Torna alla pagina precedente

 

Inverno 2011: indice degli argomenti e trascrizione dell’incontro. Cliccando andate su quello che vi interessa

 

Le ragioni di una assenza: una di noi manca e invia una lettera: il gruppo si è fatto troppo coinvolgere nella operatività. E poi: ha ancora senso politico vedersi in quanto donne? La discussione si apre. Il lavoro tra donne è ancora indispensabile. La tentazione di rifugiarsi nelle attività organizzative, più tranquillizzanti. Il gruppo è nato sull'intreccio tra fare e pensare, ma un fare staccato dalle contingenze. Il nostro fare è stato subito, nello stesso tempo, un pensare. Vedersi in quanto donne, e donne soggetto politico. Qui siamo donne perché c'è una storia che ci porta a questo. Si introduce la proposta di centrare i prossimi incontri sul rito del matrimonio. Aspettative su quel che il gruppo può dare sul tema dei riti. I riti hanno ancora senso per noi? Si torna alla necessità di un metodo: concentrarsi su un tema, separare le fasi del fare e del pensare. La domanda sul senso di vedersi in quanto donne significa chiedersi se siamo un soggetto politico omogeneo. Aspettative rispettate e no. Lontananze. Qui abbiamo creato "un luogo". Assenza e fame di luoghi in cui discutere e pensare. Ragionare sulla scoperta dei riti. Riflettere sui riti "ribaltati". Interesse per il tema dei riti. Scoprire la ricchezza degli incontri quando si rileggono le trascrizioni. Scoprire nel 2008 il senso del vedersi tra donne. Il gruppo aiuta a leggere e a vivere in modo nuovo. Preservare l'atmosfera di accettazione e non giudizio che lo caratterizza. Si inizia a parlare dei riti, e si cerca di mettere a fuoco cosa sia il "ribaltamento di un rito". Riflettere sul rapporto del gruppo con l'esterno: modalità praticate e possibili. Si propone l'argomento dei prossimi incontri: il rito del matrimonio; e la lettura dell'ultimo capitolo di Ardore, di Roberto Calasso. Intanto si parla del rito del funerale: come renderlo laico? Ci si scopre ad accendere ceri ... il rito come necessità di appartenenza e di riconoscimento di un oltre. Riti religiosi e riti civili anche il rito civile pensa all'oltre. Distinguere tra riti, rituali e procedure. Si parla del libro di Calasso, Ardore, e del suo linguaggio.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Paola Il primo argomento è la lettera che Livia ci ha mandato motivando la sua assenza di oggi con due ragioni: una è che il coinvolgimento nella operatività, nel “fare”, non la convince, perché questo coinvolgimento nel fare sposta il gruppo, in un modo che lei non condivide, fuori dall’impegno di riflettere, pensare, creare dei pensieri sulle cose. Dice anche che una sua perplessità è sul vedersi “in quanto donne”. Tutte abbiamo comunque letto la mail di Livia.

Quello che penso io riguardo al risucchiamento nelle cose, è che il rischio ci sarebbe se noi nelle varie attività volessimo esserci per forza come gruppo, in rappresentanza del gruppo. Ora che si è ri-innescato un movimento, 13 febbraio, 8 marzo e quel che seguirà, se noi dovessimo entrarci come gruppo cambiamo natura, sicuramente, perché c’è un incalzare di decisioni e di presenze, per cui devi decidere se ci sei o no, se partecipi a scrivere il volantino o no, se quella cosa ti va bene o ti va male … il che significa che invece di fare il nostro gruppo di discussione, facciamo altro. Tutto questo genere di attività può – secondo me – essere seguito individualmente per quello che ciascuna di noi ha voglia di fare. Se una ha voglia di implicarsi si implica, ma non è che ogni volta deve dire “io ci sono come gruppo generazioni di donne, la posizione del gruppo è questa o quell’altra”, sennò non ne usciamo vive. Noi ci siamo create per vederci quattro volte l’anno, per fare delle discussioni e per generare dei pensieri staccati dalla contingenza politica. Quindi se vogliamo fare questo, dobbiamo fare questo.

Una sola attività noi c’eravamo date come scelta del gruppo, quella della morte e del testamento biologico.

Quindi dobbiamo stare ben ferme alle nostre discussioni delle quattro stagioni.

Anna Livia dice che già da un po’ di tempo lei sentiva che nel gruppo c’era questo giro del “fare” per sfuggire la dimensione riflessiva/depressiva, che lei sentiva particolarmente nelle giovani, forse, con punto interrogativo.

Paola L’altro argomento devo dire che l’avevo rimosso completamente, e giustamente Anna ha detto: guarda che è un punto cruciale … Livia nella mail dice: “A differenza di Anna, non ho mai concepito il gruppo come un luogo per pensare insieme ad altre donne, in quanto donne (ipotesi che in questa fase della mia vita non mi interessa e non mi appassiona), ma come ripresa del filo di una storia, politica e intrigante, che merita di lasciare qualche seme.Forse è proprio questo in quanto donne che oggi ci divide (o mi divide da alcune di voi), e che mi ha fatto prendere le distanze dalle iniziative pubbliche degli ultimi tempi, che mi hanno evocato le quote rosa e l'UDI d'altri tempi...Le donne sono/si ritengono/possono diventare oggi/è giusto che si pongano come un soggetto politico? Vi giro la domanda. La risposta per me non è scontata”.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Luciana B. Posso dire una cosa? E’ un discorso contradditorio, è come se entrasse ed uscisse continuamente tra lo stare e il non stare; ne vuole uscire per una serie di ragioni, ma ne ripropone altre che invece confermano un lavoro assieme solo di donne, con queste capacità di essere, di ritenersi, di diventare, di porsi come soggetto politico. Io credo che sia estremamente importante che prima ci sia il lavoro tra donne per poi andare fuori ed eventualmente essere coinvolte, perché se non si fa questa operazione, questo lavoro di verificare, di pensare tra noi il significato di quello che siamo, come viviamo, è veramente difficile, pericoloso estendere agli uomini la discussione. Mi sembra un po’ un dimenticare un metodo, una storia, che è stata la prima prassi politica delle donne, e che secondo me ha ancora tutta la sua validità. Quindi, pensare a un nuovo metodo va bene, ma non adesso, non ancora. Non so cosa intenda Livia: estenderlo agli uomini? Fare delle cose diverse da quello che facciamo?

Gloria Io devo dire che il messaggio di Livia mi ha proprio acceso una luce, nel senso che mi ha dato una chiave di lettura su alcune cose che io sentivo dentro e che non riuscivo bene a identificare. Mentre l’incontro dell’estate l’ho sentito bene, ho sentito che c’era un lavoro creativo fra di noi, nell’ultimo nostro incontro sentivo un continuo sfrangiamento nel lavoro. E una delle idee che mi era venuta è che c’era una mescolanza tra gli aspetti organizzativi e gli aspetti riflessivi che alla fine privilegiava gli aspetti organizzativi. Gli aspetti organizzativi sono sempre quelli più tranquillizzanti, tutti fanno qualcosa anche di creativo, ma si evita di mettere in moto qualcosa dentro che può anche metterti in discussione. Mi sono detta che io, adesso come adesso, non ho tempo e spazio per gli aspetti organizzativi delle donne perché io lavoro tutto il giorno e non ce la farei neanche, non ho proprio le energie per farlo. Posso partecipare alla manifestazione, ma non a tutto quello che c’è intorno. Ma soprattutto a me in questo momento non interessa. Questo è il punto. Mi interessa invece proprio questa riflessione, di nuovo fra donne, sul lavoro che abbiamo fatto, e sul confronto generazionale. Questo è quello che a me interessa. Secondo punto, vi faccio un esempio: io la manifestazione dell’8 marzo l’ho vissuta fin dall’inizio male, nel senso che ho fatto la manifestazione del 13 febbraio, ero convinta, mi è piaciuta; ma perché devo andare a fare la manifestazione dell’8 marzo? Io come donna, ne avevo accennato a te, mi vestirei di lutto e andrei in giro dicendo siamo in un momento veramente mortale per le donne, c’è tutto che traballa, ma non solo come donne, come persone, come italiani, come cittadini. Sì, possiamo manifestare la nostra vitalità, però qui c’è uno stato che sta morendo, e rischiamo veramente di perdere una struttura politico-istituzionale e non avercela poi più per non si sa quanti decenni. Questo oggi mi angoscia enormemente. Forse è questo che vuole dire Livia quando si chiede siamo oggi un soggetto politico? Non so, non vorrei interpretare Livia, ma in questo momento io, per esempio, su questa cosa dell’8 marzo non so neanche se ho voglia di venire alla manifestazione, perché non so – come donna – che cosa ho da dire. E’ vero che tra le donne ci sono tante cose vitali, non abbiamo dubbi, ma qui c’è uno stato che sta morendo.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Arianna La domanda di Livia è una domanda che è girata, si è fatta, si è detta, ha girato sui giornali, è girata sulle mail sulla manifestazione del 13 febbraio. Cioè se questa problematica è delle donne, se è una cosa che riguarda solo le donne, se le donne devono intervenire in quanto donne, o meno. Al di là della questione sul “fare” o “non fare”, che è un’altra problematica inerente proprio alla identità del nostro gruppo.

Gloria certo, ci sono più piani

Arianna Sì. Per me questo rapporto tra fare e pensare viene naturale, il gruppo generazioni di donne per me è nato sulla mostra del lavoro delle “15 donne”, sul laboratorio delle 15 donne, sullo spettacolo, sul gioco dell’oca, quindi sul “fare”, e poi si è creato questo momento, come si diceva l’altra volta, “di preghiera”, in cui ci si vede, si ragiona in maniera non fattiva, un piano che però si è instaurato su un inizio molto attivo, concreto. Sono anche io d’accordo di non far mangiare dal fare il nostro piano più riflessivo, sono perfettamente d’accordo, tuttavia cercherei di trovare delle modalità comunque di fare, che siano delle modalità non per forza legate a delle cose tipo “se non ora quando” che è estremamente costrittiva rispetto a quello che siamo noi e vogliamo dire noi. Però mi è piaciuto molto quando abbiamo fatto il testamento biologico, mi è piaciuto molto anche partecipare alla difesa della cultura con la manifestazione con le nostre mele, mi è piaciuto molto anche il fatto che abbiamo partecipato al 13 febbraio, comunque il 12 di marzo saremo ad Arenzano, e anche questa è una cosa che facciamo come “generazioni di donne”, però devono rimanere due piani slegati. Per come la penso io non dovremmo costrigerci a non fare, ma magari trovare delle modalità diverse, come il non parlare delle cose fattive nella stessa giornata in cui ci si vede per discutere. Però non lo castreri completamente questo discorso sul fare, senza però legarlo a delle cose contingenti, politiche, anche perché non dobbiamo riconoscerci per forza tutte nelle stesse posizioni. Invece sulla domanda, quella lì: “in quanto donne”, questa è la domanda che è girata dappertutto, e che siamo chiamate anche noi a parlarne. Su questo non ho risposte.

Aurea I motivi per i quali ci siamo incontrate a suo tempo, secondo me, sono gli stessi che ci hanno fatto decidere di rivederci e riflettere insieme adesso. Se ci fosse stata una evoluzione non ci sarebbe stato un motivo, forse, di ritornare a incontrarci. Invece siamo proprio partite dal fatto che c’era con le giovani da rifare i discorsi che avevamo fatto allora, con la mostra di ragazze di fabbrica abbiamo visto che sussistono ancora tutti i motivi che ci avevano fatto saltar su allora. Quando abbiamo risposto alla domanda di Livia se era politico quel che facevamo, dico che sì, è politico: lo era allora e lo è adesso. Perché ci sono stati dei cambiamenti, ma non ancora quelli che avremmo voluto. Quindi le donne purtroppo sono ancora nella situazione di doversi in qualche modo organizzare per dire la loro.

E la partecipazione all’8 marzo è una di quelle. Io non ho mai sentito che l’8 marzo fosse una festa, però dovremmo esserci per dire, anche l’8 marzo, che certe cose non ci vanno bene. Durante la manifestazione del 13 febbraio qualcuna delle donne che erano lì, ed altre che ho incontrato nei corsi che faccio, mi hanno detto: “bisogna tornarci l’8 marzo per dire queste cose come donne”. Quindi vuol dire che esiste ancora questa necessità. Non ce l’avevo solo io il bisogno di dire che non va bene così e che bisogna cambiare. Come allora che abbiamo cercato di prendere tutti i treni che c’erano per ottenere dei risultati, anche oggi l’8 marzo è un treno che non dobbiamo perdere.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Anna Non voglio ripetere quello che ha detto Arianna, che ha detto benissimo, sul fare e il pensare, aggiungo, è quello che provo e sento e che riconosco, che la cosa che mi ha attratto in questo gruppo è che c’è – per me – un modo di fare e di pensare intrecciato che mi piace molto, perché siamo nate sul fatto che Paola e Giovanna hanno colto l’occasione della mostra della Bartolomei, che sembrava tutta una cosa “del fare”: trovare le foto o non so che, e che è subito diventata un pensare … Io devo dire – mi viene la pelle d’oca – ringrazio l’occasione perché è stata la prima volta (non è che non ci avessi pensato), ma che ho preso una penna, un computer in mano per scrivere che cosa mi era successo, che cosa mi ricordavo, e sappiamo tutti il significato che ha lo scrivere, che è un “fare”, guarda caso, non è solo un pensare.

E lì poi abbiamo lavorato insieme, abbiamo messo insieme i pezzi, ed era insieme fare e pensare. Allora, altro esempio, sul discorso del 13 febbraio per me anche il fare i cartelloni – vi dico: ho una manualità zero, non faccio mai queste cose, in genere me ne vado e lascio ad altri – era di nuovo un fare e pensare in una situazione in cui non ero da sola a valutare cosa usciva: la Muraro ha detto così, quelle di Napoli hanno detto colà, e anche se per combinazione non avevamo l’occasione di vederci,il fatto di parlarci magari via mail … in realtà per me è stato un pensare. Sull’8 marzo: a me questa questione della sveglia non piace, no? Però mi è venuto da dire, l’hanno pensato in tante, ha un significato, per combinazione io alle 18.30 ho un colloquio che non posso spostare, ma altrimenti sarei venuta comunque con la mia sveglietta. Ma ho il massimo rispetto per chi non ci va.

Livia dice “in questo momento non me la sento”. Al di là di quello che pensa Livia, perché noi sappiamo solo quello che ha scritto, ho pensato: questo è il segnale di uno sfaldamento, o può esserlo, o io ho paura che “venga meno”. Allora mi sono chiesta: perché ho questa paura? Perché in realtà, io ho scritto “ci vediamo a pensare in quanto donne”. Mi sono chiesta: ci credo a questo “in quanto donne”? Io ho altri gruppi in cui faccio e rifletto a delle cose, che però sono gruppi in cui certe questioni non le tratto, o certi miei sentimenti, o certe mie problematiche di tipo politico più generale. Qua non so se lo facciamo bene, però è un luogo dove mi sembra che questo posso farlo, potremmo farlo, può capitarci di farlo, lo abbiamo anche fatto. Ed è questa dimensione della riflessione politica che purtroppo non trovo altrove. Allora, il bisogno di un luogo di riflessione, di elaborazione, di confronto è molto forte, tanto più in questa situazione di difficoltà generale. E perché non mi ritrovo in un partito e forse neanche in un sindacato? Ora non rispondo a questa domanda. Ma questo gruppo per me è importante. E le donne: sono, si ritengono, possono, è giusto che si pongano come un soggetto politico? Livia dice di no, l’aveva già detto di no. Però quando dice “merita di lasciare qualche seme” è come se lei dicesse: abbiamo fatto qualcosa di importante, lasciamo traccia, ma il seme – come dice lei – poi è un qualcosa che esce, che pianti, la riflessione la pianti in qualche modo, con la scrittura probabilmente, con il sito dove metti le cose, non voglio interpretare …

Io credo che oggi le donne siano un soggetto politico. Lo sono nel mondo, santiddio è chiaro che ci stanno distruggendo tutto, ma guarda caso sono le donne che sono andate in piazza e hanno chiamato gli uomini, le povere criste con quel manifesto che ha fatto incavolare il mondo tutto, la Muraro, o perché hanno detto che era contro le prostitute …

Gloria la Muraro ha detto di peggio: non andiamo in piazza perché lo facciamo a servizio degli uomini, che non hanno fatto la loro parte … ma scusa, abbia pazienza, io questo tipo di femminismo non lo condivido assolutamente …

Anna L’altro punto cruciale – e chiudo – e qui mi viene in mente Giovanna, che mi spiace che non ci sia, che ha sempre questa cosa: “ma, e gli uomini?”, ma, ragazzi, gli uomini faranno quello che vorranno, e io farò con gli uomini quello che … io faccio tante cose con gli uomini a parte il matrimonio, oltre il matrimonio, va bene, ma chi ce l’ha con gli uomini? A parte che io da buona femminista sindacalista non ce l’ho mai avuta con gli uomini …

Luisa sei una moderata …

Anna … mi ricordo al liceo mi additavano come una “riformista”, accusata a diciotto anni di riformismo, terribile! Bene non mi sono mai posta questo problema, ma questo discorso del perché avere un luogo in quanto donne: ma perché, guarda caso, siamo donne, allora se “in quanto donne” è brutto come suono, ma come mai siamo solo donne? E io non vorrei che ci fosse un uomo, non lo vorrei qua, da un’altra parte sì …

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Paola Allora, qui siamo donne perché c’è una storia che ci porta a questo, e una presenza maschile qui sarebbe una forzatura che non viene da una storia, che non viene da un percorso, non c’è. Come ce lo inventiamo l’uomo da portare qua? La nascita di questo gruppo ha un tragitto che viene dal fatto che un tempo sono successe delle cose, che poi qualcuna ha conosciuto delle altre, che c’è stata la mostra, che ci siamo viste poi con altre fanciulle con cui abbiamo stabilito delle relazioni. Questa è la storia, questo gruppo è qui per questo motivo storico, da un lato. Dall’altro la mia aspettativa è che da questa nostra idea di incontarci per pensare si faccia un ulteriore passo di elaborazione tra donne, rispetto a quello che è stato fatto dalle femministe, e poi da noi, le 150 ore … , perché non è che all’epoca si sia arrivate al fondo di tutte le cose, no? C’è stata una interruzione del pensiero, all’inizio degli anni ’80, anche per conflitti del cui significato noi non abbiamo mai parlato a fondo.

La mia aspettativa sul nostro gruppo di donne è vedere se si riescono a produrre dei pensieri ulteriori su alcuni  nodi che sono rimasti. Immaginiamo che ci mettiamo a ragionare sulla proposta di Pina, di tornare al discorso dei rituali e di iniziare a dedicare un po’ di incontri – poi lo decideremo – al rituale del matrimonio: non vedo cosa ci farebbe un uomo qua. Sarebbe un elemento totalmente spiazzante rispetto alla libertà di pensiero e di parola che mi posso riconoscere in una situazione come la nostra. Questo non c’entra con la politica in generale, sul fatto se noi possiamo dire “in quanto donne” una parola risolutiva perché ci stanno distruggendo lo Stato. Resta però il fatto che una chiamata - come diceva Anna prima – una “assunzione di responsabilità” per il Paese tutto, pronunciata in maniera tale che a questa chiamata sono riuscite a rispondere tantissime persone, l’hanno detta delle donne

 

Luisa Quando è arrivata la mail di Livia io ho provato questa paura dell'abbandono, la paura che questo gruppo si sciolga; per me questo sarebbe molto doloroso perchè io mi aspetto molto da questo gruppo, tutto quello che ha detto Anna sul fatto che qui si può discutere, si può parlare ma mi aspetto anche qualcos'altro, ho molta aspettativa su questo argomento dei riti.

Per me è una questione importante, io ho fatto un lavoro personale in questi anni, un lavoro sul corpo, che riguarda appunto questa questione dei riti. Non mi ha portato molto lontano, ho approfondito alcune cose ma a livello generale; mi interessava invece approfondirla con questo gruppo di donne di cui mi fido, con le quali sto bene.

Mi interessa l'argomento del matrimonio. Leggendo il libro della Accati “Il mostro e la bella” ho trovato delle cose che mi hanno portato a vedere alcuni aspetti anche della mia vita di persona che ha avuto un'educazione religiosa, che si è sposata, da angolazioni che non avevo visto sino a quel momento. Ancora oggi il matrimonio è molto significativo per le giovani, spendono una barcata di soldi, eppure forse il rito non ha molto valore per loro.

Voi sapete che ho vissuto per tre mesi in Australia e in questo luogo ci sono moltissime persone di diverse nazionalità, ho visto che i giovani che hanno perduto tantissimo le tradizioni sono come un po' lasciati a se stessi, l'unica tradizione che viene conservata è quella del cibo che viene molto enfatizzata, ogni comunità conserva il suo modo cucinare e produrre i cibi e lo porta come rappresentazione di sé, ci sono molte feste e molti momenti in cui il cibo viene portato e fatto dalle varie comunità a presentazione di loro stesse.

A me sembra poco. Non so. Io voglio approfondire questo tema dei riti, capire che senso hanno, se hanno ancora senso per noi che viviamo in una maniera diversa, se sono cose così radicate di cui non possiamo fare a meno... avrei tante cose sulle quali ragionare e la necessità di approfondire.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Luisa Sulla questione degli aspetti organizzativi io penso che bisogna proprio tenere separate le cose, quando facciamo queste riunioni eviterei di mescolare i vari argomenti.

Mi ero scritta, come appunto, il gioco dell'oca. Quei pomeriggi quando abbiamo tagliato, cucito è stato bellissimo; era fare, ma non solo… C'erano arrivi a varie ore, chi tagliava, chi disegnava, chi incollava, è stato un momento bellissimo! Poi ci sono tutti i pericoli che abbiamo già detto, di farci fagocitare dal fare, dall'attivismo, cerchiamo quindi di tenere separate le due cose.

Luciana B. La lettera di Livia mi ha posto nuovamente il problema della difficoltà del parlarsi, di trovare un metodo, di lavorare su un argomento, di non essere dispersive. Prima dicevi: anche con le giovani sentiamo l'esigenza di parlare di tutto … io questo non lo vorrei, mi sembrerebbe di ritornare ai gruppi delle 15O ore.

Noi abbiamo una storia, un'esperienza, ho quindi assolutamente voglia di continuare, non di riprendere dei vecchi discorsi, ma di riflettere su alcune parole. Ad esempio su questa cosa dei ruoli, dei rituali nella società e di come questi ci condizionano nella vita. Sul fare e non fare, sul pensare e fare, basta trovare un metodo, scegliamo un comportamento, ci diamo un metodo dividiamo accuratamente le cose, quando ci vediamo stiamo sull'argomento e lavoriamo su questo.

Gloria:Io non ho una visione negativa del fare, mi sono divertita molto a ritagliare le papere, e se avessi più tempo probabilmente farei più cose con voi, è che non ne ho proprio il tempo e l'energia. Non dobbiamo pensare ad una dicotomia fra il fare e il pensare, io non credo che lo pensi neanche Livia. Certamente io ho avvertito che quando questi due piani si sovrappongono fanno casino, nel senso che si finisce di privilegiare uno piuttosto che l'altro. Separiamoli. Io dicevo la prima parte della giornata si fà sul pensiero, la seconda si fa sul piano organizzativo, oppure facciamo la giornata meditativa, poi quando ci si deve organizzare ci si da un'appuntamento, chi ha voglia di fare delle cose viene. E questa mi sembra una cosa molto risolvibile. In secondo luogo, cercare di trovare una tematica precisa, i rituali mi stanno benissimo, mi stava anche bene il maschile e femminile, dove magari facciamo anche delle letture, dove la discussione si concentra su quella cosa; allora questo ci può aiutare. L'altra volta - io mi sono riletta gli interventi - balzavamo dal maschile/feminile alle donne musulmane, c'è stato di tutto.

Voci varie che confermano

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Io dalla lettera di Livia non ho avuto questa sensazione di abbandono, mi è sembrato anzi un tentativo di dialogo, quindi l'ho vissuto come uno stimolo di riflessione, perché, attenzione, una delle cose sulle quali ci siamo spezzate è la questione delle differenze, la mancanza dell'accettazione delle differenze, e questa è una differenza.

Gloria Io mi sento in sintonia con Livia, io oggi mi pongo il problema se oggi siamo davvero un soggetto politico, trovo molto interessante e stimolante, ricchissima la discussione tra di noi e sono molto interessata a continuare a farla. Sul fatto che siamo un soggetto politico che può andare in piazza e dire qualchecosa che può avere un'incidenza, o che le donne al potere possano davvero portare qualcosa di diverso, io in questo momento storico ho delle perplessità perchè un conto era il valore, lo spazio, l'ascolto che avevamo allora negli ani '70 sino agli anni '80, e un conto è l’oggi con tutti i cambiamenti che ci sono. Per cui mi piacerebbe fare delle riflessioni su cosa vuol dire essere un soggetto politico, perchè il soggetto politico io me lo immagino come qualcosa che si propone all'esterno, che non rimane soltanto all'interno.

Anna Frisone: Mi sento un po' estranea a questo tipo di riflessioni perchè ho partecipato poco, ma proprio da questo punto di vista mi viene da dire che quello che mi piace e che ho ricavato da questo gruppo è anche la sua accoglienza ed apertura a diversi tipi di partecipazione più o meno frequenti più o meno costanti e quindi anche sul discorso del fare e riflettere mi pare appunto che suddividendo gli ambiti si riesca a partecipare ciascuna nel modo che ritiene più opportuno. Gli incontri delle quattro stagioni sono nati come momenti di riflessione e devono restare così, ma non mi pare che ci sia conflitto, che accanto a questi, chi se la sente, chi è interessata, può organizzarsi per fare altre cose, e mi spiacerebbe che qualcuno, come ho avuto percezione dalla mail di Livia, si sentisse un po' marginalizzato perchè non partecipa. Secondo me è una preoccupazione che non avrebbe ragion d'essere perchè non mi pare appartenga a questo gruppo. Stando in un'altra città uno avrebbe a maggior ragione l'idea di sentirsi estraneo, però non è del tutto così.

Rispetto al discorso “in quanto donne” la riflessione che mi ero appuntata era che Livia non poneva la questione se avrebbe senso fare questo tipo di riflessioni con uomini o meno ma: in quanto donne significa che siamo un soggetto politico omogeneo? E mi ero appuntata la parola “differenze”, e credo che lei si interrogasse più che altro su questo.

Non ho risposte ma mi pareva un discorso più raffinato del fatto che le ragioni per cui questo gruppo si è costituito così sono appunto anche storiche, e non penso le sfuggano; penso piuttosto si interroghi su come il gruppo si pensa e si individua come soggetto.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Aurea Forse le aspettative che aveva ognuna di noi al momento di partecipare a questo gruppo erano diverse, e stanno uscendo in questo modo. Forse Livia aveva delle aspettative e non le ha trovate confermate. Io le ho trovate confermate.

Riguardo ai riti, pensavo a come è diverso per noi che viviamo in città, perchè chi vive in paese sta riscoprendo anche riti che non esistevano più da tanto tempo, li vanno a cercare perchè è un bisogno che si è sentito nuovamente. I giovani che vanno a ripescare delle feste di paese che non si facevano più, forse perchè sentono di non avere appartenenza, e allora la vanno a cercare. Io lo trovo interessante. Vedo che al paese di mio padre c'è una riscoperta, il matrimonio è ritornato ad essere una festa, se non in chiesa, in municipio è di nuovo una festa, cosa che per molti anni non sapevi neanche che uno si era sposato. Per anni ci si accompagnava, e il matrimonio sembrava non essere interessante. Magari parlo dell'Emilia che è una realtà un po' diversa dalla città.

Eleana La sensazione che ho avuto io della lettera di Livia non è di abbandono, ma di lontananza; non riuscivo a capire le spinte che avevano generato questa cosa al punto da non capirne il senso. Lo sentivo anche come un tentativo di far scendere un significato trascendente su quella che è la realtà dei nostri incontri, nel senso che lo vedevo arrivare dall'alto questo quesito di Livia. Quello che mi preme di ricordare è che i nostri incontri non sono solo il significato di quello che facciamo. Noi siamo dei corpi che arrivano qui ad una cadenza di tre o quattro mesi, si vedono, creano il perpetuarsi di un rito, una pratica che testimonia già, senza significato trascendente, qualcosa. Poi ognuno può riempirlo, dargli una direzione, caricandolo della propria aspettativa, e forse è a questo punto che si generano i conflitti; però nella mia visione materialista noi siamo persone che creano una pratica; e non solo: creiamo anche dei luoghi che non ci sono senza di noi, siamo qui in questa sala ed abbiamo creato un luogo, e vi assicuro che c'è una fame di luoghi incredibile perchè, mentre Anna ha detto che ha molte occasioni per parlare, questo non è così scontato, io di occasioni per parlare ne ho poche, per questo per me sono preziosissime, anche se in genere parlo poco. I luoghi sono pochi, parlo per le generazioni più giovani, non abbiamo luoghi lavorativi in cui incontrarci, non possiamo creare discussioni e dibattiti, c'è la rete ma non è la stessa cosa, non ha la stessa forza, e questi luoghi mancano moltissimo. Il fatto che manchino dei luoghi è il motivo per cui si vanno a ripescare delle cose che non c'erano più, cioè dei riti.

Il valore che voglio dare per ora, e rimango sul materiale, è: siamo un gruppo, ci vediamo, e creiamo dei luoghi, dando l'opportunità di creare dei germogli di qualcosa; per me questo è sufficiente.

Un'ultima cosa sui riti, mi interessa, e vorrrei lanciare l'idea del “ribaltamento” dei riti perchè secondo me nella nostra società ci sono tanti riti ripresi e rovesciati. Ad esempio: il matrimonio ribaltato. Mi viene in mente nella società attuale il rito del colloquio di lavoro in cui devi dire: “matrimonio no! I figli no, vi giuro che non procreerò, fra qualche anno vado in menopausa aspettatemi!”... E' il rito del colloquio... è una cosa a cui sto pensando ma non mi è ancora chiara.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Arianna Sui riti io voglio parlarne, e come Paola aveva proposto ad Arenzano potremmo fare uno spettacolo teatrale, potremmo farlo in parallelo alla discussione. Senza sapere quando e perchè; potrebbe essere interessante, ed io sarei felicissima se potessimo utilizzare il mezzo teatrale per una riflessione sul matrimonio; io non lo farei alla fine, lo farei in corso d'opera, prima si può iniziare a parlare e poi chi vuole può partecipare, per me sarebbe fantastico.

La percezione del fatto che siamo dispersive nei nostri incontri, che non si riesca ad arrivare ad un fine, in realtà facendo le trascrizioni, e quando le rileggi trovi che molte cose interessanti sono state dette. Alcune di noi parlano come dei libri stampati, altre invece fanno molte dispersioni, ma nella dispersione c'è la vitalità, e leggendo senti quella vitalità anche quando non ci sei stata. Mi è capitato di rileggere un incontro in cui non c'ero e sentivo proprio le voci. Quando mi sono trovata a fare la sintesi in 1500 parole - che è un bel lavoro … - arrivi che dici: caspita! Ho dovuto faticare per togliere delle cose che per me erano interessantissime, e alla fine esce fuori una cosa che è pregna, e quindi abbiamo detto un sacco di cose che è difficile mettere in 1500 parole. Soprattutto questo senso di sconfitta che è un po' il senso di sconfitta che sento quando si parla del femminismo e degli anni '70, non solo da voi, ogni volta che incontro qualcuno che può avere l'età per essere stato in piazza negli anni '70 io dico “tu cosa facevi, con chi ti vedevi? Racconta.” e scopri che un sacco di gente c'era e non te ne ha mai parlato anche se la conosci da anni, e tutti però hanno questo sentimento di sconfitta. Ma come! avete cambiato il mondo, è stata la più grande rivoluzione dell'ultimo secolo! E tutti si sentono sconfitti, che è un po' lo stesso sentimento che sento qua. Perchè? Non lo so perchè.

Domanda: è giusto proporci come soggetto politico? Che è la domanda che sottintendeva Livia, ma che è la domanda che girava sul 13 di febbraio. Ringrazio Livia per aver posto la domanda, per me questa domanda è importantissima, perchè io prima di conoscervi, di incontrarvi per il laboratorio delle 15 donne, avrei detto di no, mentre adesso dico di sì, e non so perché, non mi è ancora così chiaro. Per me non è mai stato giusto che le donne si ponessero come soggetto politico, perchè penso che mi abbiano ingannato e mi abbiano detto “non lo puoi fare perchè non è giusto”, e penso che sia un inganno. Ora penso che debbo incontrarmi con altre donne come soggetto politico, e il fatto che non mi ponessi la domanda prima è perchè mi avevano insegnato a non farlo.

Voci: ti hanno fatto credere che siamo uguali.

Arianna L'idea che io mi debba fermare e dire: “ci sono delle differenze? Io sono una donna e quindi devo pensarci, devo vedermi con altre donne per parlare di questo, esisto in quanto esiste questa cosa” è ancora un'idea che si sta formando. L'unica certezza è che se non ho fatto questa cosa, se non mi sono posta questo problema sino al 2008, è perchè mi hanno detto, mi hanno insegnato, che non c'era questa possibilità, ed era sbagliato che io me la ponessi perché, se io mi ponevo questa domanda, facevo esistere un problema. Tutto questo ha conseguenze incredibili tipo: votare una donna come Presidente del Consiglio perchè è donna, anche se io non sono perfettamente d'accordo con le sue idee, è giusto? E' una domanda particolare che però mi assilla...

Voci c'è una essenza femminile significativa che può andare oltre tutto?... un quid?

Arianna Queste sono le cose più importanti. Poi la manifestazione del 13 ha posto tutta una serie di domande di cui sarebbe carino parlare: la Muraro che ha parlato (e che mi ha fatto arrabbiare), il ruolo della donna, il corpo della donna, la prostituzione, l'intellettualismo …

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Anna Non è che io faccia parte di non so quanti gruppi; il punto cruciale è che gruppi dove si possa riflettere anche occasionalmente è difficile averli, e quindi il problema dei luoghi, degli spazi per riflettere, è un grossissimo problema anche mio e non solo dei giovani, e devo dire che intorno a me sento molte persone, nel mio caso più uomini che donne, che sono orfani di questo e che anzi mi hanno chiesto: perché non facciamo un gruppo di riflessione? Dopo di che io ho detto che ci avrei pensato ma non ho ancora dato una risposta perché non so neanche come fare. Perché questo è anche l’altro aspetto, che non è poi così facile, ed è in questo senso che sono molto grata a Paola, lo dico veramente, perché il fatto di aver raccolto la proposta della mostra e poi di averne fatto una cosa che non era solo raccogliere dei documenti, ha creato un luogo, e non è facile davvero. Questo gruppo ha questa caratteristica che è, nella pratica, l’accettare la diversità. Per me è importante questo gruppo, con tutte le difficoltà che ho talvolta a partecipare. Perché: a cosa mi serve? Mi serve, in tutte le sue forme, anche quando io non vengo, perché io al gioco dell’oca o al teatro sono venuta solo una volta ... è la stessa cosa del perché io non ballo

Voci: non sai cosa ti perdi!

Anna Se non sapessi cosa perdo potrei anche infischiarmene, ma invece so cosa perdo, darei 10 anni di vita per ballare! A cosa mi aiuta tutto questo che avviene intorno a me? Mi aiuta a “leggere”, nel nostro confrontarci c’è proprio la possibilità per me di leggere in modo nuovo e quindi di vivere in modo nuovo; perché è lì la cosa magica, perché nel momento in cui tu capisci, nel gruppo tu lo fai in modo diverso che se lo leggi sul libro. Vengono messe in moto delle trasformazioni che mi restano, che mi porto dietro, che diventano un segno permanente, e questa è la potenza del gruppo, di questo gruppo in modo particolare. Perché il discorso dell’accettazione e non giudizio io qui lo vivo; in altri gruppi io mi sento di dover dire in un certo modo, di non dire stupidaggini. Qui mi sento più libera. E’ come se, siccome nella mia vita mi sono sempre sentita in colpa, di non aver fatto abbastanza, di non essere abbastanza intelligente …., qui finalmente posso non sentirmi in colpa, anche se non vengo e non faccio, non mi sento in colpa; mi spiace, questo sì, ma non mi sento in colpa, questo è quindi il clima che vorrei preservare.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Anna Sono d’accordo sui rituali, sulle intuizioni di Pina, ed è un tema che c’è un po’ dall’inizio, anche quando abbiamo parlato del linguaggio, il linguaggio che simboleggia: il simbolo è di nuovo legato ai riti. A me piace molto anche la questione del ribaltamento, che non so nemmeno io bene cosa vuol dire…

Paola del ribaltamento dei riti?

Anna Sì, perché il ribaltamento…. Un po’ ci abbiamo provato: anche il non sposarsi è stato un ribaltamento: piccolo inciso mia sorella non si è sposata, poi si è sposata a 5O anni per questioni concrete, ma il suo non sposarsi era in realtà un ribaltamento, perché lei lo teorizzava. Io non ho battezzato i miei figli, ma era un ribaltamento? Temo di sì, perché in realtà non era la libertà, era il non fare un rito che c’era, e non era la libertà dal rito. Non so come dire: forse anche se io provavo a viverla come libertà, i miei figli non l’hanno vissuta come tale. Perché si sentivano dire: come mai tu non sei battezzata? Perché tu non fai la prima comunione? Maria è arrivata a casa disperata dicendomi che ero cattiva e che volevo mandarla all’inferno. Giorgio invece mi diceva: mi rompono le palle su questa cosa, cosa posso fare?

Ascoltando poi la radio, aveva 7 anni, dove spiegavano il buddismo Giorgio ha detto: semplice, sono buddista! Dopo di che va a scuola e quando torna mi dice: “mamma sono a posto, quando mi dicono perché non fai la prima Comunione gli rispondo: perché sono buddista!”

Si è dovuto trovare comunque un’altra religione, un’altra filosofia, a proposito di ribaltamenti.

Volevo dire ancora un’altra cosa sulla questione di come il gruppo si pensa e si individua come soggetto, che era quello che Luisa diceva dell’identità del gruppo: penso che l’identità del gruppo sia la somma del nostro stare bene insieme, perché se noi stiamo bene insieme e ci serve, e produce cambiamento nella mia vita poi, l’identità si trova poi cammin facendo; può anche essere che a un certo momento abbiamo un’identità più di un tipo che dell’altro… è una domanda che mi sto facendo… Io penso che noi facciamo politica, perché respirare è politica, non puoi prescinderne, ma penso che sia una cosa, senza essere idilliache, che con voi posso liberamente affrontare di volta in volta, anche scazzandoci, perché le arrabbiature possono sempre esserci.

Luisa Questa cosa del ribaltamento mi ha stimolato moltissimo perché probabilmente il ribaltamento serve a definire il rito. Cioè il fatto che sia ribaltato te lo fa leggere, te lo fa vedere.

Anna Cioè qualcuno che non accetta il rito fa si che il rito venga in evidenza?

Luisa No, per me il ribaltamento del rito non è quello che dici tu (il non matrimonio, il non battesimo), quella è un’altra cosa, è una negazione. Il ribaltamento del rito è proprio una cosa che era fatta in un certo modo e che aveva un significato perchè era fatta così, e che assume un altro significato facendola in un’altra maniera, ma non per opposizione.

Provo a fare un esempio, che non so se è un ribaltamento, ma provo a dirlo. E’ una cosa che riguarda mio figlio, in Australia. In ufficio loro sono obbligati a vestirsi in un certo modo cioè camicia, pantaloni scuri e questo lo fanno sempre tranne al venerdì che si possono vestire come vogliono. Un giorno, era un martedì, passa da noi e lo vedo che era vestito diverso, non “serio”, libero, e allora gli ho chiesto il perché e lui ha risposto: Oggi potevamo vestirci liberi. E mi ha spiegato che siccome c’era stata l'alluvione nel Queensland, quel giorno in ufficio raccoglievano i fondi per gli alluvionati, e poiché alla gente fa piacere vestirsi liberi, era un premio per le loro donazioni al Queensland. E’ un ribaltamento di un rito questo?

Diverse voci No, è un altro rito. Ribaltamento del rito sarebbe andare vestiti “seri” anche il venerdì.

Luciana Secondo me è un rito anche questo, è la collettività che si mobilità, la consapevolezza degli altri, il dare …

Paola il premio conferma totalmente il rito.

Arianna Tra l’altro questa cosa del vestirsi è quasi una connotazione dei riti, quando c’è un rito ci si veste in un certo modo … Adesso che citavate l’abbigliamento mi è venuta in mente mia sorella, io ero bambina e lei adolescente, alla domenica, mentre mia madre mi vestiva bene per andare in chiesa, mi faceva i boccoli, mia sorella si presentava sempre in un modo improponibile, straziante, come il ribaltamento di un rito, una cosa del genere.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Paola Rileggendo le trascrizioni passate non ho mai provato delle delusioni. L’ultima volta è stata un po’ più scompaginata, abbiamo saltabeccato parecchio, però delusioni nella rilettura no; quindi il significato che ha per me il gruppo è quello di una cosa preziosissima di cui noi godiamo, e che è una possibilità per niente così diffusa nel mondo. Dietro c’è una lunga storia che ha reso possibile questa aggregazione, e quindi noi utilizziamo i frutti di tutta una serie di sovrapposizioni e di nuovi ingressi, anche loro con le loro storie; quindi la cosa è preziosa.

Poi c’è da riflettere su qual è il rapporto con l’esterno di questo gruppo. Per me questa cosa è ottima, ci sto dedicando la pensione INPS nel senso che dedico il mio lavoro a questa parte di tipo organizzativo, sono contenta, venire qui è importantissimo, rileggere le cose aiuta un pensiero, vi si innescano attività, creazioni di varia natura, e quindi questa cosa riempie moltissima parte della mia vita in questo momento, mi rende felice. Il sito è un rapporto con l'esterno, aver fatto l’iniziativa sul testamento biologico è un rapporto con l'esterno, aver fatto la rappresentazione delle 15 donne ad Arenzano è un rapporto con l'esterno; quindi non è soltanto un gruppo che si auto-conferma al suo interno, ma è un gruppo che ha una osmosi in qualche modo con il mondo circostante. Io un po’ maniacalmente vado a vedere anche come sono le interazioni col sito; stanno aumentando i visitatori, c’è una crescita, ci sono una ventina di persone al giorno che ci vanno a vedere, più da Milano che da Genova. Stranamente c’è della gente che ci consultava da Sydney ultimamente … (risate riferite a Luisa)

Luisa Sì l’avevo un po’ detto in giro ...

Paola Quindi ci sono tutti questi tentativi: come facciamo le trascrizioni, come facciamo la sintesi, le 1500 parole, poi come utilizziamo questa cosa … adesso mi era balenata un’idea sul fatto di fare lo spettacolo sui riti: metti che nascano dei pensieri, in che modo interagire con una discussione con l’esterno? Uno può andare a raccontare le cose, oppure può fare una rappresentazione sulla base delle cose che sono girate, può essere una modalità di interazione, di discussione col mondo. Oppure può essere il fatto di scrivere, immaginare che un numero di Leggendaria venga dedicato ad un aspetto delle nostre discussioni. Quindi la questione del modo con cui noi vogliamo interagire con l’esterno resta sul fondo di qui in poi, non con urgenza, ma è un discorso che mano a mano viene fatto.

 

Paola Che rapporto abbiamo noi in generale col rito? Nel senso che magari facciamo l’antitesi del rito, oppure rifiutiamo di farlo, ma comunque questo mio non fare o fare è dentro a quel cerchio che è stato stabilito, perché mi ci rapporto o in opposizione o a conferma. Ma noi vogliamo una vita completamente priva di ritualità? Mi viene da dire di no, nel senso che una vita completamente priva di ritualità mi sembra impoverita, e non so se sia possibile, e la ritualità verrebbe probabilmente sostituita da altre cose che non so se mi piacciono. Dato che parliamo dei riti prendo l’occasione per dire che abbiamo sei copie dell’ultimo capitolo di un libro, "L'Ardore" di Roberto Galasso, che ha letto Pina, e che ha letto anche Anna, che parla della civiltà Vedica che era basata totalmente sui riti. Da quanto ho capito era ritualizzato qualsiasi aspetto dell’esistenza. Poi questa civiltà è svanita, sparita, ma nonostante la sua scomparsa ha lasciato dei segni perduranti.

Anna Non hanno lasciato assolutamente niente di scritto, ma proprio niente, a differenza degli egiziani.

Paola Quindi l’ultimo capitolo di questo libro può introdurre delle idee, delle suggestioni che attendono al discorso sul rito, e Pina dice “affrontiamo la questione del rito, e partiamo da un rito che è ampiamente praticato o in via diretta o in via indiretta, che è quello del matrimonio”. C’è gente che non si è sposata ma sarà andata ai matrimoni, c’è gente che si è sposata solo in chiesa, una volta o due volte; i genitori nostri penso che fossero tutti sposati quindi il matrimonio è un rito per eccellenza …

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Voci: o il funerale anche

Anna Si, però dentro l’immaginario collettivo il matrimonio prevale forse, perché il funerale lo si rimuove

Arianna Mentre per il matrimonio c’è stata la trasposizione del rito, per il funerale la trasposizione laica del rito non è ancora stata risolta; spesso noi rimuoviamo il rito funerario perché non abbiamo la possibilità di compierlo.

Paola Detto per inciso, per il gruppo “Falce lucente” l’ultimo compito a casa era appunto quello di inventarsi dei riti funerari.

Voce La mancanza di un rito funerario la collego moltissimo anche alla mancanza di un luogo.

Anna Lo sapete? Lo stanno facendo, partirà ad agosto, ora c’è una grande tenda provvisoria da almeno due anni a Staglieno … voci: non l’abbiamo mai vista ... Io me ne sono occupata perché anni fa era morto un amico pittore ed ero riuscita ad ottenere l’Oratorio di S. Filippo per questo rito laico, quindi con musiche, discorsi, testimonianze. Poi da lì io me avevo continuato ad occuparmene, c’era ancora Pericu sindaco, mi ricordo che mi avevano detto che erano stati stanziati dei soldi in bilancio per fare una sala, e in attesa mettevano una struttura provvisoria, un tendone. Il punto cruciale è che a Genova ci sono un mare di cimiteri e in alcuni casi non riescono a farlo perché non c’è il posto. Comunque a Staglieno c’è questo tendone bianco tipo festa dell’Unità, tanto per intenderci, dentro cui tu puoi andare.

Vi informo di questo: c'è una ditta che un po’ di anni fa ha attrezzato un posto , una struttura per cui se tu fai il funerale con loro e dici che vuoi fare senza chiesa, loro ti propongono un posto molto gradevole e accogliente; questo per dire che rispetto a dieci anni qualcosa sta cambiando. Però, il luogo è importante, ma il rito è un qualche cosa che è riconosciuto, e che è uguale per tutti. Se tu vai a un funerale religioso c’è il prete che fa una bella predica, o che dice stupidaggini, ma c’è un percorso, c’è un prete, c’è l’incenso bruciato, il sacrificio, ecc. Il fatto di avere un luogo è importante ma il problema è che manca chi officia; anche se una persona è sola, mi viene da dire, bene o male va a finire in chiesa, magari ci sono tre gatti suoi vicini di casa, però ci sono. Perché se no come fai?

Paola Manca l’officiante, manca anche il testo da leggere, mancano un sacco di cose. Io pensavo che per il matrimonio c’è l’officiante laico, è l’assessore e ha un testo da leggere, mentre per il funerale non c'è l’officiante. Allora bisogna che ci sia un officiante laico, e quindi che l’assessore o qualsiasi persona pubblica del Comune si ponga questo problema, che vada ad accogliere le persone e che dica: qui è morta una nostra cittadina etc. etc. L’altra cosa, un’altra incursione del gruppo Falce Lucente: nelle chiese non avvengono solo i funerali mentre invece il tempio laico va a finire che diventa un po’ funereo perché ci vanno soltanto i funerali. Nelle chiese ci fai la messa, il battesimo, il matrimonio, la comunione, la cresima, tutti i passaggi.

Anna Facciamo i funerali a Tursi…

Paola Senza la bara…

Anna Paola, la bara è fondamentale! Non puoi dire senza la bara … chi non vuole andare in chiesa, se muore in casa lo portano direttamente al cimitero; se no dall’ospedale mi portano all’obitorio e poi al cimitero. Poi il punto è: siccome io sono attrezzata, siccome io sono di ceto sociale più elevato, posso organizzare qualcosa. Al nostro amico Fredriani abbiamo organizzato una cosa meravigliosa, ma il povero cristo lo chiudono e lo portano, è questo il valore dell’officiante, ma con la bara davanti, perché è importante.

Arianna E’ importante, è importante che ci sia, è il trasporto dei morti.

Luciana E’ sempre stato così nella società. Quando abbiamo letto quel libro sui funerali abbiamo visto che c’è stato un periodo in cui il corpo veniva portato, accompagnato, al cimitero e poi si officiava dopo l'addio dei parenti. E’ stato nel ‘900 che si faceva poi tutto di fronte alla bara.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Arianna Questa cosa dei riti per me è molto importante perché io vivo una grande contraddizione e ancor di più negli ultimi due giorni, da quando Michele si è ammalato. Ha avuto una grossa gastroenterite, non così grave in paragone alle grandi malattie, però è stata la malattia più grave che ha avuto Michele negli ultimi due anni e mezzo; è dimagrito di tre chili e io in quel momento ho avuto proprio la percezione di dire: è mortale! E per una cosa lieve, non l’ho nemmeno portato all’ospedale, però per la prima volta mi sono chiesta “Devo portarlo in ospedale?” Mi sono posta il problema. Poi, sono una mamma piuttosto tranquilla, gli ho dato tutte le medicine, ma questo…. mi ha portato in chiesa. E’ terribile. Mi ha portato in chiesa ad accendere il cero alla Madonna!

Paola Solidarizziamo? Anch’io accendo ceri, però lo faccio solo in Grecia…

Anna C. Io nel passato ho avuto dei grossi problemi, non sapevo come non impazzire, sai cosa ho fatto? E’ pazzesco: i mantra. Io ho recitato le preghiere in latino! Poiché non riuscivo a dormire dicevo l’Ave Maria e il Pater Nostro in latino, soffermandomi sui casi. Io ho fatto il latino… lo ripetevo … una notte penso di averlo ripetuto forse 100 volte. Era un rito.

Arianna Però la cosa che mi fa arrabbiare è perché io vivo la mia laicità…io ho un’educazione estremamente cattolica e il mio essermi staccata da questa religione, è una mia identità fortissima. Specialmente in questo momento di revival religioso - non so se anche voi avete questa percezione, sembra che tutti stiano tornando in chiesa e specialmente gente della nostra generazione - io vivo la mia laicità come una cosa molto importante, però purtroppo con questa certezza che nei momenti importanti della mia vita io vado ad accendere i ceri alla Madonna. Ho battezzato Michele tre anni fa! E l’ho battezzato perché io ho sognato il demonio!

Paola Però tu sei stata a scuola dalle suore per 13 anni, cosa pretendi? (risate)

Luciana Anch’io sono stata in collegio per anni ma no, mio figlio non l’ho battezzato; però è vero, questa cosa è capitata anche a me, entrare nelle chiese, accendere un cero, ma non perché credevo in Dio, in questo Dio o nella Madonna o nei Santi. Era il bisogno di una sacralità, e di una appartenenza, come dire: essere dentro a questa umanità e quindi quel gesto era un riconoscere l’appartenenza ad una umanità, ad un mondo, a qualcosa di indefinito, non tanto per il bisogno di avere un’alterità, un riferimento altro, è stato proprio un bisogno affettivo di appartenenza. Quindi accendere un cero per me era un dono, una relazione con gli altri, col mondo intero.

Arianna Sì, il rito in realtà ha questa funzione. I riti vengono fatti dalle comunità, e quindi l’essere appartenente ad una comunità, è questa l’importanza dei riti.

Anna Questo è un aspetto, ma non è l’unico perché l’altro è il riconoscimento dell’oltre, dell’oltre te, e dell’oltre anche della comunità, perché se no il rito non sopravvive. Non a caso, perché io dico l’Ave Maria in latino e tu vai ad accendere una candela? Perché ci rifacciamo ad una cosa che comunque dura da duemila anni e che comunque deriva dagli dei greci, dal un divino che è proprio l’oltre. In quel senso lì ti riconosci nell’umanità, che ha bisogno dell’oltre e che ti rende comune.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Anna F. Mi fa strano il fatto che, nel pensare al discorso dei riti, per molte di voi, è immediato il riferimento al trascendente, al religioso; io se penso alla parola rito, penso da un lato ai riti politici, che era quello cui si era accennato, poi mi vengono in mente molto terra-terra, i riti di comunità del tutto laiche, molto piccole, come i riti familiari, il preparare i pasti. Questo discorso della ritualità religiosa mi è completamente estraneo, mi rendo conto che a livello generale è intuitivo questo riferimento, però per me è completamente estraneo.

Paola dipende dalla esperienza individuale di ognuno di noi, noi ci siamo beccate tutto il catechismo

Voci sovrapposte

Anna F. Io non ho mai fatto religione, non ho mai fatto catechismo, mai, molte preghiere non le so neanche.

Anna C. mio figlio non sa niente, e a me un po’ dispiace, penso che a scuola un po’ di storia delle religioni avrebbero dovuto farla, io l’ho fatto per un po’, poi mi sono stufata.

Arianna Invece è una domanda che io mi pongo, che pongo soprattutto a quel povero cristo di mio marito: mi sembra impossibile crescere mio figlio senza dargli una religione, vivo questa contraddizione. Lui deve sapere che cosa è la religione cattolica, secondo me è importante; è inconcepibile che non sappia fare il segno della croce, come non lo sa fare mio marito, è inconcepibile che non sappia i Vangeli, perché se non sai la storia della religione cattolica, che comunque è la nostra storia, non capisci tutta una serie di cose, e rischi di essere anche abbindolato da quelle semplificazioni che ci esistono adesso, e dici: allora era meglio se facevate catechismo.

Anna C. io, che sono stata veramente credente, religiosa, praticante (però alternativa: nel senso che contestavamo Siri, facevamo altre cose … ), poi a vent’anni, proprio me lo ricordo, mi sono chiesta: cosa è questo Dio? Mi ricordo anche il luogo: stavo andando ad una riunione di universitari per pregare, pregavamo insieme, e mi sono detta: “Cavolo, ma siamo matti?” Improvvisamente!

Paola Hai avuto una illuminazione sulla via …

Anna C. Improvvisamente ho detto “no”. Dopo di che non ho battezzato i figli … e ho una figlia della Comunità di Sant’Egidio (che - io dico sempre: grazie a noi - istintivamente non è integralista). Dall’altra parte ho un figlio che andava anche lui in queste scuole di Sant’Egidio, le “scuole della pace”, ma quando si vedevano per leggere il Vangelo, ha detto no! non mi interessa. E davvero non sa nulla! Io darei delle capocciate, perché davvero non sa chi è Noè!

Arianna E' un grosso problema, perché comunque non c’è una alternativa del rituale, e poi la mia grande paura è che si trovi una alternativa semplicistica, però allora a questo punto era meglio se ti facevi catechismo, che almeno quelli una cultura ce l’hanno, bieca quanto vuoi, ma ha un suo fondamento strutturato, ha una storia filosofica con le contro palle, mentre queste forme molto più semplicistiche non ce l’hanno.

Luisa Io contesto, vorrei contestare: quando pensavo alla questione dei riti non pensavo a questa questione religiosa, che ne è una parte, anche! Però non solo, perché se no prende una deriva che …

Luciana B. Rito vuole dire anche ripetizione.

Luisa La ripetizione è una componente importantissima del rito, ma è solo un aspetto.

Anna Anche il rito che pensa all’oltre, non è necessariamente religioso.

Luciana B. La religione è bisogno del rito.

Paola La religione è un’altra cosa, è legata ad una trascendenza, una trascendenza proprio trascendenza-trascendenza. Voglio dire: anche uno sciopero in qualche modo è un rito, ci sono riti politici, ci sono modi rituali di gestire assemblee, riunioni; le elezioni sono un rito, hanno una componente rituale. Quando vado a votare sento la ritualità, ci vado sempre alla mattina, lo faccio come prima cosa della giornata, vado a votare consapevole di partecipare ad un rito civile.

Luisa Io penso sia chiara questa cosa.

Paola Anche quando mi sono sposata in Comune, è stato un rito, al civile, ma è un rito.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Anna C. Ci sono i riti, e ci sono le procedure.

Paola Rito, non procedura.

Anna C. Le elezioni per me sono una procedura.

Luciana B. Che cosa è la procedura?

Anna C. La procedura è un insieme di regole sistematiche, che sono comuni, ad esempio i regimi democratici hanno le elezioni, che sono comuni.

Luciana B. Per me il rito si dà una procedura.

Anna C. Ma certo, il rito si dà una procedura. Per me il rito bada alla trascendenza, il rituale bada alla procedura, infatti io parlerei più di rituali che di riti … però lì poi ci confrontiamo, bisogna spiegarsi meglio. C’è tutto un discorso che fa Calasso sui rituali della società secolarizzata. Lui dice che Durkheim della società ha fatto una religione, la società è diventata la religione, ma lo ha fatto in modo tale, non organizzato, per cui la possibilità che c’era di uscire da un certo tipo di riti o rituali non è stata colta, per cui siamo allo sbando e sostanzialmente vince la procedura, non a caso, che attraversa il mondo, come il mondo è attraversato poi di fatto dalla tecnica.

Mi è venuto in mente che il problema è che noi crediamo di essere "avanzati" perché abbiamo la tecnica, ma l’umanità, intrinsecamente, è la stessa, lo dico nel bene e nel male, perché deve continuare a conquistare se stessa, però poi la tecnica ci fa pensare che siamo andati avanti, e così anche le procedure che sostituiscono i riti; qui c’è tutto un confronto da aprire.

Paola Il libro di Calasso di cui stiamo parlando è appena uscito, si intitola "L'Ardore".

Anna C. il libro l’ho letto così: una pagina sì e dieci no, poi ho pensato: bastava leggere questo ultimo capitolo…

Paola Pina invece se lo è scoppiato tutto...

Luciana B. Io l'ultimo capitolo l’ho letto tre volte per riuscire a capirlo.

Anna C. Paola lo ha letto tre volte, io l’ho letto tre volte, mio marito l’ha letto in aereo, e mi ha detto, stranamente, “Hai visto come è interessante?” In tre ore si è letto questo capitolo, e ha detto “E’ bellissimo!” Però è molto complicato, è un po come la Luisa Muraro, lui ama scrivere in un certo modo, lei dice, è vero, io scrivo un po difficile

Commenti vari su Calasso e suoi libri e suo linguaggio, ci sono cose che non si capiscono tanto…

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Cara Arianna, cara Anna, care tutte,

La soluzione bipartisan ("riflettere" al mattino e "fare" al pomeriggio) non mi fa mettere da parte le mie perplessità.

Non è che non abbia voglia di discuterne in presenza. E' che il clima che anima il gruppo in queste settimane non mi sembra quello giusto.

"Sento" un gruppo per il quale il "fare" diventa pretesto per sfuggire a quella dimensione riflessiva/depressiva che ha caratterizzato i nostri inizi. Di fronte a questa dimensione alcune di noi (le più giovani?) a volte scalpitano. Le capisco, ma questa non mi è mai sembrata una ragione sufficiente a "cedere" e a trasformare il nostro incontrarci in altro.

Potrei sbagliarmi, certo. E di questo vorrei parlare, ma a bocce ferme, non ora.

Del significato che hanno per noi il riflettere e il fare, a livello personale e collettivo. Dell'identità del gruppo. Che per quanto mi riguarda non ho mai concepito, a differenza di Anna, come un luogo "per pensare insieme ad  altre donne, in quanto donne" (ipotesi che in questa fase della mia vita non mi interessa e non mi appassiona), ma come ripresa del filo di una storia, politica e intrigante, che merita di lasciare qualche seme.

Forse è proprio questo "in quanto donne" che oggi ci divide (o mi divide da alcune di voi), e che mi ha fatto prendere le distanze dalle iniziative pubbliche degli ultimi tempi, che mi hanno evocato le "quote rosa" e l'UDI d'altri tempi...

Le donne sono/si ritengono/possono diventare oggi/è giusto che si pongano come un soggetto politico? Vi giro la domanda. La risposta per me non è scontata.

Livia.

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Paola Una cosa pratica di cui bisogna parlare è che c’è in preparazione un video (ecco che siamo transitate per un attimo nella zona del fare!). E’ stato creato presso la bibliteca Berio Archimovi, un "Archivio dei movimenti", e gli organizzatori hanno deciso di produrre una serie di video che recuperino vari aspetti del 68’ e degli anni settanta, fino al 1977, per opporsi all’immagine corrente di quel periodo che appiattisce tutto, o sul terrorismo, oppure su una visione mitica del 1968. Lo scopo quindi è recuperare nella città di Genova cose che sono avvenute in quel periodo. E’ stato già prodotto uno di questi video sulla occupazione della Chicago Bridge e sulla occupazione della Facoltà di Fisica... io mi ricordo abbastanza bene di un pomeriggio in cui siamo andati - noi studenti di Fisica -in questa fabbrica occupata: è stato come un primo flash sul fatto che esistessero dei posti come le fabbriche...

Il secondo video che vogliono produrre riguarda appunto il femminismo, il femminismo dal punto di vista dei primi collettivi femministi: Via Ponte Reale … e poi anche del Coordinamento donne FLM, ldelle 150 ore, il pezzo che appartiene a noi tutte. Quindi, l'autore incaricato del video, che si chiama Pangrazio intervisterà individualmente delle persone …

Anna C. Pangrazio o Anna Frisone?

Paola Pangrazio, Anna Frisone fa la consulente storica, collaborerà alla sceneggiatura.

Anna C. Non so se mi va di farmi intervistare da Pangrazio, preferivo Anna ...

Anna F. Sulla regia qualcuna del gruppo del Manifesto aveva sollevato la questione “Ma perché proprio un uomo?”, però poi la questione è stata accantonata.

Gloria: Che non facciano una cosa noiosa!

Anna F. L’impressione che ho avuto su come Pangrazio organizza le interviste è che faccia una domanda abbastanza generica, e lasci parlare, poi interviene con il montaggio; le interviste che sono durate un’ora le ha ridotte a pochi minuti, come è normale, come ho fatto anche io: si interviene poi sulla sceneggiatura.

Paola Il prodotto è suo, non è un collettivo …

Anna F. “Ni”, perché il gruppo che si è costituito per la sceneggiatura penso che abbia voce in capitolo nel selezionare i pezzi.

Paola Nell’incontro al quale sono andata la settimana scorsa c’erano le Archinaute, le femministe storiche, questa Elvira Boselli …

Voci sulla mitica Elvira Boselli

Anna F. Io sono arrivata in piazza Scuole Pie e c’era questa signora che si aggirava, “Mi sa che stiamo cercando lo stesso posto”, poi davanti all’ascensore le ho detto “Sono Anna”, lei dice “piacere, Elvira”, mi sono fermata “Ma sei quella Elvira… Elvira?” - ho chiesto - non posso crederci!”. E’ questa figura mitica di cui tutte mi avevano parlato, che viveva in Australia e adesso è rientrata e vive a Roma.

Paola Io le ho detto “Finalmente ti vedo tridimensionale”, ha il capello corto, l’occhiale, avevo la macchina fotografica ma non l’ho usata.

Gloria Allora, nel 1975, io ho fatto una tesina per i corsi abilitanti sulla condizione giuridica della donna ed ero andata ad intervistare Elvira Boselli, la quale mi aveva ricevuta in questo palazzo (suo padre era Presidente del Tribunale), mi ricordo che io ero timidissima e lei mi aveva ricevuto in una specie di solarium, una terrazza, in reggiseno e mutandine molto mini-mini, non mi ricordo niente altro, solo che ero molto intimidita e lei così tranquilla al sole, seminuda.

Paola Allora: c’è il gruppo delle femminsiste (Francesca Dagnino, ecc.), poi le Archinaute e noi. L’idea che è girata è che, se si ha voglia, ciascuno di questi tre gruppi (il che potrebbe voler dire non tutto il nostro gruppo, ma quelle del nostro gruppo che ne avessero voglia) si incontrasse, separatmente, un gironi, per parlare di un argomento a sua scelta, e riprendere queste discussioni per il video. Quindi bisogna vedere se tra di noi c’è qualcuna che ne ha voglia. L’idea sarebbe di iniziare a lavorare operativamente entro una ventina di giorni e di avere tre mesi di tempo davanti, nella versione ottimistica, con probabile sforamento nell’autunno, per fare le interviste e eventuali riprese dei gruppi di discussione.

Anna C. dobbiamo pensare: uno, chi di noi vuol farlo; due, di cosa vogliamo parlare.

                                                                                                                    torna all'inizio