello che interessa e che preoccupa di più è come viene vissuta questa differenza, questo scontro, proprio non potersi guardare.

Giovanna: hai avvertito che c'era uno sguardo di disprezzo?

Livia: Ti sei mai trovata in ascensore con una donna completamente velata? E' terribile.

Anna: E' quello che io ho colto in due che girano in via San Luca. Mi colpisce perche' siamo in due a cogliere questa cosa, che ti guardano come dire "tu fai schifo, tu nuda fai schifo, tu nuda rappresenti il peggio, il diavolo". Io l'ho colto, non mi sembrava una mia proiezione.

Livia: Io mi ricordo di una volta in un ascensore in un albergo di Albaquir in Turchia, una sofferenza di stare tutti sti piani, no? con questo sguardo di disprezzo totale.

Gabriella: Perche' li' eri in casa loro comunque

Livia: Ero in un grande albergo internazionale

Gabriella: Perche' li' eri in casa loro, eri in una zona di loro competenza ecco. Io invece ho paura che quando vedo questa gente qui,tutta velata (mi e' capitato in autogrill, in bagno) che lo guardo di disprezzo sia il mio nei loro confronti. Perche' io ce l'ho questa repulsione.

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Anna Frisone: La questione che ponete sul confronto tra le culture e' estremamente interessante. Poi ci viene anche ribadita abbastanza ossessivamente dai media, e sicuramente e' utile parlarne. Quello che penso era un discorso un pò storico, come è stato accennato da Livia, del "ma noi?" Le donne occidentali come hanno compiuto il proprio percorso di emancipazione? Secondo me, se da un lato è sbagliato porre dei no impositivi nei confronti di culture altre, dall'altro sarebbe anche sbagliato negarsi la libertà di ribadire le proprie scelte, le proprie conquiste.Veramente solo da un confronto, mi viene da dire quotidiano, è possibile elaborare un processo in una certa direzione, che anche le donne in Italia hanno compiuto, partendo da se stesse, ma anche recependo stimoli dall'esterno, penso all'impatto, non so, delle ragazze magari scandinave o di area anglosassone che venivano in Italia e si confrontavano immagino con le nostre ragazze, che magari andavano appunto in giro ancora con il velo, in chiesa. La cosa che forse mi preme di piu' in questo momento e' se da un lato il velo e' un elemento cosi' simbolico al quale ci attacchiamo per descrivere una certa subordinazione femminile in certi contesti culturali. Mi domando: quali sono a casa nostra, per noi, le imposizioni che ci riguardano? Sono imposizioni sia per il femminile che per il maschile. L'esempio del bambolotto secondo me e' molto pregnante, di quanto questa femminilita' e maschilita', naturalmente collocate in un preciso contesto storico e geografico, non siano pero' cosi' inafferrabili, come si diceva all'inizio. Purtroppo mi pare, come diceva Giovanna, che ci sia invece negli ultimi anni un'esasperazione di modelli femminili e maschili estremamente distinti e proposti anche in maniera piuttosto ossessiva. Che poi ovviamente non vengono realizzati nella pratica in maniera letterale, pero' che esistono.

Ho cominciato qualche giorno fa a leggere della Lipperini Ancora dalla parte delle bambine che parla di come gli stereotipi di genere vengano tuttora introiettati fin dalla più tenera età da bambini e bambini: Ovviamente i giocattoli sono una delle prime cose, l'esempio dei genitori in famiglia, il ruolo dei media, anche la proposta appunto consumistica che viene fatta. Il colore rosa, il bikini a due anni etc, e quindi un ipersessuazione anche del maschile e del femminile.

Dopodiché l'ultima cosa che volevo lanciare, che però rischia forse di risultare un po' astratta, non chiara: io sono tre anni che partecipo in estate ad una scuola estiva organizzata dalla societa' italiana delle storiche: quest'anno in particolare il titolo della scuola era “Corpi del potere, potere dei corpi”. In realta' si e' abbastanza esulato da questo tema che pure ha molta rilevanza, e un nutrito gruppo di giovani studiose, giovani veramente, giovani ventenni, che in grande maggioranza erano persone omosessuali, ragazze lesbiche, hanno posto molto fortemente l'accento su quanto si ragioni di maschile e di femminile ancorando ancora questi stereotipi, queste costruzioni di genere, a due sessi distinti.

Cosa che nelle loro vite non risulta, non e' cosi'. Loro lo ponevano in maniera polemica nei confronti della vecchia scuola delle docenti, che piu' o meno sono donne che hanno vissuto il movimento femminista, che magari sono nate attorno agli anni cinquanta, e che forse queste problematiche se le ponevano meno. Io l'ho trovato estremamente stimolante, spiazzante proprio dal punto di vista del pensiero su cosa sono maschile e femminile. Ma anche che cosa e' femmina, che cosa è donna e che cosa è uomo. Abbiamo visto un film molto bello che si intitolata "XXY" sulla vicenda di una ragazzina intersessuale. Parlo di questo perché sono stimoli verso ciò che "diamo per scontato".

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Anna Cassol: mi collego a quanto diceva Anna Frisone quando diceva di definire il maschile e il femminile. Non intendevo dire che non si possano definire i modelli maschili e femminili, ma che bisognerebbe capire il maschile e il femminile dentro di noi, che era un po’ una provocazione per ritornare alla totalità.

L’altra cosa che m’interessava dire era: che differenza c’è tra il "tacco 12" e il burka? In qualche modo c'è sempre qualcuno che ci guarda e da cui ci facciamo vedere, sia esso maschio o Maometto o chi per esso. Allora, il collegamento non è cosa possiamo fare noi per "loro", ma cosa noi possiamo fare per "noi".

Ma quali sono i valori che per me sono irrinunciabili? Nella mia società, ora, con voi, vorrei sapere quali sono i valori per noi irrinunciabili. Come chiedeva Pina ad Arianna: "Che cosa significa essere femminista e regista?". Io ho sempre pensato a che cosa significava per me essere femminista. Ho dovuto fare delle mediazioni. Ad esempio, nel gruppo di volontariato al quale partecipo, sono diventata quasi odiosa, ma non sopporto più che si usi solo il maschile nel linguaggio, (questo emerge anche nell’ascoltare la sbobinatura dei nostri incontri). Adesso dopo tre anni tutti dicono uomo, donna, ragazza, ragazzo. A me sembra una cosa importante.

Altra cosa di cui voglio parlare, molto importate per me, non è tanto del matrimonio, ma del piacere sessuale delle donne. Si continua a non parlarne. Mi ricordo le 150 ore a alla Camera del Lavoro di Sestri Ponente, 1976/77: c’era una ragazza di 20 anni, sposata. Al gruppo partecipava anche la madre che avrà avuto 45 anni, io avevo 26 anni, e questa ragazza chiedeva che qualcuna le spiegasse perché per gli uomini è facile raggiungere l’orgasmo, provare piacere, mentre per le donne è così impossibile. Aveva aggiunto che nessuno aveva il coraggio di dirlo, ma che il piacere femminile è una cosa complicata e le percentuali sono sbagliate, moltissime donne lo provavano raramente. Questa domanda mi aveva molto colpito.

Arianna – mi ha molto colpita la frase di Paola quando ha detto: "Le donne islamiche si evolveranno". A me questa cosa non va bene: cosa vuol dire si evolveranno? Che diventeranno come noi? Come siamo noi adesso è il risultato di lotte e di conquiste di tante donne nel tempo che ci hanno portate ad una realtà migliore, ma con la consapevolezza che moltissimo c’è ancora da fare. Evolversi forse non è il tacco 12, forse non è neanche come siamo noi donne adesso, forse può essere un’altra dimensione che probabilmente arriva da un’altra lotta di altre persone. Anche da donne col velo. Non è un’evoluzione arrivare dove siamo arrivate adesso, ma è un cambiamento, un viaggio, una lotta. Il problema è la famiglia, che in Italia ha un potere molto grande, e sembra che non esista un’alternativa al potere della famiglia e anche la madre all’interno della famiglia ha un enorme potere. Il potere della famiglia italiana (occidentale?) sui figli è uguale al potere che c’è all’interno della famiglia islamica che impone il velo alle bambine.

Luisa : Il discorso di Anna Frisione sull’itersessualità è molto importante. Io non credo che esistano solo due sessualità, ma credo che esistano tante sessualità che giustamente uno si vive.

Luciana vi consiglio l’ultimo libro della Argentieri sull’omosessualità.

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Aurea: ho avuto rapporti di lavoro con uomini iracheni ma anche con le loro donne in qualità solo di mogli, donne anche molto colte, istruite. Vestivano all’occidentale, questo prima di Saddam. Con queste signore non ho avuto nessuna possibilità di relazione. Invece con le donne libiche che accompagnavano i mariti ho avuto questa opportunità. Dovevo trovare gli alloggi, sistemare i figli a scuola e quindi ci tenevo a sentire il parere di tutta la famiglia, andare incontro alle loro esigenze. Ho preteso la loro partecipazione, ma con scarsi risultati. Solo due ufficiali hanno portato con sè le mogli, e una di queste mi guardava proprio male, non mi rivolgeva mai la parola e il marito quando mi parlava non mi guardava in faccia. Io reagivo continuando a fare il mio lavoro con puntualità e professionalità. Il mio abbigliamento sul lavoro era formale ma all’occidentale, non mi proteggeva da uno “sguardo” di disprezzo sia da parte degli uomini che delle donne.

Non molto tempo fa ero alla ASL per degli accertamenti ed avevo accanto a me una ragazza velata anche lei in attesa di esami. Quando sono rientrata dalla sala raggi mi ha chiesto se dentro c’erano delle dottoresse donne. Le ho risposto “stai tranquilla, oggi ci sono tutte donne. L’ho rivista da lontano sull’autobus e mi ha fatto un sorriso e un cenno di ringraziamento. Forse ho perso un’occasione per conoscere meglio queste donne, la loro cultura perché, forse, potrebbe essere più facile capire le cose della loro cultura che più mi indignano, come quella dell’imposizione del matrimonio per le figlie con uomini scelti dalla famiglia. Vedi gli ultimi fatti di violenza a ragazze che si sono ribellate a questo. È una sopraffazione che non accetto da qualsiasi cultura anche occidentale.

Luisa dice che noi non abbiamo dato strumenti per difendere le conquiste alle donne di oggi, alle nostre figlie soprattutto. È vero, mia figlia non vuole sposarsi, non ritiene che il matrimonio sia una scelta prioritaria della sua vita , ma si è dovuta scontrare con una parte della famiglia con una visione non ancora emancipata delle donne. Nonni, zie che fanno domande, la vedono come “diversa”. Permane ancora all’interno delle famiglie e nel sociale la mancanza di sostegno alle aspettative emancipatorie delle figlie. Mi sembra che le ragazze di oggi si difendano da questo con aggressività e rabbia perché manca in loro la capacità di motivare le loro scelte. Forse anche noi abbiamo delle resistenze quando ci dobbiamo confrontare e accettare la domanda di emancipazione delle nostre figlie. Abbiamo ancora moltissimo da riflettere sulla funzione del matrimonio e sui modelli che ancora ci vengono propinati, come pure sul velo e il tacco 12. Credo siano importanti i modelli che si impartiscono ai bambini. Metterli davanti ad un televisore o in un asilo dove è assente un progetto educativo egualitario significa rinforzare modelli negativi. La televisione è lo strumento di cultura più deleterio che ci sia. La donna proposta in televisione è un modello intollerabile.

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Gabriella: Quando tu parlavi di questo disagio sull’ascensore in presenza di questa, tutta coperta, che ti guardava, io mi sono ricordata che quando facevamo Espressione Corporea abbiamo lavorato con la maschera. La maschera ci ha dato un senso di liberazione, di libertà, una protezione grandissima. Abbiamo rivelato con quella maschera una parte di noi che non era mai riuscita ad esprimersi, e quindi io credo che una donna tutta velata, tutta coperta, si senta molto privilegiata, in questa situazione di protezione, per cui con lo sguardo esprime molto di più di noi; noi abbiamo imparato con lo sguardo a non importunare, mia madre mi insegnava di non guardare fisso gli altri, io ho ricevuto un’educazione per cui uso con discrezione lo sguardo. Il burqa noi lo viviamo proprio solo come una forma di costrizione e non pensiamo mai che il burqa per loro è una forma di liberazione. Noi non siamo assolutamente in grado di insegnare alla moda a rispettare il nostro corpo, di mandare il messaggio che passi oltre questa necessità di essere sessuali, di essere erotiche, la moda è proprio solo un sottolineare l’erotismo e non la libertà...

Gloria: Gabriella, però questo non è totalmente vero

Arianna: Noi adesso abbiamo la possibilità di avere i pantaloni, i vestiti comodi, c’è stato anche questo passaggio.

Gabriella: Senz’altro, e anche la libertà di poter andare con la minigonna, anche la libertà di tagliarti i capelli e di portarli come ti pare, la libertà di andare scollate; però poi tutto questo ha un peso, perché poi tu ti senti a disagio e allora la tua libertà ad un certo momento se parla un linguaggio non adeguato con chi hai davanti, ti mette e nudo. Allora questo mescolare culture o usanze ... io ci devo pensare ancora un po’, se ci troviamo a convivere con queste persone dovremmo trovare un modo meno imbarazzante per noi.

Aurea: A parte che in Iran i negozi più sfarzosi sono quelli di biancheria intima …

Livia: ma sì, perché quello è il sopra, poi sotto c’è tutto un altro mondo.

Gabriella: perchè poi fanno la danza del ventre ….

Livia: Burqa e tacchi da 12 penso che siano esattamente la stessa cosa in questo senso: che dietro a queste due cose penso ci sia la paura maschile per la sessualità femminile, per il femminile sessuato, visto come potere. Allora, che nel mondo islamico l’escamotage per placare queste angosce sia il burqa, e che nella nostra società l’escamotage per placare queste angosce sia l’esibizione, secondo me sono due strade evolutive diverse per far fronte alla stessa angoscia. Da questo punto di vista mi viene da dire che non vorrei né che le donne islamiche si vestissero come noi, perché sono d’accordo sulla funzione auto percepita come protettiva dello stare coperti, né che noi ci mettessimo il burqa. Tu dicevi che sui tacchi si può scegliere, in certe situazioni forse si può anche scegliere di togliersi il burqa. Una cosa però che oggi succede da noi, e che è molto più difficile togliersi, sono le operazioni di chirurgia estetica che sono oggi uno degli aspetti più potenti di questo percorso. Io comincio a vedere in terapia le angosce successive da parte delle donne e degli uomini di fronte a questi corpi cambiati che non possono più tornare indietro se non a costo di 10.000 euro. In quelle situazioni in cui il cambiamento è così intollerabile che non si può reggere, prima bisogna finire di pagare il mutuo che ci si è fatti fare per farsi “fare”, e poi farne fare un altro analogo per farsi “disfare”. Che è ben peggio del peggior burqa. Quindi io dico che siamo tutti nella stessa barca, forse non è tanto dello scandalizzarci per qualcun’altra, ma vedere se magari da un confronto ci si può trovare su delle somiglianze in cose che in realtà sembrano agli opposti.

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Paola: L’accentuazione identitaria derivante da tutto quello che ci circonda rende questo confronto sempre più difficile. Bisogna anche storicizzare e distinguere, nel senso che l’origine del velo è stata effettivamente protettiva dal punto di vista dell’Islam…

Livia: posso dire una cosa? Se sei in mezzo al vento nel deserto il burqa te lo preghi… (risate)

Paola: Storicizziamo nel senso che quello che deriva dall’Islam non è il burqa ma il velo, il velo sulla testa, che è stato introdotto a scopo protettivo e a scopo di distinzione della donna sposata. Chiaramente c’è una concezione assolutamente di potere maschile dietro questo, perchè è evidente che la donna col velo non si può toccare poiché già appartiene ad un altro uomo, la donna senza velo è a disposizione di tutti. Quindi il velo è stato introdotto in termini protettivi, ma parliamo del 600 d.C. . Teniamo presente che ci sono alcune donne, non tantissime, di tradizione culturale mussulmana che hanno sottoposto il Corano ad una esegesi di tipo femminile-femminista. Perché il Corano non è interpretato in modo univoco, ci sono molte interpretazioni, e queste donne hanno analizzato qual’era il momento storico, politico, di potere etc.

Oggi tutto passa attraverso l’accentuazione della simbologia dei corpi delle delle donne, vedi quello che fa Ahmadinejad in Iran, per cui la donna viene usata come un simbolo identitario, e questo rende più difficile le contaminazioni e le modificazioni, non c’è dubbio. Ma non è soltanto una questione simbolica; il velo, il niqab e il burqa attengono a tradizioni che non hanno necessariamente un legame stretto con il campo religioso. Di fatto questi oggetti che ti infili addosso limitano materialmente le tue possibilità esistenziali. Sì, il fatto simbolico… una persona che si mette tutto il velo e ti guarda attraverso la fessurina può darsi che abbia dentro di sé anche una coscienza di sé, e si senta protetta in quanto nascosta. E' possibile che passino anche emozioni di questo tipo. Di fatto però non può mai sentire il vento nei capelli, non può andarsi a fare il bagno in mare, non può correre, cioè ha delle limitazioni rispetto all’essenza fisica, biologica diciamo così, di "plasma" esistente sulla terra, per cui non può fare delle cose di contatto con il mondo circostante che io posso fare. Perché io posso andare in mare e stare lì a galleggiare come una medusa, sentire l’acqua del mare addosso a me, una che ha quello addosso no, e sono delle cose … diciamo pesanti. Se si va a leggere questi libri di donne islamiche, vedi anche quello che è avvenuto per esempio quando i francesi sono andati in Algeria:c’è stata una politica dei colonialisti francesi per occidentalizzare, diciamo così, i costumi delle donne algerine, che gli algerini e le algerine avevano preso assolutamente per traverso perchè dietro quello c’era una politica coloniale per mettere in soggezione tutta quanta la nazione algerina, e quindi ci sono state delle contro-reazioni e anche la posizione di uomini algerini che erano favorevoli ad una maggiore libertà femminile, non erano semplici da tenere perché venivano accusati di essere dei filo-colonialisti. Quindi ci si muove su un terreno insidiosissimo.

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Pina: Ecco, pensavo al fatto di poter mettere dei titoli e sottotitoli, perché se no veniamo travolti; un titoletto penso possa essere la differenza tra donne: come le donne si combattono tra loro, e come gli uomini si combattono tra loro, che è banale, ma è uno dei capisaldi vero? E’ vero.

Trovare delle cose banali. Non dico semplificare, ma cercare di trovare dei punti su cui possiamo tutti essere d’accordo per andare avanti, se no veniamo travolti completamente. Un'altra cosa era: quando lei ha parlato dell’orgasmo … pensavo: però Maometto se ha quattro mogli è obbligato a soddisfarle tutte e quattro ... “o a soddisfare se stesso” …. anche. La differenza è che la parola orgasmo detta da te ha significati diversi, vedi il linguaggio, vedi la storia, vedi la poesia, vedi l’estetica, vedi la moda, vedi l’erotismo; perciò non soddisfare l’orgasmo o soddisfare l’orgasmo può significare o due cose diversissime o due cose analoghe. Qui sul marasma che oggi è uscito, volevo solo dire che è necessario trovare un metodo per semplificare o riuscire a discutere in modo tale che poi alcuni argomenti possano essere di comune discussione.