Estate 2010: indice degli argomenti e trascrizione dell’incontro. Cliccando andate su quello che vi interessa

 

Domande iniziali: quello che facciamo è “politica”? Il conflitto tra maschile e femminile. Il prendersi cura. Ragionare su quello che “è dato per scontato”. Una di noi esprime un dubbio sul valore politico dei nostri incontri. Pensiamo che il “femminile” sia meglio del “maschile”? Forse anche oggi esiste un contesto politico in muoverci. Ragioniamo anche sulla paura di esercitare il potere. King Kong girl, e i modelli che ingabbiano maschi e femmine. Siamo come monache che pregano in un convento. La possibilità di cambiare i riti parte dalla famiglia. Il “politico” comprende anche ciò che chiamiamo culturale. L’inevitabile conflitto maschile – femminile: accettarlo dentro e fuori di noi. Lavorare molto tra noi, prima di uscire all’esterno. Il femminile non è capace di mettersi in alternativa. Riuscire ad essere più ‘pubbliche’. A cosa serve tutto questo, se io non riesco a trasmetterlo fuori? “Godere" il conflitto col maschile. L’intimità del gruppo va protetta. Che aspettative abbiamo nei confronti delle donne? Domande che vengono dai gruppi transessuali e omosessuali. Eccellenza femminile, pari opportunità: da dove vengono questi termini? Forse c’è della politica anche in quello che facciamo. Il connubio tra maschile e femminile che c’è dentro di noi. Quando sono rimasta incinta per la prima volta ho cercato le donne Io non ho un “passato politico”!, faccio fatica a seguirvi. Perché vengo qui e non perdo un incontro? La paura degli uomini e l’antifemminismo. Il nostro lusso di dedicare tempo al pensiero può entrare in comunicazione con le donne che svolgono un ruolo pubblico? Nel governo del mondo le modalità femminili e maschili non dialogano alla pari: una alla fine domina su tutte, è questo che segna la differenza. Lavorare sul linguaggio. Maschile e femminile sono termini che cambiano in continuazione. Non voglio che il nostro diventi un gruppo “elitario”. E vorrei parlare della seduzione. Una forma di violenza maschile è il rifiuto di capire. Per riuscire a “godere il conflitto” bisogna invecchiare. Esempi ‘vissuti’ di differenze nella gestione del potere. Dovremmo dedicare un incontro al maschile / femminile. Ciò che facciamo è politico solo quando si misura con qualcun altro. Noi facciamo un lavoro pre – politico, che è una radice indispensabile. La speranza: dagli anni ’70 ad oggi pensare a un cambiamento per uomini e per donne. Pensare è un lusso? No! Per me venire qui è un bisogno primario! Cos’è il lusso? Discussione finale sul lusso.

 

Sono quasi le due del pomeriggio, ci spostiamo in cucina per mangiare.

 

Come al solito ognuna ha portato qualcosa (tutte buonissime), ed è anche il compleanno di Gabriella Banti.

 

Al pomeriggio chiacchiere in giardino e una gita al fiume.

 

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Paola: Una prima osservazione è se noi siamo consapevoli, se riconosciamo a noi stesse, che quello che facciamo è un rito politico nuovo, che ha un valore politico. Cosa ne pensiamo noi di questo? Questa è la premessa perché questo valore politico possa uscire da questo nostro circolo e possa in qualche modo essere comunicato e passare all’esterno. Questo era un punto.

Un altro punto è: in cosa consiste oggi la diversità tra maschile e femminile, partendo da come vengono indotti dei modelli di comportamento nei bambini e nelle bambine oggi? Un tempo, questo lo aggiungo io adesso, mi sembra che fosse molto più chiara la distinzione dell’educazione, delle modalità di apprendimento della vita tra maschi e femmine, era precisamente distinta. Oggi in che cosa consiste quello che viene trasmesso? Ci sono delle modificazioni, ci sono delle sovrapposizioni e quali sono i messaggi che ancora distinguono in maniera così netta quello che viene indotto in un bambino piuttosto che in una bambina? Abbiamo detto che bisogna inventare ex novo delle modalità di relazione che tengano conto sia dei riti maschili, sia di quello che noi abbiamo elaborato come riti femminili, che ci siamo giocati soprattutto nel privato. Ma bisogna ben tenere presente che c’è comunque una conflittualità inevitabile, non solo inevitabile ma anche vitale, che va gestita trovando strade che siano diverse dall’essere vittime, subordinate, o dal fatto di lottare come nemici; un conflitto bisogna sapere che tra maschile e femminile esiste, e quindi non raccontarsi una favola per cui in un mondo migliore non ci saranno più conflitti. Ragionare su perché esita e in che cosa consista questo conflitto che comunque sempre ci sarà, sarebbe utile, e anche pensare a come varia oggi nel mondo, tenendo conto che i contatti con il resto del mondo oggi sono molto più facili, per cui quello che avviene in altre culture interagisce con noi in maniera molto più evidente. Infine, Anna aveva scritto una mail proponendo di tornare a ragionare sulla questione del “prendersi cura”. Perché, lei dice, il “prendersi cura” è da sempre costitutivo dell’essere delle donne, ma questa cura è quasi sempre subordinata alle scelte di potere maschile. Quindi occorre ancora adesso partire dalla famiglia, che è il modello per eccellenza delle relazioni femminili: partire di lì come origine delle differenze di rituali o delle nostre difficoltà. Anna aggiungeva che sarebbe interessante ritrovare nella nostra storia personale e in quella sociale che stiamo vivendo quali sono state le azioni che hanno introdotto dei nuovi rituali. Qualche esperienza tutte l’abbiamo fatta e le veniva in mente che quando è avvenuto questo, questo fatto ha coinciso, è stata la premessa, perché prendessero il potere dei soggetti che prima erano esclusi, che possiamo essere noi donne, possono essere i neri d’America, possono anche essere le persone con un handicap, il tutto partiva sempre da un riconoscimento del valore di sé e di quello che si faceva, per poter trasmettere questo valore agli altri.

Gabriella non è vero che tutte le donne si occupano così volentieri o appassionatamente del prendersi cura degli altri, non tutte le donne sono materne e non abbiamo parlato invece di seduzione, civetteria e sessualità e mi piacerebbe discutere dei nostri atteggiamenti espliciti e repressi.

Voci: quanta roba, troppa…

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Pina: Per dire che questa riunione è “politica”, bisogna però che siamo ne convinte noi. Ci sono cose date per scontate nell’ambito culturale che tutte decodifichiamo come “vere”, “presenti”, ma che non vengono esplicitate. Allora noi o ci accorgiamo di avere delle cose date per scontate come “questa è politica”, oppure questo messaggio non passa. Perché ho l’impressione che passino molto più i messaggi non detti che quelli espressi a gran voce.

Questa è una cosa, l’altra è questa cosa del maschile e del femminile; anche questo è come se dovesseessere prima pensato, capito, e poi…

Perché, secondo me, per la cultura cosiddetta maschile dominante, sono queste le cose più importanti: il passaggio di quello che è "dato per scontato".

Ecco, oggi diamo “per scontato” che ci possiamo vedere così, perché trent’anni fa le donne quando si sono riunite hanno detto “questo è un fatto politico” e poi la cosa è passata anche nell’ambito generale, non tanto come “politico” in assoluto, ma come viaggio verso il “politico”.

Poi, a proposito della famiglia, mi veniva in mente una cosa (ride): di leggere il Kamasutra nelle vacanze ... ho trovato due paginette eccezionali, “i doveri della sposa unica”, dove questa povera “sposa unica” deve lavorare dall’alba al tramonto. Se poi penso che magari ha dieci figli, deve curare tutte le erbette dell’orto, e sono tutte spiegate, deve curare tutti i fiori, appena arriva il marito deve mettere… troppo bello! Bisogna leggerlo! Poi c’è la sposa due o tre o quattro o cinque…se hai una sposa un po’ più vecchia, una sposa un po’ più giovane, fanno tutto quello che si deve, più o meno si dividono il lavoro e poi nell’harem si sta anche meglio… Adesso sto pensando come mai la monogamia, e lì ci dobbiamo un attimo pensare.

Poi c’è la prostituta, che è veramente quella libera: lì Machiavelli domina in assoluto, quello che conta è “ingannare”, ingannare “bene”, tenendo conto dell’utile. Allora la prostituta deve puntare all’”utile”, anche se deve tenere conto di tutte le leggi, e tutte precise, per cui non deve mai sbagliarsi

Tutto questo qui era dato per scontato. A me pare importante valutare anche questo dato: cosa diamo per scontato noi e come possiamo esplicitarlo.

Lei dice “la famiglia”, certo, ma bisogna tirar fuori, probabilmente, le cose che diamo per scontate della famiglia e su cui invece bisogna lavorare, almeno credo.

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Livia: a me interessa parlare delle premesse: se quello che stiamo facendo è politico o no. Nel senso che io rileggendomi anche i testi degli incontri vecchi, devo dire che ho maturato delle perplessità enormi rispetto a questo lavoro e rispetto alla politicità di questo lavoro. Nel senso che io non credo che sia un lavoro politico quello che stiamo facendo. Non perché non sia importante per noi, ma perché ci sono stati altri momenti in cui questo modo di discutere, di ragionare, di riflettere, di crescere… è stato fatto, ma era in un contesto diverso, in un contesto collettivo, dove c’erano tante situazioni, tanti gruppi che si muovevano su terreni analoghi.

Il fatto che ci si veda in dieci, in venti a parlare in questo modo, secondo me non è politico, perché non è inserito in un contesto in cui anche altri gruppi di donne fanno qualcosa del genere, che in qualche modo poi comincia a circolare e a incidere perché viene fatto in più situazioni. Voglio dire, può essere politico per me personalmente, ma anche rispetto alla situazione politica attuale, rispetto a quello che sta succedendo in giro, che mi sta preoccupando non poco, un’incapacità di pensare strategie politiche, di avere dei riferimenti istituzionali con cui magari picchiarsi ma che ci sono, allora in questo momento mi va benissimo vederci, ma non la chiamo “politica”. Non saprei come chiamarla ma mi sembra che anzi, rispetto alla politica, rischi di essere un po’ un alibi, per dire “noi stiamo facendo politica”.

Livia: Una cosa è questa, l’altra è che, rileggendomi tutti gli incontri, in realtà a me questo discorso sul maschile e sul femminile vorrei capirlo un po’ meglio e capire se mi ci ritrovo perché io in tante cose dette, anche in queste ultime sui rituali, devo dire che non mi ritrovo più tanto. Nel senso che non capisco dove si voglia andare a parare, cioè mi sembra che sotto ci siano due cose non dette. Una, che in qualche modo il femminile sia meglio del maschile: io per esempio su questo non sono d’accordo. Due, che andare verso una prospettiva migliore di quella attuale sia andare verso una omologazione, mi vien da dire. Cosa vogliamo? Che i bambini giochino tutti allo stesso modo? Non lo so se ci siano sotto queste cose, ma che ci siano o non ci siano, forse bisognerebbe che riuscissimo a dircele perché altrimenti non ci si confronta, e non si parla veramente tutte della stessa cosa. Queste sono le mie perplessità.

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Luisa: Un articolo che ho letto ieri su Repubblica parla di un film che stanno facendo le sorelle Comencini, che riguarda il rapporto madre-figlia. Nell’articolo si dice che è nata un’associazione femminile che si chiama “Di nuovo”, che ha elaborato un lungo documento dal quale prende spunto “Libera” che è il film. leggendolo ho pensato: vedi che ci sono delle realtà che si muovono! Allora il discorso che Livia ha fatto, "non è politica questa riunione perché non si muove in un contesto" ... è vero che ci vuole un contesto, forse non c’è un contesto come c’è stato nell’epoca in cui noi abbiamo fatto delle cose, ma probabilmente ce n’è un altro. Forse me lo auguro che ci sia questo contesto.

L’altra cosa che volevo dire è che l’altra volta, alla fine dell’ultima riunione, alcune di noi hanno parlato della paura rispetto ad occupare posti di potere e adesso, recentemente, domenica scorsa, quando noi abbiamo partecipato allo “sbarco”, dal microfono l’organizzatore, che è un uomo, ha detto che moltissime donne hanno organizzato questa rete, e quindi io ho pensato: vedi che le donne quando la situazione è una situazione nella quale si ritrovano, si assumono le responsabilità, non hanno paura di avere anche del potere, tra virgolette, perché questa è stata una piccola cosa però è chiaro che chi ha organizzato era in una posizione di “potere” rispetto agli altri. Ci sono tante situazioni come questa, Per cui vorrei riflettere anche su questo: quali sono le condizioni che permettono alle donne di assumersi delle responsabilità. Forse questo è abbastanza da legare a quel discorso che faceva Anna sul lavoro di cura delle donne. Un’ultima cosa: sto notando che il comportamento delle ragazze, specialmente adolescenti, è un comportamento molto omologato al maschile, se voi guardate quando escono da scuola, le ragazze non si distinguono quasi più rispetto ai ragazzi, anzi per loro è quasi un vanto, non so se interpreto troppo, il fatto di essere uguali ai maschi. Secondo me questa cosa è molto forte

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Arianna: mi sono letta questo libro e ve lo volevo portare, è di Virginie Despentes… , si chiama “King Kong girl” e dice delle cose molto interessanti, è molto aggressivo come modo di scrivere. La scrittrice è francese, ha dieci anni più di me, è del’69. Il tema è il rapporto uomo-donna. Il fondo è che esiste un’ideologia del maschile e del femminile che ingabbia la donna, ma che ingabbia anche l’uomo. In realtà il parlare di maschile e di femminile non è solo mettersi dalla parte delle donne che vivono in una situazione di sottomissione, di “scomodità”, perché sono quelle che devono stare sotto una serie di regole, ma dice che anche gli uomini devono stare sotto una serie di regole, e se escono da queste regole diventano degli emarginati. Quindi anche questi uomini vanno liberati, tutti gli uomini in realtà vanno liberati, soprattutto quelli che soffrono di questa situazione. Chi si mette a parlare sono le donne che soffrono di questa situazione, non chi gli sta bene avere mille figli, starsene a casa, farsi i fatti propri. Poi da questa liberazione della donna che non è soddisfatta, si libera anche quella che ci stava anche bene, perché poi scopre che non ci stava così bene.

Allo stesso modo, l’uomo vive in una situazione analoga. Cioè vive in una situazione in cui “deve” fischiare alle ragazze che passano per strada, “deve” aver voglia di scopare in tutti i momenti, “deve” avercelo sempre duro, “deve” essere sempre in competizione, “non deve” piangere, “non deve” stare dietro ai figli, perché se lo fa... Lei ne parla molto esplicitamente di questa cosa e secondo me è molto giusta e molto bella come visione, mi ci sono ritrovata molto. Poi parla anche della paura delle donne di occupare posti di potere (Arianna legge un brano)

Sul fatto che ci sono un sacco di atteggiamenti che diamo per scontato che siano femminili e invece altri che siano maschili ... secondo me non sono cose così scontate; “prendersi cura” è una cosa femminile? Non so. Quello che dobbiamo capire è che da una parte c'è quello che ci viene insegnato che è femminile, dall’altra parte quello che ci viene insegnato quello che è maschile. Sempre parlando di questa ideologia che è insita nella nostra educazione, nel nostro modo di vedere le cose.

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Paola: sulla questione se quello che facciamo qui è politico o meno, pensavo una cosa che mi diceva l’altro giorno Anna che è andata venerdì a sentire una conferenza organizzata dal Comune sulle pari opportunità. Le è capitatao di parlare con ua persona che osservava che le due figure che hanno più potere nell’ambito dell’amministrazione comunale sono due donne, e dal punto di vista dei rapporti, del clima organizzativo, è un disastro fuori dall’ordinario. Diceva questa persona che è come se le donne, non avendo la sedimentazione per farlo bene, il fatto di esercitare il potere, lo fanno male, peggio degli uomini. Cioè il clima delle relazioni che inducono è meno governato, più aggressivo, con meno tutela per chi sta nell’organizzazione.

Quindi, rispondendo a quello che ha detto Livia, non vuol dire che ci sono le cose femminili buone e le cose maschili cattive. Però le cose nel mondo non stanno andando benissimo: ci sono evidenti prezzi che paga l’universo-mondo a una modalità di esercizio del potere consolidata nei millenni. Allora: come fare dopo che hai teorizzato, pensato, immaginato, detto le cose che ha detto anche la scrittrice di questo libro, e cioè che liberare le donne da un modello, vuol dire liberare l’uomo da un modello speculare? Perché poi quando sei lì, nei luoghi di potere ...

L'immagine che mi viene è che le donne che sono in queste situazioni (di potere) si dibattono nell’angoscia mentre, e qui viene l’assenza del contesto che dice Livia, mentre un tempo chi stava o chi stava per entrare in situazioni di questo tipo ci ragionava con le altre donne. Viceversa adesso queste donne non si sono create uno spazio sufficiente per ragionare in termini … come facciamo qua.

Allora io penso che quello che facciamo qua sia politico anche per questo, perché noi stiamo ragionando proprio su quello in cui si stanno dibattendo selvaggiamente le donne che sono in quelle situazioni (di potere).

Così mi è venuta un’immagine che è come quando si diceva "quelle sono in convento e pregano per l’anima di tutte noi". Da bambina pensavo “chissà cosa ne verrà da tutto questo pregare ... però l’importante è che qualcuno/a sia lì e preghi". Mi è venuto in mente (ride) che noi siamo come quelle del convento…

Però questa preghiera io vorrei che uscisse fuori, vorrei dire “guarda che sto pregando per te!”. Questo messaggio “che sto pregando per te” bisogna che esca fuori, allora a me farebbe veramente piacere incontrare la Muraro, l’assessore della Provincia o del Comune, ma mi farebbe piacere anche parlare con la Sindaco, ma in maniera “privata”, senza nessun rapporto con la stampa, come in un parlatorio con la grata.

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Aurea: A proposito dell’argomento di Anna che diceva se è possibile nelle nostre esperienze trovare qualcosa che è stato importante per cambiare dei rituali, ho pensato che mia madre ha sempre chiesto la mia opinione, questo lo faceva da quando ero abbastanza piccola perché ha sempre sostenuto che se una donna dice la sua opinione in una situazione, per prima, difficilmente gli uomini presenti si permettono di non tenerne conto.

Questa cosa, diventando grande, l’ho applicata nel posto di lavoro. Quando ero piccola, lei mi aveva insegnato che dovevo sapermi difendere e quindi quella cosa lì mi era scattata. Poi avendo avuto figli, da adulta ho insegnato queste cose a mia figlia.

Poco fa Arianna diceva che le donne non lasciano traccia. Ma la traccia più vistosa è che li facciamo noi i figli, li alleviamo noi in gran parte. Quindi quella semmai è la parte più potente che abbiamo.

Quelle poche volte che ho notato una capacità di condivisione che ha risolto i problemi, era venuta dall’infanzia la capacità di farlo, non erano state maturazioni da adulto.

Sulla questione del “politico”, io direi che il fatto di avere cominciato, comunque è politico. Ci sono molte altre donne che come noi sulla Rete fanno delle cose; l’abbiamo detto anche oggi, e se noi potremo essere cassa di risonanza per tutte quelle donne che hanno avuto idee per cambiare i riti, ben venga, a me sembra che questo sia “politico”.

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Pina: “Politico” per me è un termine in cui stanno cose molto conflittuali; ora mi veniva in mente, che lei mi ha fatto vedere un bellissimo librino su Einstein, è chiaro che se la teoria della relatività ristretta l’ha inventata uno, quello ha cambiato la politica di un secolo.

Allora per me “politico” comprende anche quello che chiamiamo culturale. Poi è chiaro che ci deve essere un allargamento, una partecipazione più complessiva, i valori cambiano culturalmente dall’individuo in poi, attraverso tante strade. E quando parlo di “conflitto maschile - femminile”, questa è una cosa che va insieme, è inevitabile che in ogni luogo, in ogni situazione, ci sia il conflitto maschile - femminile, che vuol dire l’ambivalenza. Raggiungere l’accettazione della conflittualità maschile - femminile dentro di noi e fuori di noi è da adulti. Se una madre è così brava che riesce ad aiutare il pargolo ... ma ce ne vuole… Io dico che il maschile - femminile è nel mio braccio, nel mio bambino, nella mia nonna, è dentro di noi, è irrimediabile.

Per cui la “condivisione” vuol dire la condivisione della conflittualità permanente maschile - femminile. La pace non c’è mai, mai, io e lui la pensiamo in modo diverso. Punto. Accettiamolo! Che vuol dire: vinco io, vinci tu? Nooo! Vuol dire che soffriamo la conflittualità e che arriviamo… alla condivisione? Boh, chiamala condivisione, accettazione del conflitto. E questa è la società. per me se facciamo cultura senza fare politica, pazienza! Però il fatto che sappiamo di farla, è quello che mi serve. Perché nel momento in cui, per esempio, sono io sola che sto in un luogo, zitta, vedendo quello che sta succedendo lì, sapendolo chiarissimamente, io faccio un’operazione politica. Esagero, sto dicendo che sto esagerando ... Poi ben venga la sindaco dietro la grata, che sente e non può parlare, o come dentro un confessionale…

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Luciana: in riferimento a quello che ha detto Livia, è politico quello che facciamo? Per me sì, lo è. Siamo arrivate oggi a riflettere su queste cose proprio perché abbiamo un passato politico, più o meno fatto, vissuto in situazioni istituzionali, per cui oggi siamo in grado di discutere di questi argomenti, alcuni vecchi rimasti lì, altri veramente nuovi, con linguaggi nuovi, con domande nuove, ma proprio perché alle spalle abbiamo questa esperienza politica, personale, analitica, che ci consente di arrivare a fare questo tipo di riflessioni e domande perché gli argomenti che stanno uscendo da questi nostri incontri sono veramente pesanti. Noi stiamo riguardando non solo il passato, ma anche il presente e stiamo ponendoci una domanda per il futuro.Tutto questo diventa politico solo se siamo visibili?

Ci sono tanti modi per essere visibili, a partire dal sito, ma io ritengo che proprio perché questi argomenti sono così forti e presenti, prima di incontrarci col politico fuori, prima di poter parlare per fare qualcosa fuori, che diventi visibile, politico, questi argomenti, proprio a partire dal linguaggio e dal significato di ogni cosa che noi diciamo, dobbiamo averceli proprio chiari perché altrimenti … già io mi sento galleggiare, annegare, affogare perché sono veramente temi grossi. Andare fuori con questi argomenti ci perdiamo, non riusciamo a farci capire, c’è rischio che altre donne fuggano. Per me è importante ribadire che questo è politico, lavorare molto per poi uscire fuori, incontrarci con le altre donne, con le istituzioni, ma veramente le cose su cui dobbiamo discutere sono ancora veramente tante. Altrimenti se usciamo fuori, rischiamo di nuovo di fermarci, come nel passato.

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Gabriella: Allora vorrei partire da un’osservazione che ha fatto Livia, sul fatto che trapela l'dea che femminile è meglio che maschile. Questa osservazione si aggancia a quello che ha detto Pina che dice che noi dobbiamo essere capaci di affrontare questo conflitto tra femminile e maschile, darlo per accettato e per scontato e andare oltre, consapevoli del fatto che femminile non vuol dire “meglio”. Non è vero che femminile è migliore del maschile, ma soprattutto il femminile non ha la capacità di mettersi in alternativa. Quello che forse noi stiamo chiedendo a noi stesse è riuscire a uscire da questa occasione che abbiamo creato tra noi - perché ne siamo capaci, o perché ci conoscevamo - di discutere di argomenti così importanti che sono poi i problemi dell’umanità da quando esiste fino al duemila e poi fino al tremila, cinquemila. Allora come riusciamo noi a passare un messaggio nell’occasione in cui possiamo ipotizzare un incontro con donne che rivestono ruoli istituzionali. Vorrei che riuscissimo ad essere più disponibili, disponibili ad incontrarci per diventare pubbliche. Un modo l’abbiamo trovato, quello del sito, che è meraviglioso però è mediato da un sistema che non ci espone personalmente, cioè siamo protette.

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Maura: volevo dire due parole sul fatto se questi incontri sono politici o no. Questo spunto di Livia mi è servito molto perché ieri, diligentemente, essendo stata assente la volta scorsa, mi sono sentita tutta intera la registrazione, e vi posso assicurare che presa tutta d’un colpo…è una bella cosa. Ora, mentre ascoltavo è suonato il campanello una prima volta, è entrata una mia amica e io ho subito chiuso l’ascolto. Abbiamo parlato, come facciamo spesso, e poi lei ha detto “cosa stai facendo?”, ho risposto “ascoltavo” e non le ho detto una parola di più. Lei è andata via, io ho riattaccato, dopo un po’ è entrato mio marito e io ho di nuovo chiuso. Lui ha detto “devi studiare per domani” e io “sì, sì, devo studiare”. Poi è entrata un’altra amica e io ho di nuovo spento. Quando alla sera ho finito di ascoltare l’incontro, ho pensato “io sono convinta che sia una cosa politica, perché “tutto è politico”, però a cosa serve tutto questo se io non riesco a trasmetterlo fuori?”

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Livia: a proposito di quello che diceva Pina sul conflitto, sull’irrinunciabilità del conflitto e del soffrire il conflitto. Io ho pensato “godere" il conflitto, che è quello a cui voglio arrivare io, intendo il conflitto uomo-donna. E’ questo che intendiamo? Perché a volte sembra che non diciamo questo.

Sulla questione del potere femminile dovremmo un po’ studiare la situazione finlandese che è l’unico paese in cui il potere politico è in mano alle donne, nel senso che il governo è costituito quasi tutto da donne. Potrebbe essere interessante capire quella situazione.

Quando penso, nel mio piccolo, al potere che esercito io, (che vuol dire anche assegnare degli incarichi che comportano attribuire dei soldi e significa anche trattare con tutti i dirigenti per chiedere loro che facciano delle cose che per loro sono delle rogne), io esercito un potere reale, lo esercito bene, nel senso che le cose funzionano, ma penso che non c’entra niente il fatto di farlo in modo maschile o femminile. Penso che quello che mi aiuta è una competenza nella gestione dei gruppi e delle relazioni.

Se poi penso alla differenza nel gestirlo con uomini o con donne, penso che lì ci sia una differenza, nel senso che con le donne io sono diretta, esplicita, perché lì entra in gioco una somiglianza che mi consente di fidarmi di più; con gli uomini tendo ad essere leggermente manipolatoria perché so che in quel modo ottengo quello che voglio. Forse questa è la cosa più femminile che faccio e forse è anche la meno elegante, che però funziona, va bene a me e va ancora meglio a loro. (Risate)

La Sindaco non ha imparato a gestire le relazioni, punto e basta, che sia donna o uomo questo è assolutamente ininfluente.

Dove invece c’è un potere collettivamente gestito da donne, forse qualcosa cambia, ma dipende chi sono e che retroterra hanno, anche personale. Se penso alla esperienza fatta con le donne, a cosa mi è servita nella gestione delle situazioni di potere, ma, boh… magari ad autorizzarmi ad “esserci” e questo non è poco. Ma non ho imparato a gestire le relazioni partendo solo da quello. Rispetto al come non ci vedo delle differenze.

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Giovanna: Io non sono in grado di cogliere, se non a tratti, questa faccenda del conflitto maschile - femminile … sento che la voce delle donne non c’è, mi chiedo: le donne hanno ancora qualcosa da dire? Sento che c’è stata una voce femminile nel passato, molto forte, che ci ha fatto raggiungere dei risultati, che ci ha fatto accedere a delle leggi, che ci ha reso possibile delle cose. Però adesso ho la sensazione che questa domanda le donne non la facciano neppure più.

E perché, alla fine, questo gruppo serve a noi? Serve proprio a noi che abbiamo questa domanda (voce: ma non siamo le uniche ... ) Da che cosa è nat tutto? E’ nato dalla mostra, dal desiderio di Paola e di altre di mettere insieme di nuovo delle energie che provenivano dal passato e di ricominciare a seminare. Però sento che questi incontri hanno una sfera di intimità da preservare, come quando hai trovato qualcosa di molto bello in casa e te lo vuoi tenere per un po’.

Un’altra cosa: che aspettative abbiamo noi nei confronti delle donne? Nel momento in cui Paola dice “mi piacerebbe avere un confronto con donne nei ruoli di potere politico” io mi irrigidisco perché non vorrei che noi proiettassimo in queste donne che hanno il potere delle aspettative, quindi andrebbero fatti, in futuro, degli incontri come gruppo, ma magari, per esempio, con le sorelle Comencini. Ecco, allora quella lì è l’azione politica precisa, che tu fai come gruppo che agisce a livello culturale, e allora è lì la differenza. Perché la differenza in ambito istituzionale non c’è, perché queste persone non hanno proprio il tempo di leggere, nemmeno di leggere le mail, che sono stra - filtrate, arrivano agli incontri che sono state informate da altri su ciò che accade, è tutto fatto di fretta, si vive nell’evento. Io non voglio che questo gruppo diventi "un evento".

Sintetizzando: dove è finita questa eccellenza femminile di cui si parla? Io per prima in Comune ho proposto una rassegna di scrittrici perché sentivo la mancanza di incontri che riguardassero la letteratura al femminile. Questa cosa è successa, ma poi ho ragionato che forse è un errore, forse bisogna invitare le persone… C’è un pensiero dentro di me che si muove rispetto al fatto del maschile e del femminile, a volte sento che c’è il conflitto, e poi penso che il conflitto è semplicemente tra gli essere umani. E poi questa cosa della politica ... io adesso la politica la vedo come un pericolo. Questa nostra cosa è molto preziosa e perciò nel momento in cui decidiamo di avere un contatto esterno, deve essere molto protetto.

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Alisia: Giovanna diceva che esiste una domanda, le donne si fanno delle domande, noi ci stiamo facendo delle domande, ma secondo me tante domande non provengono dalle donne in questo momento, tante domande provengono da altre persone. C’è un’attività molto fervida nei gruppi dei transessuali, degli omosessuali e quindi è lì, secondo me, che si potrebbe pensare a una condivisione politica delle nostre domande. Lì le domande se le fanno veramente. Mi piacerebbe pensare a una condivisione, ad uno scambio con queste realtà.

Per quanto riguarda la parola “eccellenza femminile”, mi sono venute in mente due cose. “Eccellenza femminile” mi fa un po’ paura e mi gela, come “pari opportunità”, è qualcosa che appartiene a un linguaggio che non è il nostro.

E’ stata una scelta? "Eccellenza femminile”, “pari opportunità”, le abbiamo nominate noi? Non credo. Questa scelta di parole, questi termini, da dove viene? Viene dal nostro mondo?

Paola: l’ “eccellenza femminile” viene dal nostro mondo, dalla Muraro, dalla Libreria delle donne di Milano. “Pari opportunità” è una cosa diversa, più anglosassone come origine.

Alisia: mi sembra un vocabolario che nasce da una struttura non realmente femminile. Ho questa sensazione, che adesso non c’è un sottofondo, sono termini che vengono lanciati lì a copertura di qualcosa…

Per quanto riguarda il discorso di Giovanna che parlava di persone e non di maschile e femminile, teniamo conto che la Sindaco, per esempio, non è solo donna in un importante ruolo, ma rappresenta anche uno schieramento politico e secondo me questo fa sì che sia come se avesse una colata di cemento addosso, povera donna.

Rispetto al potere, quale è il significato di potere e quale è il potere che ci fa paura? E ancora…Spesso molte donne dicono “non posso fare questa cosa” e in realtà nascondono la non volontà, l’aver già deciso che non la vogliono fare. E questa mancanza di trasparenza non è a sua volta una forma di potere?

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Laura: per me politica non è fare questo. In questa situazione triste del nostro governo, le azioni che vorrei fare sono altre. Anche a partire dall’Università, che stanno distruggendo. La mia facoltà non esiste più, esiste l’indirizzo Scienze Politiche e basta…è una cosa disgustosa e poi tante altre cose che non vanno bene.

Mi piacerebbe fare qualcosa di attivo, perché stare a casa dicendo “no, non va bene” non cambierà niente, finché non scenderemo con i forconi in piazza non cambierà niente.

Voce: ce li facciamo prestare dai contadini!

Laura: Poi, ripensandoci, se do alla parola "politica" un significato diverso da quello che per me è il significato forte di azione, forse c’è anche della politica in quello che facciamo, perché ci vediamo, passano comunque sotto sotto degli altri contenuti e quindi qualcosa c’è. Non è la politica che ho sempre inteso fino all’altro ieri, ma forse qualcosina c’è. Anche io ho delle difficoltà a dire cos’è questo gruppo: mi rendo conto che devo sempre spiegare e alle volte lascio perdere perché dico “tanto non capiscono”.

Ultimamente ho di nuovo un po’ di grinta e anche sul lavoro a donne stupide ho spiegato che cosa era. Ho detto che non potevo lavorare perché avevo una riunione di donne: grandi risate ... poi spiegando un po’ nel dettaglio cos’era: silenzio, mutismo e sottomissione! (voci e risate). Sembravo la cretina che fa il movimento femminista.

Voce: hai detto “sottomissione” ... vuol dire che ti ritenevano più forte.

Laura: Comunque hanno capito che non era una cavolata, anzi mi hanno chiesto l’indirizzo del sito. Poi c’è una mia amica che si è esaltata di questa cosa, lei abita a Milano …

Voce: Le hai detto che si è aperto il blog?

Voce: mi sono appena iscritta

Voci e risate a proposito delle foto sul blog.

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Laura: sui rituali ho riflettuto, ho fatto il compito a casa. Ho riflettuto anche sulle persone che ammiro e ho pensato se queste persone nel loro agire quotidiano usano delle modalità maschili o femminili. Secondo me non nutrono né modalità femminili né maschili ma un connubio, prendendo forse il meglio da tutte e due le cose. Ho anche pensato che la modalità maschile, forse alle volte un po’ aggressiva, io non la vedo negativa. Io non vedo grande la modalità femminile e giù quella maschile, anzi.

Per esempio, una dottoressa oncologa dell’IST, donna stupenda, secondo me un medico di quelli che non ce ne sono ecc., usa un modo di lavorare che non è femminile. Poi ho pensato al mio migliore amico, lui non si comporta in senso maschile, anzi ieri sera gli ho detto che ha delle modalità femminili.

Voce: lo hai sconvolto!

Laura: sì, è rimasto sconvolto e ha detto “forse per questo non piaccio alle donne” (risate).

Laura: un’altra cosa che mi ha sconvolto sul mio lavoro è che in questo momento di crisi totale c’è una ragazza della mia età, ventisette anni, disperata perché non la prendevano a fare tirocinio, l’ho vista mettersi a piangere implorando di farle fare altri colloqui perché vuole sposarsi.

Luciana: Non abbiamo parlato dell’autonomia economica delle donne.

Pina: ci arriveremo.

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Arianna: Quando sono rimasta incinta, ho cercato delle donne che avessero modalità femminili, me ne rendo conto adesso. Io ho sempre avuto ginecologi maschi, perché trovo insopportabile nelle ginecologhe donne questa cosa che in fondo ‘noi siamo donne e quindi va tutto bene’. Va beh, io mi sono protetta da questa aggressione che io ho vissuto da una ginecologa donna, cercandomi dei ginecologi uomini che fossero molto al loro posto. Poi però quando ho deciso di fare un figlio, in realtà ho cercato una donna e ho cercato una donna che avesse delle modalità, secondo me, importanti. E sono andata dalla Morano, la Morano è una ginecologa primario a San Martino che si occupa della casa del parto. Lei ha una sua ideologia molto particolare che è quella di far riappropriare le donne del parto. Quindi si partorisce in maniera naturale, non ci sono medici, ci sono solo ostetriche e il parto viene vissuto dalla donna in maniera per cui la donna è artefice del parto e se lo gestisce.

Io ho scelto di fare questa cosa qua perché per me era il modo giusto di affrontare il parto. Io ho avuto un parto meraviglioso, sono stata fortunata in questa cosa qua, ma molte donne non vogliono fare questa scelta perché hanno paura e hanno bisogno del medico che le faccia partorire. Sono scelte diverse, poi ognuno viene dalla propria storia.

Questa cosa mi ha fatto molto pensare, perché in questo momento della maternità io ho scelto proprio una persona che avesse queste idee, l’ho cercata con il lanternino. Poi ho cercato la pediatra donna che avesse un modo di affrontare la relazione madre-figlio di un certo tipo. La mia pediatra è una donna che fa un lavoro molto particolare di relazione madre-figlio, per esempio lo svezzamento del bambino non viene affidato alle case farmaceutiche, ma tutta la famiglia è coinvolta. Esiste una diversità, che sia donna per me è importante.

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Di tutto quello che si è discusso, mi ha colpito Luciana che prima ha detto “noi abbiamo un passato politico”: io non ce l’ho. Per me è molto difficile parlare con voi perché io non ho questo passato politico, per me è tutto nuovo e mi sembra già incredibile riuscire a confrontarci su dei problemi e trovare dei modi di parlare su determinate cose perché non l’ho mai fatto e per me questa è una cosa rivoluzionaria. Anche perché del vostro passato io cerco di carpire molte cose che per voi sono scontate, sono banali, perché le avete vissute. Per me non lo sono.

Faccio anche fatica a raggiungervi su alcune cose, giustamente. Ma una cosa che è importante è il fatto che c’è un problema femminile, ci sono tanti problemi delle donne e non siamo d’accordo su tutti questi problemi, nel senso che ciascuna di noi ha la propria idea, e come riuscire a confrontarci, a parlare insieme è già un grande risultato.

Perché le donne che fanno politica non fanno delle leggi per le donne? Però per fare questo bisogna capire quali sono i problemi delle donne e cosa ne pensiamo di questo.

Banalità: il problema degli asili nido è un problema enorme. In Danimarca e in Svezia hanno delle leggi bellissime: un’amica che si è sposata e vive in Danimarca è già al terzo figlio e può permettersi di farlo perché hanno delle leggi meravigliose per fare questo.

Voce: chissà in Finlandia! (Risate).

Arianna: però siamo tutte d’accordo che non avere abbastanza asili nido è un problema? Siamo tutte d’accordo che la possibilità di permettere alle donne di mettersi in pausa dal lavoro per fare figli è importante? Quanto tempo? Secondo me non è così scontato questo accordo, già fra noi quattordici non siamo d’accordo e quindi figurati andare a parlare con altre donne di questo. Gabriella diceva “io voglio uscire di casa avendo delle leggi che mi tutelano”, però se non esci di casa non avrai mai delle leggi che ti tutelano. Secondo me esplicitare i problemi e confrontarli tra di noi non è cosa da poco, è una grande cosa, molto politica.

Quando abbiamo fatto il gioco dell’oca, una donna mi ha detto: “ le donne hanno ottenuto delle leggi, adesso i problemi ce li hanno gli immigrati”. Non è vero, il problema della donna è ancora un grosso problema, noi non abbiamo finito il nostro percorso. Fatto sta che voi che avete fatto già un percorso politico, e lo vivete come un percorso che ha fallito, che non è vero secondo me, però già questo sentimento vuol dire che c’è ancora della strada da fare.

Giovanna: volevo riportare qua un episodio che mi è successo in ufficio. C’era il mio dirigente, c’era accanto una funzionaria sui cinquant’anni. Lei parla di una donna che dovrebbe rientrare dalla maternità e dice “ma non rientra sai, perché aspetta già il secondo figlio, quindi non la vedremo più per altri tre anni”.

Il tono era “si è imboscata”, non ha ragionato “aspetta il secondo figlio, meno male, ci sarà qualcuno che pagherà le nostre pensioni, meno male il Paese cresce.” La donna parlava al dirigente uomo.

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Pina: stavo pensando che abbiamo continuato a fare un giro tipo spirale ma non abbiamo scelto e ormai la giornata va così. Il compito era scegliere tra le cose proposte un argomento e attenerci (voci sovrapposte).

Gloria: anch’io, dopo l’intervento di Livia, ho pensato che non mi è del tutto chiaro per quale motivo vengo a questi incontri e perché cerco di non perderne uno e per me sono comunque importanti. La provocazione di Livia mi ha consentito di focalizzare l’attenzione. Forse quello che ci stiamo tutte domandando è che cosa stiamo facendo, e se quello che stiamo facendo ha un senso. Questa è la domanda di base, prima di scegliere un tema. Parlo per me, non voglio generalizzare, io mi sono accorta che non avevo chiaro perché sono qui, mentre l’avevamo chiaro venti – venticinque anni fa, le 150 ore, le tematiche del lavoro, ecc.

Abbiamo cominciato a frequentarci di nuovo quasi un po’ per caso, tanto è vero che io per un bel po’ non ho letto proprio niente, venivo così, all’ultimo momento senza averci pensato un secondo. Questa volta devo dire che ho fatto uno sforzo ulteriore, mi sono letta l’articolo  ella Muraro, mi sono letta le osservazioni che mi avete mandato.

Quando però Livia ha detto che questo è un momento politico difficilissimo e che la rendeva perplessa questo nostro lavoro e si chiedeva se fosse politico, e che quasi quasi lo vedeva come una sorta di alibi nei confronti di questo momento difficile, mi è scattato qualcosa, all’improvviso mi è stata chiara la ricchezza del lavoro che stiamo facendo nel senso che il momento politico è difficilissimo, è un momento politico dove sappiamo tutti che una delle cose che più viene colpita è la cultura e la capacità delle persone di coltivare un pensiero critico. In tutti i modi cercano di bombardare questa cosa. Il fatto solo che noi continuiamo a fare questo sforzo di elaborare, di pensare insieme tra donne, di cercare di trovare dei punti di discussione o anche di divergenza, è’ già in antitesi alla politica del governo, e questa è la prima cosa che penso.

Questa voglia di pensare in gruppo, anche gli uomini potrebbero farlo, nessuno glielo nega, ma forse i loro rituali sono molto codificati e non gli consentono di fare queste riflessioni ad ampio raggio che facciamo noi. Noi è vero che riflettiamo un po’ su tutto, magari mettiamo troppa carne al fuoco, però quelli hanno dei rituali così rigidi per cui o devono discutere nel Senato accademico o devono fare un seminario su una determinata cosa e non si permettono…questo è un lusso che ci stiamo permettendo noi.

La seconda cosa è che noi non sappiamo in giro che cosa c’è. Luciana in un incontro con Giulietta aveva giustamente detto che le piacerebbe sapere se in Italia o a Genova ci sono dei gruppi di donne. Non lo sappiamo, ma quello che sta succedendo a noi, sta succedendo anche ad altre donne, è come un movimento carsico che noi non conosciamo ancora bene ma che poi può dare qualche cosa.

Per cui a me non interessa in questo momento un rapporto con le istituzioni o una immediata visibilità dal punto di vista politico, mi interessa invece che continuiamo a fare questo lavoro, che mi sembra un lavoro anche creativo. Insomma io ho trovato un senso al nostro incontrarci, sarà l’uovo di Colombo...

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Eleana: Un primo spunto: se la sindaco fosse un uomo saremmo qui ora a discutere di lei in quanto uomo, o del suo operato in quanto politico? Sicuramente il giudizio sulla sindaco e sulla sua collaboratrice segretaria generale è più selettivo, più rigido per il fatto che sono donne, oltre a passare al vaglio dell’operato passano un ulteriore vaglio, ci sono due step.

Giovanna: sono le aspettative…

Eleana: sono le aspettative da parte delle donne e comunque uno spunto per ulteriori critiche da parte degli uomini.

Secondo spunto che mi interessa molto e che mi è venuto da Livia, ed è l’idea che il femminile sia meglio del maschile forse è un’idea che c’è tra di noi. Non so a che punto sia il pensiero femminile su questo argomento. Sicuramente è un’idea diffusa nel pensiero che gli uomini hanno sulle donne che pensano, che si interrogano. Non so se è chiaro: gli uomini pensano che le donne siano convinte della supremazia del genere femminile e questo…

Gloria: ... è la loro paura delle donne.

Eleana: ... e questo genera antifemminismo. Per cui le donne che pensano, che si interrogano sul modo femminile di vedere le cose, quello che poi facciamo anche noi, sono viste come dinosauri di un’epoca passata che portano questa idea di discriminazione degli uomini e il conflitto in questo caso è su due temi principali. Uno è la genitorialità, ossia il fatto che le donne non riconoscerebbero agli uomini la possibilità di essere padri, o la competenza di essere padri. La seconda è sul diritto, che è un altro argomento che abbiamo toccato adesso: Cioè gli antifemministi accusano le donne di essere privilegiate da una serie di leggi che rendono la vita più facile, ad esempio il fatto di avere un accesso facilitato a fondi europei, di avere sconti nelle discoteche…che è l’esatto contrario di quello su cui parliamo adesso

Luciana: sul fatto di essere salvate per prime quando la nave affonda.

Risate…

Eleana: quindi in realtà se il femminismo come esisteva un tempo non c’è più, in realtà l’antifemminismo direi che è vitale e soprattutto serpeggia e si sta diffondendo la convinzione che in realtà le donne sono ben tutelate dalle leggi, anche troppo, e che bisognerebbe togliere qualche legge che le protegge.

Un’ultima notazione è sul valore politico che io conferisco ai nostri incontri. Secondo me hanno un forte impatto, una forte valenza resistenziale, perché le cose, scusate il catastrofismo, sono in procinto di un esponenziale peggioramento per le donne e quindi è importante uno zoccolo resistenziale per mettere alcuni punti saldi, per magari un giorno, in un prossimo futuro tirarli fuori, cioè prepararsi.

Risate, voci: propongo di fare la rivoluzione con i rastrelli…

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Paola: Ripensavo ad alcune cose di un ambiente a me più noto, il sindacato. Sono avvenuti dei fenomeni, anche abbastanza a ridosso della fine dei Coordinamenti delle donne, che hanno contribuito molto rapidamente a mettere fine a tutto il discorso politico delle donne.

Uno ad esempio è stato quando nel ’91, ’92, eravamo otto, nove anni dopo, c’è stata in CGIL la spaccatura in due componenti organizzate, quella di maggioranza e quella di minoranza. le due mozioni contrapposte ai congressi. In quel momento le donne si sono schierate nei due eserciti: è stata proprio una cosa plateale, immediata. Ci sono stati, io me li ricordo, dei tentativi disperati da parte di qualcuna di tentare di fare comunque la riunione delle compagne di tutte due le mozioni per vedere se noi potevamo avere questa trasversalità, per cui la risposta più ragionevole a quello che stava succedendo non era di dividere la CGIL in due eserciti contrapposti, ma non c’è stato nulla da fare.

Quindi le donne si sono divise tra quelle che subito si sono investite da guerriere dei due schieramenti e quelle che hanno detto “ma allora in questa situazione non c’è più possibilità di dire nulla”.

Mi vengono in mente anche episodi più locali ... beh, tutti questi eventi non hanno trovato nessuna possibilità per cui le donne dicessero “ma cosa sta succedendo?”.

Allora il lavoro che noi stiamo facendo… quando dicevo che siamo come quelle che pregano nel convento mentre fuori c’è casino, e dicevo “magari ci incontriamo con qualcuna”, non intendevo mettere a repentaglio il nostro lavoro e l'intimità che diceva lei, però pensavo che il lusso che ci stiamo prendendo di dedicare del tempo a dei pensieri possa avere un canale di comunicazione con donne che svolgono un ruolo pubblico di qualche natura, pubblico perché fanno un film oppure perché operano dentro un’Istituzione, e che, come dici tu, non hanno neppure il tempo di fiatare e sono tutte dentro l’immediatezza.

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Sulla questione dell’eccellenza femminile, mi ha sempre dato fastidio questo termine. Sono d’accordo con tutte quelle che hanno detto che non è che tutti i comportamenti, i modi di affrontare le cose, i rituali dei maschi siano peggiori di quelli delle femmine in sé. Il punto però è che nel mondo, così come è governato, quelli maschili hanno valore determinante e dirimente, quelli femminili no! Per cui le modalità maschili e femminili non riescono a dialogare o a configgere alla pari, con la stessa possibilità di emergere, di prevalere o non prevalere. Figurati se, ad esempio, anche la CGIL non ha utilizzato alcune modalità più ‘femminili’ per fare delle cose. Ma poi c'è ne è una che, alla fine, domina su tutte, e questo è il punto che segna la differenza.

Sulla paura, ecco, qualcuna da detto “bisognerebbe godere il conflitto con il maschile”. Questo è il punto! Per me - parlo dell'ambito lavorativo - era impossibile. Io avrò questa cosa qui particolarmente grave, e posso capire da dove mi viene, ma a una persona che nasce oggi, che avrà questo problema tra vent’anni, che cosa sta arrivando? Da chi e in che forma? Dalla televisione le arrivano alcune cose, ma che cosa le sta arrivando dal papà e dalla mamma quando ha sei mesi? O dalla zia o dal nonno?

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Pina: dopo dieci interventi sto cercando se trovo un filo. E il filo è il linguaggio. Credo che ogni persona che qui ha parlato, è come se richiedesse “come facciamo ad avere un linguaggio che davvero possa essere comprensibile o che noi possiamo decodificare, tu, lei, lei”. Conoscere il linguaggio o pensare al linguaggio, significa pensare subito che ci sono campi molto diversi. Un esempio molto banale: Tu (Aurea) quando rappresentavi quella scena di uomini che ti rispettavano dopo che tu avevi parlato per prima: lì c’è un conflitto; è possibile che ci sia un atteggiamento di rispetto, cioè il rispetto della donna e soprattutto se me lo hai rappresentato come uomo in divisa. Ma quel luogo lì è il luogo ‘topos’, è il contrario, perché uno che ti rispetta perché sei una donna, è già entrato nella zona che ti rispetta come si toglie il cappello, come ti apre la porta, cioè in quanto ‘altra’. Voglio dire che sotto c’è una contraddizione.

Voglio dire che il problema è il linguaggio, è come dire che qui il rito significa confrontarci e riflettere sui linguaggi che usiamo e cercare di omologarci almeno nella comprensione: per esempio la parola ‘eccellenza’ per me è questo, per te quello, per te quello ... ecc.

Se noi riusciamo a lavorare mentre parliamo, sulla diversità dei linguaggi, possiamo anche cercare di riuscire a comprendere, a capire i vari linguaggi e perciò comprenderci.

A proposito del conflitto del maschile e femminile: il maschile e femminile sono due modi di dire, due poli.

Ogni persona riflette, parla, si muove, opera in un modo che noi ‘in quel momento’ chiamiamo ‘maschile’, ‘in quel momento’ chiamiamo ‘femminile’, ma le cose si bilanciano in continuazione, non esiste ‘una’ risposta.

La difficoltà qui è questa, è del linguaggio.

Domani il nostro linguaggio è già cambiato. Poi è chiaro che siccome siamo fatti in modo diverso, funzioniamo fisicamente in modo diverso, dove maschile e femminile significa partire dai geni, che danno delle qualità diverse, in tutta la gamma storica. E allora come facciamo? Teniamo conto di questo, parliamo di maschile e femminile attraverso la storia. E come siamo noi oggi? Tu dici “ma io voglio parlare di persone, di individui”, però è una donna, è un uomo, nata/o e cresciuta/o in quella cultura. Però è maschio, è femmina, e i due poli che noi usiamo nel linguaggio, di maschile e femminile, sono limitati, perché diciamo maschile e femminile, ma nel maschile e femminile c’è tutta la storia oltre che i geni. E qui ci mettiamo d’accordo, maschile e femminile negli anni in cui sono nata io, il 1936, c’era il bombardamento picassiano, poi negli anni cinquanta, e poi negli anni settanta e oggi. Per me maschile e femminile sono termini che cambiano ininterrottamente.

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Gabriella: è sempre più difficile dire delle cose, perché qui è una meraviglia, il discorso è così ricco.

Uno stimolo forte me lo ha dato Giovanna quando ha detto “io questa cosa la ritengo così preziosa, che voglio che sia una cosa mia, intima”, e io ho pensato “io no”.

E perché ho pensato “io no”? perché anch’io sto praticando una cosa intima. In questo momento ad ogni intervento mi interrogo su come nasce questo bisogno di intervenire e di dire delle cose così particolari.

Questa è la molla che mi può portare a trovare dei rituali comuni per riuscire a fare quella politica che non è più solo questa cosa intima, perché non voglio che diventi l’elite del gruppo elitario, questo mi dà più fastidio dell’eccellenza, il fatto di avere una cosa elitaria, solo di noi, non so se mi spiego.

Giovanna: io volevo che venisse protetta questa cosa qui.

Gabriella: lo so che tu non hai voluto dire questo, ma io ho capito questo, mi vengono fuori le parole elite, lusso, allora voglio capire meglio il significato di quello che facciamo.

Voglio dire un’altra cosa, il discorso della seduzione, noi quasi quasi mi sembra che venga fuori un discorso poco onorevole, quasi quasi ci sentiamo in colpa. Quante volte usiamo la seduzione nel rapporto con gli uomini e forse anche con le donne? E siccome l’essere scosciate, non so se avete letto il libro della Chiara Ingrao, e quelle ragazze che si mettevano scosciate a cantare, e mi piaceva quella pagina, di queste così coraggiose che cominciavano ad essere scosciate davanti a questi uomini

Voce: lo facevano per metterli in difficoltà

Gabriella: ma infatti, era uno strumento, così come la seduzione è uno strumento. A volte il fatto di voler cercare di essere molto sobrie, forse mutiliamo un qualche cosa che interpretiamo come subordinato agli uomini. Noi in quel momento gli uomini ce li giochiamo. Non è vero che noi lo facciamo per subordinazione, io sono convinta di questo. Perché in quel momento gli uomini sono in seria difficoltà. E allora che cosa è questo strumento della seduzione?

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Luisa: per spiegare questa cosa, parto dal discorso che faceva Paola su come si manifesta la violenza maschile. Penso che uno dei modi in cui si manifesta è anche quello di non capire. Perché uno dei motivi per cui credo che Maura abbia spento la registrazione, sto interpretando…

Maura: perché anche se avessero capito avrebbero detto che non capivano.

Luisa: e questa cosa del godimento del conflitto mi ha aperto un… come dire, adesso cercherò di agire il godimento, però bisogna invecchiare per poterlo fare.

Una cosa che mi premeva dire è questa storia del maschile e del femminile, perché viene continuamente riportata qua. Ma il maschile e il femminile è dentro a ciascuno di noi, perché qui qualche volta mi sembra che se ne parli in una maniera… sentivo la necessità di esplicitare questa cosa, anche se lo abbiamo sempre detto.

Un’altra cosa riguarda quello che ha detto Livia, quando parlava del suo lavoro, di come si rapporta con gli altri. Tu hai detto, se ho capito bene, che non vedi nessuna differenza tra uomini e donne, ma io ho pensato “tutte queste cose che lei sta dicendo, su come si comporta con gli uomini, con le donne, i rapporti ecc. se ci fosse un uomo al suo posto non lo direbbe mai”.

Livia: quello che io mi chiedo è “le dico in quanto donna o le dico in quanto donna-uomo che ha fatto un percorso formativo che riguarda in particolare la gestione di gruppi?”

Luisa: sicuramente quello ha una forte incidenza, però secondo me, le hai dette in un certo modo perché sei una donna e, ancora di più, perché sei una donna che ha fatto particolari percorsi. Non si può questa cosa neutralizzarla! Un uomo che avesse fatto lo stesso tuo percorso di gestione di gruppi ecc., non lo farebbe come te, questo è quello che penso.

Livia: Forse sul maschile femminile, uomini donne, dobbiamo dedicare un altro incontro.

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Livia: Dico solo una cosa sulla politica. Non è tanto cosa è, e cosa non è, politica, quanto quando una cosa diventa politica, si può chiamare politica.

Per me se ci facciamo un gruppo piacevole, che sia anche un lusso, mi va bene, però non mi viene da chiamarlo ‘politica’.

Sono d’accordo nel dire che quello che facciamo è un “pre”, una radice che è indispensabile, ma che per me diventa politica nel momento in cui davvero si misura con la polis, ovvero con qualcun altro. Allora che cosa per me lo fa diventare politica? Il fatto di non spegnere il registratore!

Anch’io lo spengo un sacco di volte, ma ultimamente a me sta succedendo che sto pubblicizzando molto il sito, e anche con successo, con Orietta, con lei era facile, ha anche scritturato le Oche per la Val d’Aosta. L’ho fatto con lei, l’ho fatto con molte altre donne, l’ho fatto anche con uomini. Sono andata a Barcellona e sono tornata con lo ‘Sbarco’, mi sono portata a casa un gruppo di giovani donne e un uomo e ho pubblicizzato anche con loro. Questo perché? Perché in fondo mi sento abbastanza convinta di poterlo fare e che abbia un senso.

Questi incontri mi danno la speranza che si possa in fondo fare qualcosa, che per me può essere anche un qualcosa che non ci vede tutte insieme come gruppo a confrontarci con qualcuno. Quando tu facevi il discorso di chi sarebbe disposta a fare qualcosa per gli asili nido ... io no. Ecco io sarei più disposta a fare qualcosa per avere dei permessi dai cinquanta anni in su per potersi occupare degli anziani, che per me in questo momento è un problema. Per esempio questo non mi verrebbe da farlo come donna o da chiederlo solo per le donne e mi verrebbe da farlo a partire da un riconoscimento di una esigenza collettiva ma che prende spunto anche da qui. Così come chi fa invece un qualcosa per gli asili nido ben venga.

Per me il politico è uscire in qualche modo, poi può essere che qualcuna si prende il nutrimento da qua e se lo adopera come vuole.

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Aurea: la parola speranza mi è venuta in mente, adesso Livia l’ha ripetuta, quando Eleana ha fatto l’intervento, che diceva che siamo in un brutto momento, prepariamoci per…lì mi è venuto in mente ‘speranza’. Perché sono qua? Perché io la speranza da allora, dagli anni settanta, non l’ho mai persa. Allora io sono qua perché mi sto concedendo un lusso che allora non ho potuto concedermi ma soprattutto perché mi sembra che sia il caso di svedere se la condivisione riesce a farci trovare un linguaggio per arrivare alle altre generazioni e perché no, agli uomini.

Volevo tornare anche al fatto di quella che è stata la nostra esperienza. Io penso che noi allora, avevamo individuato uno spazio per le donne nell’ambito del lavoro, quello era l’argomento. Chi si è sentito in quel momento, nell’ambito del lavoro, di discutere lo ha fatto, ha dedicato le sue energie a quello, avendo individuato che c’erano gli spazi in quel momento politico. E’ chiaro che adesso noi siamo qua a raccontare, a dire cosa abbiamo fatto perché potrebbe essere un gradino sul quale salire e dire “và che individuo il punto dove possiamo ancora dire qualcosa e possiamo essere qui a porgervi una mano per arrivare domani ad un risultato, che non è maschile o femminile, è un risultato per la cura di questa società della quale vogliamo continuare ad occuparci. Vi ricordate quella frase che dicevamo quando abbiamo pensato al cambiamento, lo abbiamo pensato per uomini e donne.

Io sono qua per la curiosità delle vostre opinioni e perché voglio imparare a godere il conflitto, perché non ne sono ancora capace.

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Arianna: allora, fare politica non è un lusso, determinarsi non è un lusso, pensare è un lusso?

Voci: sì, sì

Arianna: no! Questo per me non è un lusso, questo per me è un bisogno. Quando abbiamo iniziato a fare questa cosa qua, io l’ho sempre detto, per me è stato uno shock scoprire che c’è una differenza tra uomini e donne, cercare di capire questo shock e come poter gestire la mia vita da quando ho scoperto che sono una donna, per me è un bisogno primario, e io sono qua perché ho questo bisogno e per me questo non è il lusso.

Gloria: però il lusso vuol dire che non è una cosa da tutti arrivare a pensare su se stesse, sul proprio ruolo, non è da tutte.

Arianna: quello che dici tu lo capisco, è una finezza. Ma c’è anche la cosa di avere la possibilità, bisogna anche lottare per avere questa possibilità. Io questi incontri li metto nella mia priorità organizzativa di vita, come impegno lavorativo, perché lo reputo come andare a lavorare, un bisogno primario

Paola: è arrivare a questo che è il lusso che ci siamo prese, sennò col cavolo che saremmo qui.

Luciana: è come un’evoluzione, c’è chi la fa e chi no

Paola: il lusso non è il superfluo

Pina: il lusso è fondamentale, il capire, il pensare, il combattere, il permetterci il conflitto, quello lì, è un lusso. Un lusso vuol dire che noi vogliamo il lusso, ‘non solo pane..ma anche le rose’, bella questa frase, la conosci vero? Nel senso che anche le rose….

Arianna: io sto dicendo questo perché adesso anche la cultura è vista come un lusso, adesso perché c’è la crisi economica si taglia sulla cultura e questo è un errore.

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Discussione finale, in un gran sovrapporsi di voci su cosa si intenda per lusso, il lusso non è il superfluo, se si ha il bisogno di bere, l’acqua soddisfa il bisogno, la bibita è il lusso, Arianna contesta che questi incontri siano una bevanda, per lei sono come l’acqua, Giovanna dice che viene introiettata una visione esterna del lusso “noi ci concediamo il lusso, viste dall’esterno, di passare una giornata insieme per riflettere sul mondo, sulle donne, sul femminile, sul maschile, di dedicare otto ore, quattro volte l’anno, più il sito…è un lusso che gli occhi esterni ci dicono quello che dicevano ieri a Lauretta: "ma che cosa vai a fare”.

Livia aggiunge che questi incontri non producono né beni né servizi e in questo senso possono essere chiamati un lusso che ciascuna di noi si concede.

Gabriella si chiede perché diciamo che oggi non stiamo producendo beni o servizi, lei dice che stiamo producendo qualcosa per cambiare la società, le voci sono molto sovrapposte e poco comprensibili.

Pina chiede “è un piacere o no stare qui? Se sì allora è un lusso”.

Annuncio della nascita del gruppo maternità, accordi organizzativi per il primo incontro.

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