Primavera 2010: indice degli argomenti e trascrizione dell’incontro.

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La proposta è parlare di rituali maschili e femminili. I rituali maschili si possono modificare/ contaminare o è necessario inventarne dei nuovi? L’utilizzo delle modalità femminili di relazione - Cercare una via nella multiculturalità femminile – Rituali femminili buoni e rituali maschili cattivi? – I limiti delle ritualità femminili nella sfera pubblica. Ritualità appropriate agli obiettivi da raggiungere – Le donne hanno ritualizzato la capacità di intimità ma non se ne riconoscono il valore - Le donne si adeguano ai rituali maschili perché raggiugno il risultato – Le donne mancano di struttura. Le donne risultano perdenti perché si inseriscono in rituali già esistenti e strutturati – Scontrarsi o cambiare prospettiva? – Stare meglio con gli uomini che con le donne: da una parte rituali chiari e consolidati, dall’altra  rituali complessi e non definiti. Abbiamo sempre usato anche i rituali maschili – Esempi di contaminazione e integrazione che hanno prodotto esperienze altrimenti impossibili – La distruzione di queste esperienze - I danni mortali che vengono da un mondo organizzato e dominato da rituali esclusivamente maschili. Il disago il vincere su qualcun altro –Tempi di contaminazione e di integrazione. Esempi di contaminazioni – Praticare il maternage politico di massa o dare la scalata al potere maschile? La crisi induce una polarizzazione più accentuata tra maschile e femminile – Potere parlamentare maschile ed extraparlamentarismo femminile – Si torna nei fortini: l’esempio inquietante di una manifestazione celtica – Essere abbastanza femminili e abbastanza maschili per prendersi cura del mondo. Il termine contaminazione è limitante – Dare valore a noi stesse e alle altre – Prendersi cura del mondo riconoscendoci valore e quindi potere – Per incrociare i rituali, dobbiamo anche noi assumere quelli maschili: anche la guerra? La donna come vittima sacrificale – Il tabocchetto del maternage: se ne esce solo se viene riconosciuto il valore sociale del prendersi cura – La complessità del punto di vista femminile può essere altrettanto efficace della modalità maschile di tendere linearmente all’obiettivo. Nei luoghi del potere maschile si finisce alla mercè – Riconoscere che certi rituali maschili, inclusa la guerra, sono indispensabili – Non sapere usare gli strumenti del potere maschile inibisce la possibilità di far valere la propria diversità - Il termine “contaminare” è pericoloso: bisogna creare cose nuove. C’è un declassamento dei luoghi (scuola, magistratura, medicina) man mano che diventano a maggioranza femminile? La donna non armata: ma i cambiamenti si fanno armati – Basta un maggiore intreccio tra maschile e femminile, o bisogna inventare qualcosa di completamente diverso? – La cosa più necessaria è un recupero di consapevolezza – La trasformazione individuale è la pre – condizione. Viviamo come in una finzione scenica – Non c’è consapevolezza di quello che si è perso – Il nostro è un microcosmo: ma perché dovrebbe essere perdente? – Si termina con una esperienza e con una speranza.

 

La tavola ci attende.

 

Anna l'ha imbandita con particolare eleganza,

e tutte noi, come il solito, abbiamo cucinato cose buonissime.

 

Poi c'è da festeggiare proprio il compleanno di Anna, per cui la produzione di torte questa volta è stata strepitosa.

 

 

 

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Paola Lo sforzo oggi è quello di scegliere un argomento e cercare di restarvi, senza sfuggire o divergere. Leggendo le trascrizioni si vede che le prime volte la discussione era più concentrata, poi successivamente c’è stata una dispersione ...

Gabriella L.una “gassificazione”

Paola Per cui per questa volta, attraverso le chiacchiere che ci sono state con Pina e con Luciana Brunod, è venuto fuori il dilemma per cui le donne sono sicuramente molto più presenti in tantissimi luoghi con ruoli, campi di interesse, attività, visibilità pubblica non comparabili con quelli che erano negli anni ’70, per non parlar di prima, ma questa novità si accompagna al fatto che anche dove le donne hanno ruoli di responsabilità, prestigio, potere, non sembra che siano cambiate le modalità di funzionamento delle rispettive organizzazioni, luoghi politici, industriali. Allora l’interrogativo è "perché" le donne accettano, o devono accettare, o non sanno (o non hanno la possibilità di) proporre modalità alternative di rapporto e di relazione.

Oppure ci sono dei luoghi in cui viceversa l’ingresso delle donne ha modificato le modalità di relazione, di gestione, di comportamento, di modi di conduzione della sfera pubblica?

Questo interrogativo poi si può riferire alle modalità di relazione, di rapporto e di interazione anche nella sfera privata.

Gli uomini hanno costruito nel corso del tempo, reciprocamente dei codici di comportamento, dei rituali pubblici o privati.

La proposta è discutere di questi rituali, della importanza che hanno per il potere, se ci sono o no delle trasformazioni, quali sono le difficoltà o che possibilità ci sono, dove si dovrebbe agire, su cosa si dovrebbe pensare, perché le donne riescano a elaborare, e mettere in contraddittorio, in dialettica una propria modalità, dei propri rituali di relazione rispetto a quelli che governano il mondo sia negli aspetti privati di rapporto tra le persone, sia negli aspetti più pubblici, più politici, con una possibilità di indurre una trasformazione.

Per prendere un esempio: le modalità di funzionamento del sindacato di oggi non sono cambiate rispetto a quelle di 30 o 35 anni fa. Semmai si sono deteriorate ulteriormente. Prendo l’esempio del sindacato, perché nel sindacato sì che ci sono davvero più donne, e in ruoli di responsabilità, di segreteria, e anche di segreteria generale e così via.

Allora l'interrogativo è: “perché?”. Oppure ci sono dei luoghi in cui viceversa l'ingresso delle donne ha modificato le modalità di relazione, di gestione, di comportamento, di conduzione della sfera pubblica? Si può anche pensare se si sono modificate o meno le modalità di relazione e di interazione anche nella sfera privata. Oppure no, e le donne comunque accettano, o devono accettare, o non sanno proporre, o non hanno la possibilità di proporre modalità alternative nel rapporto di relazione. Gli uomini hanno costruito codici di comportamento, dei codici che Pina chiama riti ...

Pina La parola rituale è più significativa, evoca immediatamente l'importanza che ha per il potere.

Paola L’argomento proposto dunque sono i rituali: se ci sono delle trasformazioni, se non ci sono, quali sono le difficoltà, dove si dovrebbe agire, su cosa si dovrebbe pensare, o che possibilità davvero ci sono perché le donne riescano ad elaborare e a mettere in contraddittorio, in dialettica, le proprie modalità di relazione con quelle che governano il mondo.

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Pina Io con rituale intendo cose anche grosse, la guerra, le guerre, la lotta tra uomini è fatta con dei rituali precisi … La maggior parte dei rituali maschili sono quelli che hanno il potere nel mondo: i rituali pubblici, la politica, mentre le donne, per quello che io riesco a pensare, hanno i rituali privati che danno un altro tipo di potere: i rituali del cibo, della nascita, dell'accompagnamento alla morte, che riguardano la casa, i figli ecc. Che questi non diano potere non è vero, danno un altro tipo di potere. Prendiamo ad esempio la medicina: quando nel medioevo e nel rinascimento le donne avevano un potere per i medicamenti non sono state lasciate andare oltre un certo livello di potere pubblico, e così le ginecologhe, ostetriche, levatrici. Trovare quali rituali possiamo avere che trasformino i nostri o quelli pubblici per assumere degli aspetti diversi. Le diversità devono esserci, e credo che siano inevitabili, ma come confrontarci? Per quanto abbia pensato non mi riesce di trovare un rituale femminile che sia davvero istituzionalizzato come pubblico, ma posso sbagliarmi.

Livia Stiamo parlando di rituali perché stiamo parlando di politica? Rituali di potere e rituali di rappresentanza? All'interno di quale discorso ci muoviamo? Parliamo delle donne presenti nel sindacato, nei posti di lavoro, a un certo livello nella politica?

Anna No, non vorrei fare questo

Paola Non solo

Anna Come l'ha messa Pina è una questione omni-comprensiva. Rituali pubblici e rituali privati. Per questo non è solo le donne nella politica, nelle istituzioni, ma le donne nel mondo. Io sono arrivata a questa riflessione, che non si possono modificare i rituali ma devi inventarne dei nuovi. E per inventarne dei nuovi non puoi farlo da sola, e non puoi tenere inmodificati i rituali privati e modificare quelli pubblici. E’ un grossissimo lavoro di cui è necessario essere consapevoli. E’ possibile che io abbia fatto una modifica nel mio rituale privato, ma non posso esserne portatrice se non l'ho costruito con qualcuno. Gli uomini la guerra l'hanno iniziata a fare subito in gruppo. Pensavo a “2001 odissea nello spazio”, con le pietre, poi la clava e sono immediatamente diventati due gruppi …

Paola … due eserciti

Anna Le donne hanno difficoltà a diventare gruppo, e questo è il problema

Arianna Mi veniva in mente che Michele adesso va all'asilo dove i maschietti fanno subito gruppo, si spintonano, fanno azioni fisiche, “violente”, tra virgolette, comunque di rapporto insieme, mentre le femminucce della stessa età sono con le bambole o i lego, sparpagliate, magari due stanno un poco più vicine ma poi si allontanano.

E’ una cosa che mi è subito saltata all'occhio come divisione sessuale, non indotta dalle maestre: sono bimbi dai due ai tre anni, le maestre li lasciano molto liberi.

Luisa il rituale non si costruisce, non è una cosa per la quale c'è una strada per la costruzione: si forma nel momento in cui dei comportamenti si sono sedimentati, nei singoli o nei gruppi, Per cui il rituale “avviene”. Questo secondo me è importante da pensare, perché ripetutamente abbiamo detto: bisogna ricostruire dei rituali. Il rituale non si costruisce. Poi ho ripensato al discorso delle donne e della medicina. Credo che le donne avessero una pratica che era diventata una consuetudine, e gli uomini se ne sono impossessati, l'hanno distrutta, l'hanno presa, trasformata e hanno distrutto le donne che la praticavano.

Pina Le hanno bruciate.

Luisa Questo è un processo di cancellazione di un rituale.

Pina Quel rituale della cura non era ancora pubblico quanto quello della guerra.

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Paola Così il rituale sarebbe l'esito di un processo antecedente di trasformazione delle relazioni più private, più intime… In qualche modo una premessa di trasformazione più private e più intime esiste, perché il lavoro fatto dalle donne da sempre, dalle femministe in particolare, ha determinato questa trasformazione. Anche Anna diceva: “Nel mio modo di fare l'assessore al comune ho cambiato dei rituali di comportamento, generando casini e conflitti... ma questo deriva dal fatto che anche i miei rituali privati antecedentemente si erano modificati, sennò no mai più...”. Questa cosa la possono dire di molte di noi. Una premessa di questa trasformazione c'è, e sta in quell'intuizione dell'epoca per cui una trasformazione politica, pubblica, poteva darsi soltanto se c'era un lavoro di trasformazione intima, individuale, di sé, che induceva delle trasformazioni nelle relazioni private, o partiva da queste.

Non è poi che non sia avvenuto nulla nei luoghi dove le donne sono entrate, delle modalità diverse le abbiamo sperimentate, questo aspetto è stato anche studiato e analizzato, è stato anche preso in considerazione da tecnici della organizzazione aziendale. Quindi non è che sia passata inosservata la trasformazione che può portare una presenza femminile non minoritaria in certi ambiti, questa modalità diversa è utilizzata, anche lodata, apprezzata e riconosciuta, ma fino a un certo punto, e non ha passato la soglia dell’essere riconosciuta come qualcosa che poteva veramente in dialettica su come si potevano prendere delle decisioni.

Livia I rituali maschili quali sono, oltre alla guerra? Cioè, di cosa stiamo parlando?

Voce La politica …

Livia Allora, cosa vuol dire un rituale maschile in quel campo?

Paola Un rituale maschile tipico vissuto in anni ed anni di sindacato è: tu sei in una riniunone e non hai niente da dire, ma parli lo stesso perché tu in quella riunione devi dire che ci sei, che hai parlato.

Livia Quindi lasciare il segno. Ma qui come la chiamiamo?

Gloria E’ marcare il territorio

Paola Marcare il territorio. Un’altra cosa può essere il fatto che c’è da discutere di una cosa, c’è da prendere una decisione, ancora non si sa dove andrai a parare perché magari ci sono contrasti tra le persone, a questo punto tu non metti le carte in tavola. C’è una tattica.

Alisia Abbiamo parlato di rituali. Di rituali e di potere. Diciamop che un altro elemento che è strettamente connesso a tutto questo è l’economia, perché comunque il potere è denaro. Finché ce ne è, qualcuno continua ad accumularlo. Questo è un aspetto. Poi insieme volevo unire quanto ha detto prima Anna, il fatto che devono essere creati dei rituali nuovi, da zero. Ora il rituale dirompente, femminile, secondo me, dovrebbe essere visto orientandoci completamente in altre regioni, altri luoghi. Ci sono delle piccole esperienze di rituali positivi, femminili, che funzionano, alternativi tra l’altro al modello economico esistente, che provengono da paesi come l’India, che sono paesi che da un certo punto di vista imitano l’economia, i modelli di potere occidentali, ma stranamente l’India è un connubio di modelli occidentali e completezza totale, orientale, che quindi comprende tutto. E’ come dire: spostiamo il quadro, spostiamo l’attenzione. E’ che noi viviamo in un luogo nel quale comunque la nostra visione è determinata da passaggi e da un linguaggio che è maschile, che è di potere, che è economico in un certo senso: business, immediato e subito. Secondo me una visione al di sopra di questo è possibile solo orientandosi in una multiculturalità. Una multiculturalità femminile è forse una via. Cioè se noi riusciamo … noi, magari! … a spostare, a ribaltare l’economia così come ci raccontano che debba andare avanti per cui nell’errore non ci si ferma, si continua. Da quel punto di vista potremmo pensare ad altri scenari, ad altri rituali.

Livia Ci stiamo orientando nella direzione: rituali maschili cattivi, rituali femminili buoni ...

Coro di no, no, no!

Livia Cerchiamo invece di definirli questo rituali, per vedere cosa funziona e cosa no. Quello che dicevi tu prima: nelle riunioni le donne si scoprono di più, e gli uomini di meno, cosa vuol dire? Che in quel rituale il maschile punta più all’esito, a vincere, che alla relazione, ad esempio?

Paola Ad esempio.

Livia è vero, questa esperienza del microcredito che tra l’altro è una delle esperienze che a livello psicologico fa più bene, nel senso che crea senso di sé, laddove si sta sviluppando nel mondo prevalentemente riguarda le donne, però … se io penso ai rituali femminili delle riunioni, mi viene in mente che le riunioni inconcludenti sono prevalentemente di donne. Ci si dimentica, per esempio, del punto dove si era arrivati, tendono a non concludere, a non arrivare a una responsabilità di decisione. Allora anche questo non mi va bene.

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Eleana Da quello che ho capito ci sono due modalità nelle assemblee, nei luoghi di potere. Una più individuale (non individualistica) in cui la persona si espone e porta il proprio parere, si esprime; e una – più maschile - in cui invece si è presenti “in rappresentanza” di altri, e in questo caso è come se si indossasse la divisa dell’esercito per cui si lotta. In questo senso forse tu dicevi “non si espongono, si comportano in maniera cauta” perché, dovendo tutelare l’esito finale della battaglia e avendo la divisa, la cosa più importante non è esprimere la propria opinione o il proprio giudizio, ma ottenere il risultato per il proprio esercito. E una cosa che mi è tornata in mente è che spesso si rimprovera alle donne in posizione di potere di essere rappresentative di una struttura, di uno stato, o di una associazione, e di essere presenti solo per quello. Che poi è quello che avviene normalmente fra gli uomini, ma perché per le donne è un male, mentre per gli uomini è una cosa comune?

Anna Volevo riprendere la riflessione di Luisa che ha detto “i rituali sono il risultato di attività, di eventi, di relazioni fatte in un certo modo”. Da lì si forma il rituale, così come ci si saluta per le scale. Ora in questo momento non mi interessa tanto parlare dei rituali in sé – quando Livia dice quali sono i rituali maschili e quali i rituali femminili - mi interessa andare un po’ più a monte per capire quali sono le attività che determinano questi rituali. Questa cosa di come i bambini si pongono all’asilo per me è centrale, mi piacerebbe riflettere su questo. Perché la mia riflessione è che i maschi, e questo mi piacerebbe capire da dove nasce, sono più capaci – mi viene da dire così – di mirare alla attività intesa come risultato, che sia un piano poltico, una guerra, una banca, una fabbrica o asfaltare una strada. E’ come se sapessero stare in relazione fra di loro solo giocando. E se hai tre anni giochi nel gruppo, se ne hai cinquanta ti fai l’azienda e giochi in banca piuttosto che al fondo mondiale. Mentre alle bambine,alle femmine (e allora vorrei capire da dove nasce), è come se fosse stata affidata la relazione a “entrare in intimità”. I maschi non entrano in intimità, che vuol dire spontaneità, esporsi nei sentimenti, che vuol dire presentare le proprie esperienze perché servano, che vuol dire essere interessati alla relazione e non solo al contenuto … I maschi non fanno questo, mentre questa cosa le donne, a me pare, che la sappiano fare, ma non se la sono ancora riconosciuta come cosa “che vale” quando entri in un luogo pubblico. Ma non te la riconosci perché è difficile riconoscersela, se per tutta la vita è stato detto che non aveva valore. Allora il punto è che le donne stesse non se lo riconoscono e hanno – qui sì – ritualizzato una cosa meravigliosa: la capacità di intimità, l’hanno ritualizzata nel chiacchierare, nel portarsi da far la maglia, nello sfilacciarsi e dire “va beh, ci siamo dimenticate l’obiettivo” perché per priorità c’è la relazione. Ma nel confronto del maschile diventa povera e perdente.

Laura Secondo me i rituali pubblici si costruiscono nel privato perché le donne che nel privato sono sottomesse poi nel publico si fanno zittire dal marito, hanno paura a mettersi in gioco, ad apparire, a prendere parola, a far vedere quale è al propria opinione. Poi se la donna nelle dinamiche di potere non si afferma quanto l’uomo è perché l’uomo comunque è violento, l’uomo impone la sua decisione, la sua volontà con più fermezza, con più violenza, mentre la donna è più disposta al dialogo. Le donne che adesso hanno potere acquisiscono i rituali maschili perché solo quelli funzionano per imporre, per avere poi un risultato. Cioè esistono delle modalità, dei rituali diversi, e il mondo potrebbe essere migliore facendo delle altre cose. Il problema è che i rituali che ci sono, sono violenti e chi fa la guerra vince. Le donne mancano di strutture, quindi tra loro non si strutturano, e non hanno una difesa, che magari non è la violenza, però non hanno nessun contenimento.

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Gabriella Il punto è proprio questo, secondo me. Io quando rifletto perché in tante situazioni ho poi rinunciato è perché io per riuscire per riuscire a diventare una persona pubblica devo inserirmi in istituzioni, in luoghi di potere , in modelii, in rituali che sono già pubblici, e che sono maschili. Quando io esco dal mio potere che ho e che è indiscusso, e che è quello che abbiamo tutte nella famiglia, perché il più potente politico, il più riconosciuto sindacalista magari a casa riga dritto perché è la mofglie che gestisce la famiglia e gli mette lì i calzini, cioè noi lì siamo delle figure di potere. L’uomo si distacca da questa situazione dove noi siamo il potere diventando il potere pubblico e governandoci là dove gestisce la cosa pubblica. L’ha sempre fatto, e noi abbiamo sempre tentato di inserirci in questa cosa già costituita, pubblica, inserirci in una cosa che è già e che è maschile. A questo punto se noi non abbiamo la forza di affrontare il maschile e di combatterlo … dobbiamo combatterlo … o noi riusciamo a fare la nostra società, il nostro potere ignorandoli come fanno loro che ignorano noi oppure ci dobbiamo scontrare con loro

Luisa Invece il discorso che faceva lei (Alisia) secondo me è molto interessante di cambaiare prospettiva. Perché mi è venuto in mente che ieri alla radio ho sentito che in Africa è successo che nelel zone dove l’Aids è molto diffuso e sono le donne che in maggioranza hanno l’Aids, pare, donne sposate, non l’Aids come nel mondo occidentale che era caratteristico di certi gruppi. Lì si sono inventate il rpeservatiovo femminile perché il preservativo maschile gli uomini non lo volevano usare perché, alla faccia di riti, è una cosa che inibisce la loro virilità, la loro immagine di virilità, è proprio una cosa di rituale. Ed hanno inventato il preservativo femminile, che pare che funzioni. L’hanno descritto … Questa tipicamente mi sembra un esempio, come diceva lei, di “cambio di visuale”. Io è tanto tempo che èpenso che dovremmo riuscire ad avere un cambio di visuale un po’ grosso per riuscire a spostare …

Caterina Io voglio parlare della difficoltà di avere rapporti con le donne, che per esempio sento fortissima nella Lauretta.

Laura Ma non sono l’unica …

Caterina Sì, ma la sento fortissima in te. Se tu sei da sola insieme a dieci maschi ti senti “coccolata”, e quindi sì che è difficile avere rapporti con le donne, non c’è dubbio perché ti devi mettere in gioco molto di più. Io sono per riuscire a parlare tra donne, perché si può cercare di migliorare la nostra forza, la nostra interiorità, proprio partendo dalle diversità tra ciascuna di noi. Se vogliamo riuscire a far valere il nostro pensiero  rispetto agli uomini, al loro potere, dobbiamo riuscire a creare un nostro potere. Sì, con le donne c’è difficoltà, non c’è dubbio, ma proprio questo è il bello, vincere le difficoltà.

Arianna Questa cosa di stare bene coi maschi è una cosa che ho sentito molto, e ne abbiamo parlato anche la volta scorsa. Perché succede? Perché i maschi hanno dei rituali molto chiari, non è solo che ti senti “coccolata”, ma ad esempio quando c’è una situaizone di disagio, si buttà lì la battuta, ci si dà uno spintone: sono dei rituali chiari, classificati, che in realtà tutti conoscioamo, e con cui quindi è facile entrare immediatamente in relazione, e usarli in maniera semplice. Si rientra sempre in quei rituali lì però. Si va a vedere la partita di calcio, che è un rituale maschile? La donna, se va, segue quel rituale lì. Va forte in macchina perché è quel rituale lì. Invece la ritualità fra donne è molto più complessa e spesso non definita. E anche le donne che entrano in relazione, entrano in relazione su rituali maschili spesso e volentieri.

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Paola Sono d’accordo con quello che diceva Livia, cioè di non mettersi a fare la categorizzazione “rituali femminili buoni, rituali maschili cattivi”. E anche che il punto non è fare la lotta contro i rituali maschili. Nel senso che ricordo che una delle cose tipiche che venivano rimproverate e sui cui si costruivano tutte le possibili ironie – e che corrispondevano ad una esperienza efefttiva per cui rimanevi molto disorientata – era che quando andavi a fare le prime assemblee e riunioni tra donne era un casino fuori dell’ordinario, perché c’era la famosa situazione che tutte parlano, tutte si interrompono, sovrapposizione di voci, bordello, una parla e altre tre si mettono a chiacchierare da un’altra parte … Ecco, io ricordo nitidamente che questo era quello che avveniva. L’insieme poteva essere inconcudente, terrificante, da farti venir voglia di scappare istantameamente. Quindi lo spostamento che anche noi abbiamo fatto, nel senso che noi siamo entrate in situazioni di questo tipo in vari posti che poteva essere la riunione alla Flm del venerdì, oppure l’assemblea di fabbrica, gestire questa situazione,e dare una direzione, una possibilità di espressione che non fosse anarchica e indistinta, ecco: che si uscisse dall’indistinto. Partire dal privatissimo e dall’indistinto epr formulare qualcosa che avesse una direzione, una sua struttura, una sua possibilità di evoluzione. Invece quel tipo di modalità così come era, e così come veniva descritto dagli uomini, era una cosa senza possibilità di evoluzione, cioè una cosa che si ripete sempre eguale a se stessa, tanta gente che parla, ma poi non c’è un dopo, un passaggio, una costruzione.

Ora noi, nell’introdurre dei metodi, avremo ben usato delle esperienze di rituali maschili e le avremo contaminate con quelle che abbiamo trovato. Immagino proprio di sì, che lo abbiamo fatto largamente. Perché io potevo avere alle spalle l’essere stata un consiglio di fabbrica tanti anni, o l’esperienza del periodo universitario, un’altra l’esperienza della organizzazione del lavoro nel suo reparto: tutte noi abbiamo fatto esperienza in situazioni organizzate che non abbiamo subito passivamente, ma abbiamo interiorizzato dei metodi. . Come dice giustamente Eleana, se io sono in qualche luogo in rappresentanza di una parte che sta dietro alle mie spalle, e devo avere un contrasto con uno che ha dietro alle sue spalle degli altri, non è che vado lì a fare l’ingenua, devo giocare una partita con quella persona, e questo implica una tattica di comportamento che non è quella di fare la confessione dei miei sentimenti, e devo imparare a farlo, e qui non c’è maschile o femminile …

Gabriella Eh, no! C’è il maschile lì!

Paola C’è il maschile, ma è un maschile che uso, e che mi serve: non è che tutto il maschile lo devo buttare nel cesso. Il punto è cosa si perde in una relazione che esclude, o tiene come un contorno, un ornamento che può essere utilizzato in certe situazioni ma non deve andare oltre una certa soglia, la modalità di relazione femminile. Perché io sono assolutamente convinta che in alcune cose che sono state fatte, la nostra esperienza del coordinamento, ed altre come il Forum antirazzista, quel tipo di esperienze lì non sarebbero mai potute avvenire se non ci fosse stata dentro una modalità mista, in cui però il femminile aveva un grosso ruolo, perché era una modalità basata sul rispetto, sulla relazione, sulla formazione davvero di una convinzione comune, che non era solo tattica, ma era di effettiva condivisione, di una messa in gioco anche emozionale e personale. Questa cosa ha prodotto delle azioni che sono durate nel tempo, che hanno creato delle cose che altrimenti non saresti riuscita a fare. Ecco, il valore di tutto questo si ferma su una soglia, e viene anche completamente raso al suolo, se occorre. Quando ci fu il G8 le organizzazioni sindacali vietarono al Forum antirazzista di andare a manifestare col suo striscione dopo sei anni di lavoro comune. Lì c’è stata effettivamente la cancellazione totale – perché c’era il potere delle segreterie sindcali di poterlo fare – di un esperienza relazionale che era stata importante nella città, che aveva avuto interlocuzioni con le istituzioni tutte – ma che a quel punto dato che c’era il problema della relazione tar la Cgil di Genova e quella nazionale, e con la Cisl e la Uil , questa cosa è stata fatta fuori.

Il punto è il valore riconosciuto da noi stesse, e pubblicamente, a questa parte della relazione, e quello che, viceversa, si perde, i danni mortali che vengono da un mondo che è organizzato e dominato da rituali in cui questi aspetti vengono apprezzati e utilizzati finché restano marginali. Abbiamo fatto l’esempio del microcredito, ma anche lì: è in India, dove ci sono queste femmine povere in canna lassù sull’altopiano, che fanno il microcredito: vabbè, bello, però adesso pensiamo un attimo alla Borsa di New York, che è la cosa importante, quella che continua ad avere valore pubblico.

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Livia Mentre ascoltavo stavo pensando alle ricerche sul cervello maschile e femminile, ricerche che avevo letto l’anno scorso a proposito della capacità di apprendimento. Cervello maschile e femminile sono rimasti quelli della preistoria. Una delle differenze più evidenti è quella che ha a che fare con le parti del cervello legate alla competitività, che sono più sviluppate nel cervello maschile, insieme ad altre. Allora mi veniva da pensare: ma, in fondo questo per noi rappresenta un handicap, un problema nel momento in cui diciamo che in fond tutta una serie di rituali femminili “buoni” poi nel pubblico non si vedono? Se io penso a me mi viene da dire che per espempio nel pubblico uno degli aspetti che mi ha sempre messo in difficoltà, è stato quello di vincere – non nel senso di avere successo, ma di vincere su qualcun altro. Che è un quialcosa che le volte che l’ho fatto l’ho fatto con grande fatica e proprio come una cosa che sentivo “brutta”; Credo che gli uomini di questo se ne sbattano, e credo – devo dire – giustamente. Perché se ci penso non è che il vincere su qualcuno in sé negativo: oggi vnco io, e domani vinci tu. Però io me lo vivo invece come molto pesante e negativo. Ora, se questo riguarda solo me, fatti miei, ma se comincia ad essere qualcosa di generalizzato già dice qualcosa sul perché poi certi rituali femminili arrivano poi solo fino a un certo putno.

Laura Anche io nella vita ho sentito la difficoltà di scavalcare, schiacciare qualcuno. All’inizio della mia carriera universitaria iavevo scelto Scienze Politiche perché volevo fare giornalismo, poi uno dei motivi per cui ho cambiato idea è che era un ambiente nel quale dovevi farti le scarpe. Sgomitare, schiacciare, aggirare gli altri con l’inganno, per arrivare a scrivere l’articoletto non pagato della scuola: no. Io ho lasciato perdere. Forse tra donne c’è più l’idea di cooperazione, l’obiettivo è arrivare cooperando. Poi se uno va avanti è perché è più bravo e gli altri accettano che uno assuma una posizione più alto. Invece tra gli uomini chi comanda non è detto che abbia più competenze, ma chi ha schiacciato l’altro.

Alisia Ci sono alcune cose che secondo me sono molto intrecciate tar di loro. Prima di tutto anche io volevo un po’ mitigare questo aspetto di conflittualità uomo / donna: perché dobbiamo per forza portarlo solo su questo piano? Allora, il rituale maschile è una certa cosa, il femminile è molto di più delle donne, io lo vedo comprensivo anche del termine di tutte le minoranze, cioè dal punto di vista sociale il punto di vista femminile, le modalità e i rituali alternativi femminili, dovrebbero essere propri di tutte le minoranze, una esprienza che intreccia le nostre, quelle degli immigrati, quelle degli omosessuali, non contemplate dalla modalità maschile sociale e politica domiannte. Quindi aprire il termine femminiel ad una complessità di tuipo diverso, che non contiene solo la donna, contiene anche tante altre esperienze. Ad esempio l’esperienza del Forum Antirazzista rientra un po’ in questo concetto di femminile, che è una modalità un po’ più variegata e non limitata alle sole donne. E poi, proprio in questo senso direi: la competizione fa parte del conflitto, è un po’ una declinazione del conflitto. Tu sei in competizione con qualcuno perché (uso un termine economico / business) hai un “target”, sei in competizione perché hai un obiettivo, perché l’obiettivo lo vuoi raggiungere per primo. E l’arrivare per primo esclude chi è arrivatio secondo. La guerra prevede chi vince e lo sconfitto. Quindi la visione femminile è molto più complessa, molto più ampia, molto più comprensiva. E poi sicuramente deve esser un gioco di contaminazione, e non un gioco di ripetizione, di vittoria e sconfitta, vittoria e sconfitta … perché altrimenti a monte continuiamo ad avvalorare la modalità che mettiamo in discussione.

Pina Uso ora il termine “contaminazione”, mi è venuto in mente quanto tu (Paola) dicevi in questi giorni sulla Angela Merkel: c’è un tempo di trasformazione, un tempo di contaminazione. Un tempo e una contaminazione per riuscire a trovare una integarzione tenendo conto che le differenze restano, anzi, sono anche un arricchimento. Ma cosa dobbiamo cercare per ottenere queste contaminazioni, per cambiare il valore delle differenze, il valore di cui parlavi tu? A proposito lei qualche giorno fa citava la Merkel …

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Paola Citavo la Merkel per una cosa magari molto poco fondata: ho letto un articolo che parlava dello stile dello stile di relazione della Angela Merkel nelle sue relazioni ad alto livello con il mondo della politica internazionale e nazionale. L’articolo diceva che questo era uno stile che spiazzava gli interlocutori in quanto non del tutto canonico rispetto alle modalità di relazione che si hanno a quei livelli, basato su molto ascolto, sopra una modalità apparentemente dolce ma nella sostanza viceversa fermissima. Si riscontrava un’essenza femminile in questo suo stile e questa. E’ già una novità, la Thacher non faceva così, l’Angela Merkel fa così, eppure gestisce un potere molto grande, il più grande attualmente che c’è in Europa. Come pure un’altra considerazione su questioni di stile mi dal 1° Maggio: ci sono state 2 manifestazioni a Milano, c’è stata una manifestazione sindacale al mattino, e al pomeriggio la manifestazione dei precari, lo slogan era “my day, my day” dove c’erano più del doppio delle persone del mattino. Su Internet si trova il volantino di convocazione, che ha un linguaggio per cui mi viene subito da dire “l’hanno scritto sicuramente delle donne!” A questa manifestazione ci sono state 60 mila persone, mentre la mattina col sindacato e col linguaggio sindacale, ce ne sono andate meno della metà. Anche questa è una contaminazione. Mi viene da immaginare questo gruppo di persone che scrive il volantino, in cui ci sono insieme femmine e maschi e in cui questo linguaggio viene fuori in un modo come non sarebbe venuto fuori 30 anni fa, non sarebbe stato possibile, ecco.

Chiara Il rituale è probabilmente la sublimazione di un bisogno, nel senso che si utilizzano delle forme di organizzazione sociale codificata, un rituale, perché dietro c’è un bisogno, probabilmente per i maschi appunto il bisogno di esserci, di farsi vedere come soggetti dominatori alle riunioni, al supermercato, insomma là dove sono. E quindi il rituale come forma pubblica, codificata, attraverso cui si esplicano i rapporti sociali. E i rapporti sociali sono gli strumenti attraverso cui il potere si diffonde, cioè attraverso un comportamento noi sappiamo chi è il leader della situazione, chi è la fascia debole sottomessa. Quindi bisogni, rituali, come vincoli e trasmissione del potere. Allora mi chiedevo, ma noi discutiamo sempre, da 30 anni o anche da 130 anni, di questo potere femminile: allora esiste una specificità del potere femminile? Siamo tutte d’accordo che esiste? Che quindi noi abbiamo rituali diversi da quelli dei maschi sia nel pubblico che nel privato, attraverso cui esercitiamo un potere specifico? Allora: questo potere specifico vogliamo allargarlo alla società? Nel senso: se noi siamo state abituate ad avere dei rapporti privati, in opposizione al rapporto invece pubblico-politico che hanno gli uomini, e se ci hanno relegate in uno spazio privato e noi siamo diventate le regine di questo spazio privato, l’abbiamo codificato con i nostri riti e i nostri rapporti sociali, e siamo convinte che abbiamo un potere in quest’ambito, cosa facciamo, lo diffondiamo alla società? Usiamo la cura materna come forma di potere allargandola alla società? Cioè quello che una volta si chiamava “maternage di massa”, cioè utilizzare le nostre specificità del privato estendendole al pubblico, estendere la cura nel posto di lavoro o nel nostro partito politico se militiamo o nel nostro gruppo. Io non lo so, sono un po’ scettica da questo punto di vista. Questa nostra cura è la nostra capacità, e lo sappiamo fare: la utilizziamo dal punto di vista pubblico-politico per un maternage di massa a livello politico oppure può diventare una gabbia? Non rimaniamo più nelle case, ma apriamo le porte e portiamo la casa fuori in piazza? Potrebbe essere un’ottima possibilità, in un momento di crisi sociale ed economica secondo me le potenzialità sono tante, nei momenti di caos le donne possono veramente dare tanto, però il dubbio è questo: utilizziamo la cura e il maternage come risorsa? Oppure proviamo ancora la scalata al potere maschile?

Livia  Non sono in alternativa…

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Chiara Io ho paura che oggi la crisi possa indurre una polarizzazione, cioè donne molto femminili e uomini molto maschili, perché la società è in crisi e quindi dare delle categorie stabili serve come appiglio. La nostra società italiana si sta strutturando verso una forma molto più maschilista forse proprio per reagire al caos. D’altro canto il caos per me può portare ad un momento di exploit, forse di apertura degli spazi pubblici per le donne. Poi appunto bisogna vedere in quali forme, se poi ci piace questo potere.

L’ultima cosa per concludere: le donne non possiedono il potere pubblico, di rappresentanza politica, anche se ci siamo fisicamente e delle volte si fanno delle cose buone, le donne ancora non sono entrate a garantirsi questo potere, e allora io vedo come se ci fosse un potere parlamentare maschile e l’extra-parlamentismo femminile, proprio come concetto sociologico. Nel senso: il potere è maschio e noi siamo sovversive rispetto a questo potere. Cioè essere donne è sovversivo nel senso che noi siamo state escluse dal potere. Ci vogliamo rientrare nella logica del potere? O vogliamo rimanere fuori e continuare ad essere in un certo senso anarchici nel senso di lotta contro il potere inteso come dominio? Punto!! (risate)

Arianna Due immagini ho avuto: che per esempio in quasi tutto il teatro orientale il personaggio maschile e il personaggio femminile sono interpretati indifferentemente da uomini e donne in quanto sono categorie più alte e quindi vanno oltre in realtà l’uomo e la donna.

Poi, questa cosa delle donne che sono contrarie alle competizione, al conflitto, “donna no competizione, no conflitto”. Le donne sono cattivissime, non è vero secondo me che le donne non fanno le guerre, le donne fanno le guerre e quando le fanno, le fanno peggio degli uomini. Poi questa cosa qua della crisi economica, occasione e possibilità di cambiamento, è vero, è bellissimo … però nel momento stesso in cui c’è una grande confusione in realtà ci si arremba sulle posizioni più solide o anche più stronze sicuramente, si torna nei fortini. Io vi racconto una cosa stupidissima, per mettere un po’ di panico. Io sabato e domenica sono stata a Veltane vicino a Biella, dove fanno la festa celtica. Io sono rimasta sconvolta perché era un posto pieno di gente dove gli uomini andavano in giro con degli spadoni e delle asce e le donne andavano in giro con i fiorellini in testa, era una cosa … gli uomini con gi scarponi, gli anfibi e le donne con i piedi scalzi , cioè proprio un’immagine … Ed erano tutti principalmente ragazzi ma c’erano anche persone adulte … una cosa che mi ha terrorizzato.

Pina Sono contenta, grazie, per l’extra parlamentare (risate), mi sono sentita molto contenta di essere nel Manifesto anche dopo 40 anni con tutte le conseguenze del caso … e poi qualcos’altro che ho dimenticato, qual è l’ultima cosa di cui si parlava?

Aurea la sua proposta di portare la casa fuori …

Pina Ah si, prendersi cura …. Insomma prendersi cura del mondo, riuscire ad essere così maschili e così femminili, non so se si può dire così, per prenderci cura del mondo. Tutti lo dicono ma qua siamo qui per vedere se troviamo delle parole adatte, parole, perché poi non sappiamo cosa fare, ma nel mentre che parliamo facciamo anche. No?

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Anna Il punto su cui vorrei parlare è questa questione della contaminazione perché mi sembra ancora limitante, un termine che mi impoverisce di nuovo, ulteriormente. Non mi pare che sia nella contaminazione tra il maschile e il femminile che possa risultare la cosa nuova. Tutti gli esempi portati avevano delle cose effettivamente nuove, e non a caso sono state poi annullate, in alcuni casi sono finite, in alcuni casi schiacciate, e allora per me la domanda oggi è questa: queste esperienze nuove, che effettivamente riconosciamo ci sono state, come posso fare in modo che non si perdano, così come è successo? Se penso anche alla mia storia personale, e anche alle storie nazionali e internazionali, mi pare che il punto centrale, e su cui lavorare, sia il riconoscimento di sé, il proprio fortissimo auto-riconoscimento, perché il riconoscimento di sé permette il riconoscimento da parte dell’altro, e prima di tutto dell’altra. Se io riconosco me in quanto donna, e mi dò valore, posso poi riconoscere e dare valore all’altra e alle altre. Se non mi dò valore io disconosco le altre. Allora in che senso noi siamo minoranza pur essendo più della metà della popolazione del mondo? Perché non ci diamo ancora abbastanza valore, e ancorchè le donne africane reggano l’Africa e le donne indiane anche, e probabilmente credo anche le cinesi, in realtà non lo fanno ancora dandosi abbastanza valore; lo fanno dando valore ai figli, dando valore alla vita, ma non a se stesse perché se dessero valore a se stesse non si farebbero più violentare dai camionisti di passaggio. Allora a me quello che interesserebbe oggi è capire come noi ci diamo riconoscimento, perché secondo me attraverso questo passa la possibilità di arrivare al cambiamento delle modalità di potere e attraverso questo cambia anche la possibilità di vincere rispetto alla cura del mondo; perché poi sul fatto che ci sia il maternage …. questo è interessante: lei diceva potrebbe diventare una gabbia. Sì, è possibile, lo è già! Noi ci prendiamo cura del mondo, lo stiamo già facendo, dalla nascita dell’umanità ed è la nostra gabbia! Allora il punto è: come ci prendiamo cura del mondo riconoscendoci il valore e quindi il potere? Chiuso.

Livia Io credo che dobbiamo sempre avere chiara la distinzione tra quelli che noi abbiamo chiamato rituali maschili e rituali femminili, e quelli che sono gli uomini e le donne, in carne e ossa, che non sono la stessa cosa. Voglio dire, se noi proviamo a mettere su un foglio i rituali maschili e i rituali femminili e poi a metterci sopra gli uomini e le donne, vedremo che gli uomini vanno soprattutto di qua, che le donne vanno soprattutto di là, ma si possono incontrare. Se noi non partiamo da questo presupposto casca qualunque altro discorso: ci potrebbe essere solo la guerra tra i sessi per farne prevalere l’uno o l’altro. Quindi io credo che la nostra ipotesi di partenza sia che sia possibile incrociare almeno un po’ questi tipi di rituale, cioè che sia possibile usarne, diciamo così, un tot di tipo maschile e un tot di tipo femminile. Questo però mi sembra che comporti una conseguenza; cioè, mi va bene il discorso “portare il maternage fuori dalla casa”, mi va bene, ma ci vedo anche il rischio di dire: ma in realtà è quello che stiamo facendo. Ma è quello che stiamo facendo se noi facciamo solo quello. Cioè solo se noi per prime diamo valore a quelli che sono rituali maschili e siamo disponibili a contaminarci oltre che cercare di contaminare, se noi ci assumiamo anche la guerra, sarà possibile pensare ad un maternage che non sia una gabbia.

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Eleana Voglio parlare di una immagine e di un trabocchetto, che mi sono venuti in mente quando parlavi delle corone di fiorellini e delle spadone: nella mitologia greca chi ha la corona è la vittima sacrificale; è un esempio di rituale politico nel quale la donna si configura come vittima sacrificale: in questo caso donna a piedi nudi con la corona mentre l’uomo è armato. Questo mi riconduce al maternage, ossia, il prendersi cura e portare il maternage nella società è un pò in un certo senso riconoscersi vittime sacrificali, perché chi si prende cura compie un sacrificio che spesso non viene riconosciuto a livello sociale, una rinuncia, un obbligo che porta ad una sorta di decadimento sociale, quindi a delle conseguenze politiche molto forti. Questo è un trabocchetto che potrebbe trovare una soluzione, un esito, nel riconoscimento del valore del prendersi cura. Io sento come un rituale molto presente e molto forte nella società questo della connotazione della donna nuda o svestita non tanto con una connotazione sessuale, ma nuda come vittima sacrificale.

Alisia: Stavo pensando a questo aspetto delle riunioni femminili che non trovano un esito, probabilmente gli uomini tendono a raggiungere l’obiettivo nel modo molto più lineare, ma non è detto che la complessità di una visione non raggiunga obiettivi più efficaci. Nel senso che non è detto che la soluzione debba essere sempre lineare, che debba essere A+B, o che debba essere sempre immediata, veloce, aggressiva, usando questi termini che vanno tanto nella progettualità lavorativa, nel flusso del lavoro aziendale. Non è detto per forza che debba essere così: la complessità del punto di vista che il femminile può essere altrettanto efficace.

Il punto è dove si vuole andare a parare? Si vuole il risultato immediato, spendibile, che ti dà l’autorità, o vogliamo dar valore invece ad un risultato frutto di una complessità, di una visione più estesa? Secondo me il valore del femminile è appunto questo, di dare una visione più ampia, la capacità femminile è quella di portare più sfumature, ma non per questo essere inconcludente. Il prendersi cura può spostare di nuovo la prospettiva in senso positivo, perché significa anche vedere l’altro da un punto di vista diverso, non come una alterità, ma come una complementarietà, che vuol dire che insieme si è un tutto: il prendersi cura dovrebbe essere qualcosa di avvolgente nel quale le differenze interne non stridono così tanto.

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Paola Intanto, d’accordo con la non identificazione dei rituali maschili con gli uomini, e quelli femminili con le donne. Ci sono delle sovrapposizioni e delle acquisizioni. Il punto è che, in posizione primaria ci sono le cose che vengono determinate dai rituali maschili, che alcune donne hanno largamente fatte proprie. Ritorniamo a quella che è l’attribuzione di valore al maternage e a tutti questi aspetti della cura: nel momento in cui vengono agiti nel mondo portano al deprezzamento della persona.

Sulla guerra, non è che le donne non l’abbiano mai fatta, penso la guerra partigiana, oppure le donne soldato, Giovanna D’arco, oppure Armida nell’Orlando Furioso, le donne soldato in Irak e in Israele , le donne in polizia: le donne hanno cominciato sempre più a condividere questa parte. Allora condividere la guerra, oppure il consiglio di amministrazione della Fiat perché è un tuo rituale, e se io non faccio questo passo allora è impossibile fare altro … ecco, l’immagine che mi viene è: io vado li dentro, ma a quel punto sono completamente dentro a qualcosa che io non governo assolutamente, no? Sono completamente alla mercè, nella sostanza, di qualcosa che mi travalica in maniera totale.

Livia Una precisazione, posso? Quando dicevo della guerra non stavo tanto pensando al fatto di andare fisicamente nei luoghi nei quali prevalgono rituali di tipo maschile, ma dicevo assumere la consapevolezza che certi rituali di tipo maschile, come la guerra, sono indispensabili all’evoluzione sociale, quindi sono “buoni” tra virgolette.

Paola Però se sono “buoni” perché non ci vai? Tanto vale andarci.

Gloria La mia riflessione è questa, io sono rimasta molto colpita da quello che ha detto Anna sul valore dell’intimità, cioè nel senso che le donne si sono specializzate diciamo così, per mille motivi i sul coltivare, contenere i sentimenti , le emozioni eccetera, e questo però non viene valorizzato, sono le donne per prime che non valorizzare queste loro competenze. Però mi viene in mente che c’è un altro aspetto: la non abitudine a gestire il potere da parte delle donne, ha provocato una paura delle donne nell’uso degli strumenti del potere. Io in me l’ho riconosciuta molto questa cosa; da un lato mi suscita ammirazione chi esercita il potere e dall’altro mi suscita una grande paura, perché non sono sicura di saper usare questi strumenti e neppure di saper fare bene questi rituali. Ecco, mi è venuto questo pensiero, finché io mi ritrovo in questa situazione di non essere sicura di saper usare gli strumenti del potere, io non posso nemmeno dare valore a quello che magari so fare meglio che sono le relazioni, occuparmi delle relazioni intime.

Anna Secondo me questa cosa che ha detto Gloria è centrale, rispetto a quel che diceva Livia. Gloria, se ho capito bene dice: io in quanto donna ho una diversità che non riesco a far valere perché ho paura del potere così come è fatto, perché ho paura di non usare bene gli strumenti ed i rituali degli uomini e allora me ne tengo fuori, e sembra un circolo vizioso, io sono diversa, ed io non posso usare quei rituali, quel potere. Allora la Livia dice: si però non si tratta di andare fisicamente in guerra ma di assumere rituali maschili come buoni.

Allora a questo punto il mio problema è che io non riesco ad accettare come buoni i rituali maschili. Domanda: è una paura che deriva dal fatto che io penso di non saperli usare, o è che proprio io non li voglio usare? Io devo dire che attualmente propendo per questa seconda cosa, perché io ci ho provato ad usarli, e oggi penso che no, io voglio trovare degli strumenti diversi, trovare dei rituali diversi, fare delle cose diverse. La costruzione del nuovo nasce certamente dal vecchio, e certo che bisogna andare nei consigli di amministrazione, e forse la cosa nuova potrebbe essere dire: ragazze, donne, compagne, vi sosteniamo per andare in quei luoghi maschili di oggi, per portare veramente del nuovo. Io la questione della contaminazione la vedo veramente pericolosa, così come vorrei che fosse nuovo il discorso della cura. Non basta dire che ci siamo curate del mondo e vogliamo che sia riconosciuto, secondo me bisogna che anche li modificare.

Alisia Volevo ritornare sulla parola contaminazione perchè forse si è creata un po’ di confusione: io intendevo contaminazione tra le diverse esperienze che esistono attualmente, che operano e sono rappresentate dai movimenti femminili, dai movimenti omosessuali, dai movimenti extracomunitari, contaminazione intesa come queste alterità, non tanto nella mediazione rituali femminile e rituali maschili. Non penso che ci porti da nessuna parte venire a patti, trovare un rituale di mezzo.

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Gloria Ma Funzionerebbe un mondo fatto solo del prendersi cura?

Voci varie nooo!

Anna Scusate, riflettiamo un attimo: se c’è una cosa che si prende cura è la scuola. Prima della guerra chi insegnava era su un piedistallo, pagato, ed erano nella maggioranza uomini, con donne che andavano nei paesini, le maestrine. A poco a poco si è declassata e perciò hanno fatto entrare le donne; o è il fatto che siano entrate le donne che l’ha declassata? Questa è la domanda. Anche la medicina oggi sta diventando a maggioranza femminile, la magistratura anche, sono dei luoghi di potere mica male e infatti …

Arianna … Li stanno declassando

Anna Dobbiamo chiedercelo.

Gloria Mi è venuto in mente il libro di un sociologo che fa una rappresentazione dei comportamenti delle persone emarginate per un qualche motivo, perché hanno un handicap fisico, mentale oppure perché sono negri ecc. ecc. e mette molto bene in luce come la persona emarginata spesso si comporta esattamente per essere emarginata e questo mi sembra che colga quello che tu dici. Se una donna vuole sentirsi emarginata si comporta da emarginata.

Arianna E soprattutto è sacrificale, si sacrifica per Dio e per il mondo. Questa cosa della vittima sacrificale mi faceva venire in mente la cura del mondo: in qualche modo c’è sempre una valenza mistica. In tutto questo discorso che stiamo facendo oggi sui rituali, c’è sempre una sensazione che vibra, una sensazione di vittima. Invece la forza delle donne, l’essere l’altra metà del mondo, è una cosa potentissima. Creare rituali nuovi, ideiamo dei rituali nuovi in cui tutti ci rispecchiamo. Ma abbiamo detto che non si creano a tavolino, bisogna creare delle consuetudini, portare il maternage di massa fuori, sono cose di una vitalità immensa, però sento questa sensazione di vittima sacrificale nel sottofondo che aleggia. Questa vittima, questa immagine di donna non armata. Perché comunque i cambiamenti si fanno armati. La verità è che si dovrebbe rientrare in categorie che non sono nostre e quindi nel momento in cui bisogna utilizzarle ci si sente a disagio.

Gloria Secondo me qui si stanno scontrando due concettualizzazioni diverse: una che vede un’ipotesi di mondo migliore con un maggiore intreccio di maschile e femminile ed implica quindi una maggior visibilità pubblica del femminile. Mentre mi sembra che ci sia un’altra ipotesi che vede un nuovo portato dalle donne, che sia qualcosa di diverso sia dal maschile che dal femminile.

Giovanna Non so se le donne che vedo agire adesso, a parte questo gruppo ristretto, siano così consapevoli e desiderose ... Non so se quello che stiamo pensando qui possa stare nella realtà esterna, perché io avverto di più un senso di perdita e una regressione della donna rispetto a quello che le è passato davanti vent’anni o venticinque anni fa. Secondo me il lavoro da fare è proprio più interiore, un recupero di consapevolezza: se non c’è la consapevolezza è come iscrivere un ragazzo ad un corso di greco quando deve ancora imparare l’alfabeto. Io avverto una perdita dell’alfabeto, mentre l’uomo nel suo modo di viversi non è cambiato. Io avverto questa regressione.

Paola: Luisa ad un certo punto ha detto i rituali non si costruiscono, non si creano per una decisione intellettuale. Si possono creare dei nuovi rituali, delle nuove modalità di gestione del mondo se ci sono delle condizioni intime e profonde che ti sei creato, infatti all’epoca in cui noi abbiamo fatto il lavoro delle donne noi abbiamo agito su quello: la trasformazione individuale era la condizione senza possibilità di alternativa per poter inventare e proporre una trasformazione pubblica, politica. Tu hai dovuto cambiare te stessa, cambiare dei rituali privati. Ciascuna di noi ha cambiato quello che succedeva nelle relazioni della propria famiglia: senza quello non potevi pensare di cambiare.

Giovanna Ma allora si partiva dalla consapevolezza che stava nascendo questo desiderio e che bisognava soddisfarlo, e quindi c’era un’urgenza.

Luisa Io devo avere una consapevolezza maggiore, devo essere convinta del mio valore per poter andare avanti, riconoscermi: sono tutti passaggi inevitabili, per essere riconosciuta dagli altri, prima ancora devo riconoscermi io stessa.

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Eleana Quello che percepisco è come se fossimo in un film di ambientazione western e ci fossero delle quinte finte di un set cinematografico: non c’è il bisogno, la consapevolezza, di voler arrivare a qualcosa perché in teoria l’ambientazione offerta dalle quinte è che abbiamo già raggiunto degli obiettivi, quindi non c’è più il bisogno di raggiungerli perché di facciata sono già lì. E’ un gap temporale inevitabile, non c’è ancora la consapevolezza di aver perso tanto, non è ancora sentito, forse è sentito individualmente, ma non è ancora diventato un afflato collettivo, perché ci vuole tempo per rendersi conto di queste perdite.

Luciana Giulietta ci ha raccontato di essere andata in una scuola superiore a fare lezione sulle discriminazione di genere, e una ragazza quando lei ha parlato delle discriminazioni salariali ha detto rivolta ad un insegnante: “Ma di cosa parla quella lì?”

Alisia E’ certo che il nostro è un microcosmo nel quale noi comunichiamo, ci comprendiamo. Il rischio che si corre sempre, che io corro sempre, è che poi magari esco di casa, piglio la facciata e dico : “Ah forse ti devi ricordare che tu hai un microcosmo e che nel tuo piccolo mondo di Alisia puoi condividere delle cose e poi magari esternamente non ci sono relazioni che ti permettano di continuare a condividerle”. Però vediamolo in modo diverso, le frustrazioni le sento, le sento forti e mi confronto, ma dico: “non me ne frega niente, perché questo microcosmo qui deve essere perdente?” Il nostro microcosmo è importante: perché non dare valore a questo movimento di piccole cose? Se noi diamo importanza al nostro microcosmo la nostra esperienza comunque ci porta ad un risultato, sicuramente ad una maggiore consapevolezza e sicurezza. C’è chi ci porta indietro, e magari ci sono tante persone che non si accorgono neanche di essere portate indietro, ma anche un piccolo movimento è qualcosa che ha un valore.

Aurea: Io volevo raccontare un’esperienza, per collegarmi a quello che aveva detto Anna prima, io ho avuto paura del potere e di quello che dovevo fare per arrivarci, ho avuto un’occasione e sono scappata. Non ero disponibile, non ero capace ad omologarmi in quel modo che era totalmente maschile per avere una posizione di potere, dovevo fare delle rinunce pesantissime, una per esempio andare a lavorare a Roma. Sono scappata, ma poi mi sono inventata un altro lavoro e ho preso coscienza che non lo volevo fare come gli uomini. Ho aperto una piccola azienda di servizi condominiali, e l’ho fatto per dieci anni, però l’ho voluto fare a modo mio, nel senso che non ero disponibile a farlo con i metodi che vedevo usare dagli uomini, perché li trovavo sbagliati. E mi ha dato, lo vedo adesso, un successo per cui il lavoro mi è arrivato a valanga. Ho capito che ero riuscita a parlare in un modo diverso. Non sono d’accordo di sposare i riti maschili, voglio, se è possibile, suggerire dei modi nuovi e credo ad esempio che internet possa essere uno strumento dato a voi per trovare il modo nuovo. Anna dice girando si trovano siti di donne, io ci credo che si possa, è uno strumento, il fatto di essere anche noi lì, con un sito…

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