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Primavera 2011: indice degli argomenti e trascrizione dell’incontro. Cliccando andate su quello che vi interessa

 

Oggi parleremo di riti. Cosa è il rito per ciascuna di noi? Primo accenno al matrimonio: il matrimonio cattolico, Tomas Sanchez, il Concilio di Trento... Riti: familiari, sociali, sani, patologici, sacrali, Freud, Jung ... E' possibile, desiderabile, fare a meno dei riti? E' possibile fondare dei riti laici? I riti fondativi di una società nascono dalle conflittualità non risolvibili. Riti che rassicurano, e altri che inquietano, commuovono, suscitano paura o rabbia ... Costruzione continua di riti, indebolimento dei riti, riti del sangue, donne angelicate. L'indebolimento dei riti deriva dalla negazione dei conflitti. Differenza tra riti e rituali. Il rito è qualcosa di sociale, di riconosciuto, che rimanda all’oltre. La messa è davvero un rito collettivo? La frammentazione dei riti. Noi, qui, stiamo creando un rito? La funzione di contenimento del rito. L'inevitabilità degli opposti. Il "prete dentro". Utilità dei rituali sociali. Accettazione e contrapposizione. Riti che cambiano con le epoche della vita. I riti frammentati di una società con religioni e culture diverse. Mestruazioni e foglie che seccano. L'oscuro fascino della guerra. Riti e potere. Riti televisivi. Lutto per i rituali perduti. I rituali pubblici non sono necessariamente rituali del potere. Accorgersi che la propria vita è immersa nei rituali. Matrimonio come integrazione nella società, o liberazione dalla oppressione familiare. Il rito della guerra che legittima il delitto. Il matrimonio come rito di separazione e di distacco. Tacito e il rito matrimoniale tra i Germani: "l'uomo non aderisce alle donne". "Recitare" la comunione. I riti sono dei linguaggi di condivisione. Essere parte di una energia universale. Vivere il matrimonio come una formalità senza memoria. I nostri ricordi dei rituali sono legati alle emozioni della infanzia. Che rituali offriamo oggi ai bambini? La guerra: orrore ed ebbrezza. Quando il rituale del potere si veste di pubblica dignità. L'altare televisivo. Matrimonio, Pacs e controbomboniere. Il rito di passaggio del cambio di residenza. Senza riti saremmo più liberi? Il rito è alternativo ad una libertà non conosciuta, da scoprire? Oggi ci resta il rituale senza il rito. Superare la guerra vivendo il conflitto. Tenere conto del linguaggio. Quando cade il principio di non contraddizione. Siamo sia Creonte, sia Antigone.

 

Paola Allora, la volta scorsa abbiamo detto di continuare il discorso dei riti, partendo dal rito del matrimonio.

Anna Utilizzare il matrimonio come punto di partenza …

Pina  Dire innanzitutto che cosa è il rito per ciascuna di noi, perché rito è una parola con tanti versanti e ciascuna vede quello che più le si confà, quindi fare un giro sul rito - chi ne ha voglia, anche perché una può non averci mai pensato. Per me è come rivivere tutta la vita attraverso il rito … chi è stato educato dalla chiesa cattolica …

Poi almeno dieci minuti ve li chiederò sul testo: “Nella camera degli sposi” di Tomas Sanchez, “Il matrimonio e la sessualità – XVI° / XVII° secolo” in latino, con la traduzione. Qui nasce il matrimonio, con il Concilio di Trento.

Paola il matrimonio cattolico.

Pina Cattolico. Ciò che si legge qua dentro è quello che è passato attraverso il Catechismo, fino al codice di diritto canonico del 1917 le regole di fondo erano quelle, per la chiesa cattolica, al di là delle trasformazioni che potevano esserci state nel popolo. Di fondo i testi restavano legati alle convinzioni del diciassettesimo secolo, anzi della seconda metà del sedicesimo secolo, e fino al 1977 il matrimonio cattolico restava un rito patrimoniale, cioè i corpi erano dell'altro: il mio corpo è di lui, il suo corpo è mio; soltanto che il mio corpo, come donna, è dipendente. Poi nel 1977 … chi c'era come Papa?

Anna Paolo VI°

Pina  Paolo VI° ha cambiato la dicitura, il matrimonio diventa una comunità di aiuto reciproco, non patrimoniale.

Anna Nel 1975 c'era stato il nuovo diritto di famiglia

Luciana C'era stato un adeguamento.

Pina  E' chiaro che in tutti questi secoli la Chiesa non parlava più come Sanchez. Le lotte erano terribili tra di loro, è stata una battaglia di secoli, su orgasmo sì o orgasmo no, su orgasmo simultaneo sennò era peccato mortale. Oh, roba che uno resta senza fiato a sentire! C'era un'area che diceva che se non c'è orgasmo simultaneo non nasce il bambino, delle lotte secolari! E nel sedicesimo e diciassettesimo secolo si litigavano se l'orgasmo simultaneo era pronubo di generazione o no, perché la cosa importante era far nascere il bambino. Il femminismo per tirare fuori queste cose … Sapere queste cose ti sconvolge, sai?

Con la Riforma la Chiesa aveva dovuto modificarsi rapidamente, trovare soluzioni, perché i luterani, i protestanti, i calvinisti valorizzavano il matrimonio. Invece per mille anni la Chiesa ha decretato che il matrimonio era inferiore alla castità. Dalla fine del concilio di Trento, nel 1563, battaglie terribili! Le scomuniche! I Papi! Per dire: il matrimonio nasce di lì, e noi poi lavoriamo, pensiamo, ci sposiamo, però portando dentro … chi riceve il battesimo e poi va al catechismo, chi è cresciuto come me, ha dentro di sé questa cosa che passa. Basta. Ho già parlato troppo. Il rito …

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Anna Già che hai detto “parliamo del rito”, dai, dicci cosa intendi tu per rito. L'hai già un po' detto, ma siccome ci hai chiesto di esprimerci …

Pina E’ una serie di gesti che si si ripetono sempre eguali nel tempo … ogni nostro gesto è un rito se lo ripetiamo, e soprattutto può essere un rito utile o un rito patologico. Se uno si lava le mani venticinque volte quello è un rituale ossessivo patologico, se uno si lava le mani dopo che se le è sporcate è un rito protettivo che lo aiuta ad essere inserito in quella comunità dove ci si lava le mani. Mia nonna diceva che ai tempi di sua nonna non si lavavano mai la testa in tutta la vita, si facevano pulire i capelli con un pettine a denti fitti (voci: sì, anche mia mamma ... sì anche a casa mia ...) Io sono cresciuta che quando avevo le mestruazioni non dovevo lavarmi (voci che confermano), allora, pensateci: io ho settantacinque anni, va bene, quasi un secolo, mia nonna quando è morta era convinta ancora così; io poi mi lavavo, ma … sono cresciuta con questa cosa qui. Questi sono i riti privati, che però hanno anche questi una funzione. Ci sono riti privati che sono inseriti nella comunità sociale fondamentale, nella tribù, nel religioso: se tu non ti lavi, non vai nell'acqua perché hai le mestruazioni, è perché tu contamini l'acqua.

E’ diverso se io mi lavo le mani per andare a mangiare, che è già moderno – diciamo così – attuale e socialmente utile … che poi magari tra dieci anni sarà meglio non lavarsele perché non c'è neanche più acqua, invece quello del sangue resta di tipo religioso.

Perciò ci sono rituali che fanno parte del nostro vivere comune, sia sani che patologici (quelli ossessivi); e ci sono quelli che stanno nel mezzo, tipo quelli delle mestruazioni, che hanno un significato sacrale di tribù, di differenza sessuale; e poi ci sono i grandi riti, quelli legati alla religione, e alla socialità.

Ho copiato da Galimberti: “… Le funzioni del rito – Controllo delle forze naturali - Bisogno di protezione: la ripetizione ti serve a sentirti dentro una comunità protetta – Garanzia dell'ordine sociale”. E' chiaro: se tu vai la domenica in chiesa sei x, se non ci vai sei z.

Garimberti dice anche – questa è bella - che il rito ha una “funzione cognitiva” nel senso che il rito è una serie di gesti ripetuti e uguali secondo una modalità precisa, e questo induce delle domande: Perché? Non capisci perché alzarti in piedi, sederti, di nuovo alzarti in piedi. Questo induce a farti delle domande e perciò induce un individuo – soprattutto là dove c'è l'analfabetismo – ad attivare l'aspetto cognitivo.

Il rito serve alla comunità che si sente partecipe. Poi c'è la continuità della esperienza … tutto questo fa parte della antropologia, della sociologia e così via; poi c'è Freud per cui il rito è un ampliamento della difesa ossessiva, che va dalla salute alla patologia più grave: l'ultimo sintomo prima della esplosione psicotica è l'ossessione grave; e poi invece c’è Jung che ha praticamente costruito tutta la sua teoria sullo studio dei diversi riti in tutto il mondo, e della unità di base del rito, che si ripete … i termini del rito uniscono l'essere umano e ovviamente quando tu li attivi perché hai i simboli interiori, ne nasce una possibilità di trasformazione. Perciò Jung lavora sull'inconscio collettivo e sul fatto che l'individuo deve passare attraverso gli archetipi. Sono stata rapida?

Anna Rapida, chiara, ci hai dato un sacco di informazioni …

Paola Chi prende gli interventi?

Arianna Li prendo io?

Anna Brava, giovane donna!

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Paola Mi ero segnata una cosa sull'ultimo capitolo di “L’Ardore” di Roberto Calasso, là dove parlava della sopravvivenza dei riti nella società secolare, cioè ci sono riti fondati sulla religione, sul rapporto con l'invisibile …

Anna … l'oltre, mi pare, anche …

Paola … l'oltre, e a proposito di questa ipotesi, o possibilità, di fare a meno dei riti, parla della sensazione di vuoto e di tedio che ne segue. Anziché sentirsi liberati perché ormai non ci crediamo più, perché non c'è un al di là, perché siamo laici e quindi possiamo fare a meno di tutta quanta la parte rituale che ha questa relazione con l'invisibile, quella che si è sperimentata è invece una sensazione di vuoto e di tedio per cui – dice lui “L'animale metafisico si guardava in giro senza sapere a cosa appigliarsi”. Quindi una sensazione di inconsistenza. A questo punto nasce “La necessità di appigliarsi a delle cause che sono sempre più grezze dei riti”.

Anna Delle cause intese come mete, come progetti …

Paola Sì, e anche con connesso decadimento estetico: “Il gesto libero è sempre più goffo, più impreciso rispetto al gesto canonico … persa l'occasione, con la libertà, di ritrovare lo stupore”. E questo è un fatto che per me è molto tangibile.

Noi abbiamo iniziato a ragionare sulla possibilità di pensare a riti alternativi al rito religioso del funerale. Io penso che il rito può essere religioso in senso lato, o forse anche civile in senso lato, però deve riguardare una comunità … Il fatto di partecipare a un rito vuol dire riconoscersi all'interno di una comunità, riconoscersi adesso, ma sapere che questo riconoscimento c’era anche tantissimo tempo prima e che è qualcosa di apparentemente immutabile, che perdurerà anche in tutti quanti gli anni avvenire fino alla fine dei tempi. Quindi è anche una forma che ci protegge dalla morte, perché la ritualità ti dà una persistenza: io sono qua, poi non ci sarò io, ci sarà mio figlio e questa cosa, anche se non ci sarò più, ci sarà sempre: io partecipo a qualcosa che ci sarà sempre.

Però qualunque cosa di questo tipo deve sedimentarsi nel tempo. L'altra volta parlavamo con Giovanna delle favole, della difficoltà di inventarsi oggi delle favole, le favole, quelle che funzionano così bene, è perché sono stratificazioni di simboli che si sono costruiti in millanta anni. Lo stesso il rito: deve essere qualcosa che si sedimenti davvero, non può essere una invenzione astratta. Se lo è – certo che uno lo può costruire – non ti dà assolutamente ...

Allora, io, personalmente, non penso di desiderare una vita senza riti, non desidero affatto fare a meno dei riti …

Voci E' una cosa impossibile …

Paola … a parte che è impossibile, lo potresti desiderare. Allora è un po' pessimistico il mio pensiero, perché è veramente difficile che noi si riesca a, tra virgolette, “inventarci” dei riti che possano avere il valore emotivo, intellettuale, spirituale e – diciamo – di rassicurazione, di contenimento, dei riti con cui noi siamo cresciute … i riti di tipo religioso, o la festa che ha origini arcaiche, hanno uno spessore emotivo - mi viene da dire - incomparabile, difficilmente sostituibile.

Quindi non lo so cosa potrà succedere. Bisognerebbe pensare ad una società che si costituisca con dei valori che leghino tra loro tutti quelli che la compongono, e con una condivisione del modo di essere così pregnante e così forte da poter fondare dei riti profondamente emotivi.

Ultima cosa: Anna Frisone la volta scorsa diceva: “parlando di riti, tutte voi avete sempre fatto riferimento ai riti religiosi, a me non mi viene neanche in mente, perché io non sono battezzata, non sono mai andata in chiesa, non ho mai fatto catechismo …“. Effettivamente è una esperienza di vita profondamente diversa, una esperienza in cui non c'è stato il catechismo, la confessione, l'inginocchiarsi alla elevazione, il latino che c'è dentro di noi. Quindi lei pensava a dei riti di tipo più familiare, il rito della domenica, quando ci si vede in famiglia. E sicuramente quando veniva la banda in piazza a Fidenza, la domenica, questo era un rito che aveva una sua pregnanza, effettivamente tutto il paese era intorno a questa banda.

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Pina Il problema è che i riti di cui parli, e la radice di ciò che tu dici, fanno parte dell’incontro/scontro, della conflittualità impossibile a superarsi, tra il simbolico e il concreto. Per cui o sei dentro questa modalità dove la vita e la morte si incontrano, come nel momento dell’uccisione, nei momenti tragici però vitali, o quella cosa che dici tu (… lo spessore emotivo) non ci può essere.

Perciò diciamo: "la conflittualità non si può eliminare, c’è un punto che non possiamo assolutamente trasformare in tranquilla vita". Ecco: dobbiamo accettare che esiste questa conflittualità, e che ci saranno sempre dei momenti così. Gli altri riti di cui parli – tipo la banda musicale eccetera – non potranno mai avere questo significato.

Ma siccome la vita e la morte, o l’amore e la morte, sono “la vita”, noi ci scontreremo sempre con questi momenti. Del maschile e del femminile, del nascere e del morire. Perciò non c’è pericolo che, finché ci siamo, non ci siano radici di riti fondati su questa conflittualità.

Se poi noi vogliamo fondare dei riti, possiamo farne una cosa diversa da quella religiosa, ma i riti fondativi di una società sono fondamentalmete quelli della vita e della morte.

La guerra: può essere eliminata la guerra? Lì andiamo a toccare cose che non si possono risolvere, queste della guerra e della pace, e perciò del maschile e del femminile. Lì ci fermiamo. Non esiste possibilità di arrivare ad una pace definitiva.

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Gabriella Per me il rito è fondamentalmente una cosa che mi affascina, mi incuriosisce, e mi rasserena e mi emoziona. E io dapertutto dove vado quando viaggio, quando mi muovo dal mio ambiente, dal posto dove ho delle relazioni, delle conoscenze, degli affetti, delle abitudini, in qualche modo cerco il rito di quel posto, perché il rito mi dà la sensazione di andare in un posto che non è del tutto sconosciuto, e che non rimarrà mai del tutto sconosciuto, ma con il rito mi si rivela e mi accomuna, anche se non conosco nessuno.

Invece quando sono andata a Londra con mio figlio, siamo poi andati a Stonehenge, a vedere queste pietre. Sono stati scritti volumi, libri, e sorge intorno a questa cosa, il luogo è veramente misterioso … e questo è il rito che a me inquieta … il rito religioso non svelato. Invece c’è il rito che mi commuove immediatamente che è per esempio lo sfilare della banda quando passano gli alpini: Il rito militare mi commuove.

Io sono andata sulla piazza Rossa, a Mosca, e vedevo questi ragazzi che facevano la guardia alla tomba di Lenin ed erano lì immobili per cui, poveracci, non potevano nemmeno soffiarsi il naso ma c’era il ghiaccio, la neve, ed era l’ufficiale che andava a pulirli perché il loro rito era stare lì immobili e fare determinati movimenti, che erano quelli che la regola imponeva. Questo mi ha dato una grande commozione perché vedevo questi ragazzi che senza discussione, senza mettere in dubbio, senza contestare, si votavano a questo compito.

E poi tutti i riti che sono stati citati con significati diversi, la festa patronale, mi ricordo da bambina con mia madre i riti dei baracconi alla festa patronale, da bambina queste cose in paese erano molto vissute, accomunavamo molto la gente.

Per me i riti erano il momento dell’appartenenza ad una situazione di comunità e ... l’incanto della ripetizione, senz’altro … e poi la paura, senz’altro, dei riti satanici. Questi mi fanno veramente paura perché lì invece la persona viene completamente svuotata, c’è un tipo di appartenenza che io rifiuto assolutamente perché vuol dire annullarsi: è un rito che svuota il significato della vita, mentre tutti gli altri arricchiscono il significato della vita e la rendono partecipe a quella di tutti gli altri. Questa per me è l’osservazione più immediata e più importante.

Il rito, quello del sangue mestruale, mi ha fatto veramente arrabbiare perché è il simbolo della fertilità, e questa cosa ha fatto paura talmente che è stata resa sporca, quindi il nostro sangue che contamina, le donne mestruate che venivano isolate perché rovinavano quello che l’uomo, con la sua capacità di costruire, era in grado di fare. La donna mestruata poteva distruggere il valore delle armi, rovinare il burro e il formaggio, impazzire la maionese, e tutte queste cose terribili che, santo cielo! Io veramente ci sono cresciuta con queste credenze, eppure in casa mia erano persone abbastanza evolute ma, se mia sorella aveva le mestruazioni, non poteva fare la maionese la domenica ... E il fatto di non poter fare il bagno … la vittoria mia è stata l’invenzione del tampax, finalmente ho fatto il bagno e chi se ne frega, stavo così bene! Ma mi era stato un po’ inculcato il timore che se io facevo il bagno potevo veramente star male … Quindi tutte queste credenze sono diventate veramente uno strumento contro di noi in certi casi. Parlo delle mestruazioni, ma l’esempio si potrebbe allargare a centomila cose… Basta non voglio dire altro.

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Arianna Io! Allora… Il rito è un insieme di gesti che si ripetono nel tempo e uguali e che sottendono dell’altro, qualcosa che non è il gesto propriamente detto. A me piacciono tantissimo i riti anche perché faccio teatro e il teatro è una fonte di creazione di riti e i teatranti costruiscono riti in continuazione cioè ogni volta che ci si ritrova a fare qualcosa insieme è una costruzione di riti che diventano … e magari nascono e muoiono. Anche noi nel nostro piccolo abbiamo tutta una serie di frasi che ci ripetiamo, che ogni volta che le diciamo vogliono dire quello ma anche dell’altro, di gesti che vogliono dire quello e anche dell’altro. Io nel mio piccolo costruisco riti in continuazione, cerco di creare delle piccole comunità che fanno dei riti. Ad esempio l’ultimo dell’anno si scrivono tre desideri per l’anno prossimo su foglietti che poi vengono bruciati. … Il problema, secondo me, della creazione di riti è che hanno delle regole ferree, come le favole: costruire una favola è una cosa molto difficile se non conosci le regole. Una volta che conosci le regole è una cosa quasi automatica, volendo, poi diventa più o meno bella, più o meno importante in relazione a quanto va a prendere da quei famosi archetipi universali che raccontano più o meno delle storie uguali, per cui semplicemente, se tu metti un serpente, è una figura che attinge a un nostro immaginario molto più forte che magari se prendi un’altra cosa…

Giovanna Un piccione…

(risate)

Arianna Si, un piccione! La cosa che io mi chiedo è quindi: i riti si possono costruire, possono essere anche fortissimi, l’importante è che sottendano qualcos’altro, che siano dei riti condivisi da una comunità abbastanza forte e che abbiano quelle regole. Mi chiedo però: perché si sono scardinati i riti? Quando è avvenuto? I riti che sono sempre esistiti, in realtà si sono sempre modificati, però quando è avvenuto che nella nostra società c’è stata una generazione intera che s’è riconosciuta nel fatto che non voleva più i riti? Per cui noi viviamo questa cosa che adesso i riti sono deboli? E poi: sono davvero deboli? Domanda … (voci che commentano in sottofondo). Non so, mi chiedo … Secondo me in questo momento i riti magari ci sono, ma sono deboli, non sono più così condivisi, non sono più così riconoscibili. Quando e perché a un certo punto è successa questa cosa?

Gabriella La globalizzazione…

Gloria Prima, è successo prima.

Arianna Non so, è una domanda che faccio: quand’è che è avvenuto questo? Poi, vabbè, un’ultima cosa sul sangue mestruale, anche quando partorisci c’è un mare di sangue … voglio dire, la cosa del sangue ... il sangue mestruale è un sangue vecchio che poi a un certo punto viene buttato fuori per rinnovare la donna, nel parto anche c’è del sangue che esce, che è la parte vecchia che poi ad un certo punto non serve più, nasce il bambino e viene espulso. Se non viene espulso la donna muore.

Però tutto questo è in contrasto con l’idea della donna, che è bella, eterea, pulita e profumata, l’idea della donna…

Giovanna … angelicata…

Arianna … angelicata, che è un’idea di donna che esiste ancora adesso, le donne delle pubblicità sono donne che non puzzano, che sono profumatissime, che non hanno le mestruazioni, non hanno le mestruazioni e non partoriscono

Anna C. Non hanno le mestruazioni anche quando fanno la pubblicità ai tampax?

Arianna Sono comunque mestruazioni che non puzzano! (tutte ridono) e non sporcano.

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Pina Qui manca una cosa, scusate: nel momento in cui abbiamo detto rito, mi sembrava di averlo detto in tutta la mezz’ora che ho parlato, è che c’è l’ineluttabilità della contrapposizione, per cui la nascita e la morte … lo sporco e il pulito … il dentro e il fuori di noi, la vita e la morte: c’è un’area in cui queste cose, gli opposti, si uniscono: è da qui che nasce il rito.

Arianna Qui in realtà non viene unito niente, viene cancellato. Come anche il problema della morte: noi siamo in una società in cui la morte non viene neanche considerata, la morte non esiste, non esiste la malattia, per cui tutti quei rituali che esistevano, per esempio di accompagnamento alla malattia, quindi alla morte, non esistono più, uno sta per morire e viene abbandonato.

Pina Arianna, però è proprio questa cosa: l’opposizione. Se c’è l’opposizione c’è il rituale, e quindi la società va avanti per via delle opposizioni. Per cui c’è un rito monco perché non si vuole l’opposizione. Cioè ad un certo è avvenuto che non si vuole più il conflitto e quindi, siccome vogliamo vivere senza conflitti, in una vita felice e basta, punto, allora il rito non serve più, perché non bisogna più entrare in conflitto.

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Anna C. Torno a cosa intendo io per rito: per rito io intendo la sequenza ripetuta di gesti e parole che sono riconosciuti nella società. L’altra volta Anna Frisone diceva “Per me rito è vedersi tutte le domeniche a pranzo”. Va bene. Io personalmente quando penso ad un rito, penso a un qualcosa di sociale e condiviso da grandi masse, gli altri li chiamo rituali. Per me c’è una differenza. Cioè, il rito è qualche cosa che rimanda davvero all’oltre, qualunque esso sia, il rituale è qualche cosa che si ripete o in modo ossessivo per il poveraccio che poi va a farsi curare, o nel fare tutti i Natali tutti precisi, con sempre le stesse cose da mangiare ... nella mia famiglia quando si è provato a dire “Va bè cambiamo un po’?” levata di scudi da parte dei nipoti che hanno detto “No, il Natale è questo”, cioè la cima, la torta pasqualina ... no? Però non è che voglio sminuire il rituale: è una buona cosa.

Ma diciamo che io per rito intendo proprio questa cosa importante perché è riconosciuta dalla società anche quando la faccio io singolo, nel privato: il matrimonio è un rito pubblico, poi io ho un mio privato che è il mio essere lì in quel momento, o come io vivo il matrimonio nelle stanze della mia casa …

Allora … io penso che i riti nascano per forza dal religioso, alla luce di quello che dice Calasso, intendendo come religioso qualcosa che guarda all’oltre, all’oltre me, all’oltre vita. Non ha importanza che l’oltre sia l’aldilà, è proprio un oltre.

Calasso dice che a un certo punto del Novecento si è pensato di superare il rito sacrificale religioso, guardando alla società, ma osserva: “Il realtà Durkheim fa una nuova religione, che è la religione della società … “ e aggiunge: “Forse non vi è alcuna rappresentazione collettiva che in un certo senso non sia delirante”. Lui aveva definito prima la religione come prodotto di un certo delirio, “Quindi anche quella laica e disincantata di coloro che all’inizio del Novecento si proponevano di spiegare l’inspiegabile allucinazione che essi ritenevano essere la religione stessa”. E sapete perché mi è venuta in mente questa cosa? Perché ieri sera, guardando la posta, mi è arrivato l’avviso del congresso degli atei e…

In coro … razionalisti!

Anna e razionalisti a Genova

Paola L’Uaar

Anna dove per altro c’era Margherita Hack, c’era Giorello che a me piace moltissimo, Odifreddi ... e io ho pensato: “Guarda, questi si sono costruiti un’altra religione”

Coro Certo, si..

Anna C’è un mio amico che ne fa parte, mi aveva mandato una mail dicendo “Ti vuoi iscrivere agli atei razionalisti?” ed io ho pensato “No!”… Come faccio ad iscrivermi agli atei, infatti non mi definisco più atea. Dico “Sono agnostica...”

Paola Anch’io faccio così…

Anna C. Se dici “atea” immediatamente, davvero...

Paola … hai un’appartenenza

Anna C. Come dice il buon Calasso, davvero qualsiasi cosa collettiva è delirante e quindi religiosa. Allora, il rito per me è questo: qualcosa di sociale, qualcosa di riconosciuto, qualcosa che rimanda all’oltre; i riti sono comunque fondativi della vita e della morte. Poi ci sono i vari rituali. Qualcuno diceva prima che adesso ci sono dei riti frammentati: Gabriella diceva “La globalizzazione …”. Beh, io penso che effettivamente, in una società frammentata com’è la nostra, per forza si frammentano anche i riti. E a questo punto si perdono, diventano piccoli ... si riducono, vengono sostituiti da dei rituali. Le grandi messe diventano poi le riunioni allo stadio …

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Pina … i papa-boys …

Anna C. però sono dei riti quelli? No… (voci che commentano) La partita ... sì.

Paola Però non riguarda tutta la società. La messa ai tempi d’oro era un rito sociale condiviso ...

Anna C. Io non credo che la messa sia mai stata un rito collettivo, credo che siano stati grandi riti collettivi quelli degli Incas, o non so … Cioè, i cattolici o i cristiani, si sono sempre sentiti parte di un tutto, non sono mai stati il tutto. Io, che sono vissuta in campagna e sono della metà del secolo, ricordo benissimo nel mio paese quelli che non andavano a messa. C’erano, ed erano conosciuti come “i comunisti”, perché erano comunisti.

Paola Ma io pensavo nel ‘500, non pensavo adesso..

Anna C. No, nel 1500 non andavano tutti a messa. Guarda che i contadini non andavano a messa: la messa era una roba da ricchi! Poi, è diventata una roba popolare. C’erano dei forti riti religiosi, ma non credo che fosse la messa. … A me, se devo pensare un rito, non viene in mente la messa. Mi viene in mente che il matrimonio è un rito, il funerale è un rito, non a caso ho partecipato a molte cose civili in questo senso, non religiose. Non so, ma la messa non mi viene da definirla un rito, ma un sacrificio, la messa è un sacrificio

Maura E’ una rappresentazione del sacrificio…

Anna C. Io non ho mai creduto, anche quando ero una cattolica molto molto praticante, vabbè, ero eversiva, il cardinale Siri ci considerava eversivi, ma ero - come si dice?- per il cambiamento…

Gloria …critica…

Anna C. …eravamo camillini, per il dissenso. Lui era proprio convinto che eravamo eversivi… Io, personalmente, non ho mai creduto che l’eucarestia – rimando a Calasso - fosse il sacrificio, da buona protestante io ho sempre pensato che era il simbolo del sacrificio e perciò ero eretica, perché, come dice lui, questa è la differenza profonda all’interno del mondo cristiano. Allora io probabilmente non ho dato quel significato ...

Arianna ... ti togli il mistero…

Anna C. non il mistero… (voci sovrapposte) Comunque, mi sembrava che Paola a un certo punto dicesse “vorremmo avere dei riti nuovi”, mi sembrava un desiderio..

Paola …che non voglio una vita senza riti…

Anna C. Come dice la Pina, il rito è per definizione intrinsecamente connaturato all’essere umano, cioè…

Paola … non corro questo rischio…

Anna C. No, non corri questo rischio. Corri il rischio di vivere in una società frammentata, con riti frammentati, questo mica male, ma non di restare senza riti..

Paola(sorridendo) grazie!

Anna C. ... e d’altra parte, secondo me, è un po’ difficile crearli, i riti.

Pina …lo stiamo facendo, ragazze…

Giovanna ..infatti, l’ho scritto come appunto!

Anna C. Che cosa, di creare un rito?

Paola … che noi lo stiamo creando...

Anna C. No, secondo me no.

(voci sovrapposte commentano)

Gabriella B Facciamo sviluppare a ciascuna il proprio pensiero e la propria riflessione, se no si sbriciola…

Arianna Luisa!

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Luisa Io provo a sbriciolare. Questa cosa che tu hai detto della messa credo abbia a che fare col fatto che molti dei riti cristiani sono riti precedenti, che sono stati trasformati. Erano riti … antichi, sedimentati, e la chiesa cattolica li ha trasformati, li ha fatti diventare riti cattolici. Quindi, anche se non mi è ben chiaro, credo che questa cosa che tu hai detto, che per te la messa non è un rito, abbia questo senso.

Invece io, siccome non è facile parlare di questa cosa, ho pensato che per facilitarmi potevo partire da me. Nella mia infanzia, nella mia giovinezza, ho tentato sempre di contrastare i riti perché li vivevo come ... cioè, a casa mia si diceva: “questo va fatto così, quell’altro va fatto colà…”, insomma, c’erano tutte queste regole. Io le vivevo come costrizioni, e allora tentavo di dire che non era vero e che non facevo parte di quella cosa lì. Il che era un po’ un’assurdità, perché non era vero che non vi appartenessi: io ci stavo, vivevo lì e quindi ... . Così per lungo tempo li ho vissuti come una cosa che non mi interessava e che non mi riguardava. Questo faceva si che io sentissi di essere una cosa diversa. Quindi, per questo dico, una cosa importante del rito è proprio l’appartenenza, la rassicurazione.

L’altra cosa che crescendo ho imparato, è a non avere paura del rito e a considerare invece che il rito ha una forte componente di contenimento, ed io credo che questo sia il motivo per cui ricerchiamo il rito. Dentro il contenimento noi abbiamo la libertà, la libertà di esprimerci, la libertà di fare, perché siamo rassicurati dal contenimento. Per questo il rito ci interessa, ci piace; e anche la possibilità di trasformazione è sempre il contenimento che ce la permette.

Poi l’altra cosa che mi sono scritta è questa cosa degli opposti: la conflittualità inevitabile. Cioè, per noi gli opposti sono indispensabili. Se ci riflettiamo un attimo, una cosa vive perché c’è l’opposto. Noi riconosciamo una cosa perché c’è l’opposto. Se noi vivessimo sempre nella luce …, il buio e la luce sono i due opposti che mi vengono in mente immediatamente, l’uno ci permette di riconoscere l’altro. In questo senso io penso alla conflittualità inevitabile: ossia nel momento in cui la luce scompare e arriva il buio c’è il momento di conflittualità che non è sanabile.

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Laura anche io, come Anna, faccio differenza fra riti e rituali. Quelli che creo io li vedo più come rituali personali, mentre quelli condivisi dalla società di cui mi sento far parte, per me sono riti.

Mi si è aperto un mondo nuovo nel momento in cui io non sono più andata in chiesa, ma mi rendo conto di essere segnata: le cantilene, le canzoncine, le frasi che dice il prete c'è le ho in testa, e non vanno più via e alle volte, scherzando, a lavorare dico: liberaci dal male... Ieri sera riflettevo c'è l'ho proprio attaccato dentro il prete, non si stacca: mi inquieta, però sono contenta che ci sia, mi dà delle sicurezze e va bene così, però in chiesa non ci vado più.

Sentendo Anna Frisone ho pensato che se avrò un figlio lo manderò in chiesa perchè poi alla fine dà delle certezze, e uno si attacca alle sue certezze e rimane tranquillo.

Io a sedici anni ho smesso di andare in chiesa, non perchè non ci credessi ma perchè ero in contrasto con la famiglia. Se il tutto è vero oppure no io non l'ho ancora capito però io a Dio non mi rivolgo, spero che ci sia qualcosa dopo la morte però io non ho mai pregato, io non sono mai stata il bambino che prima di andare a dormire pregava.

Mi sono rivolta ad un'entità irreale che non è dio per chiedere aiuto per malattie. Dio, se c'è, non è nella mia vita.

I rituali che mi sono stati messi in testa dalla famiglia: come ci si deve comportare, quindi magari l'etichetta quando muore qualcuno, nella nascita, nel matrimonio oppure nel rapporto formale di lavoro, se li metto in atto funzionano.

Quindi per quanto io vada contro queste cose cercando sempre la verità, perché è sempre meglio una verità che uccide piuttosto di una bugia che illude, quando rientro negli schemi la società funziona, vivo serena e non ho problemi.

Nel momento in cui mi contrappongo, e non mi importa niente degli altri, quindi “non ti faccio le felicitazioni”, non sono nel rituale, vado contro qualcosa, posso uscirne con un conflitto interiore.

Lo stadio è assolutamente un rito. Adesso faccio questa confessione: io andavo allo stadio e cantavo dall'inizio alla fine con ardore, bisogna cantare assolutamente! Quando ho avuto l'incidente col motorino io sono andata lo stesso allo stadio con il gesso, al tempo avevo un lavoro retribuito ed era mutua secca o permessi studio falsi pur di andare allo stadio, o in trasferta, o alle feste del Genoa.

Per me è stata come una seconda religione. Dopo mi sono distaccata e so che comunque sono 11 coglioni che corrono, non c'è più questa unione nella gradinata … la Nord ha perso tantissimo … Io mi sentivo i brividi quando io ero in gradinata nord e la sud rispondeva ai cori della nord, avevo i brividi sulla pelle. Quando siamo andati in serie C io piangevo in gradinata. Io non sono più così, mi spiace, però non mi dà più queste emozioni. Il senso della domenica era andare allo stadio. Mi dispiace di non provare più questo sentimento, però non c'è più. Io prima progettavo la mia vita in base alle trasferte, quando stavo in mezzo a gente che non cantava ero quasi incattivita perchè non andava bene. La mia seconda religione è il Genoa!

Però a parte questo torniamo ai punti. Quindi mi rendo conto che mi creo dei rituali, per esempio andare in discoteca è stato un rituale, qualcosa di fondamentale nella mia vita, però come lo stadio anche il rito della discoteca ha perso significato, perchè è stata un'epoca della mia vita che non si può ripetere, perchè comunque c'è la consapevolezza di quello che è stato, un rito per ogni età: la discoteca, lo stadio; poi ti mancano, li penso con malinconia, però so che adesso non fanno più parte della mia vita.

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Laura La differenza che c'è adesso è che i riti e rituali ci sono, ma la società è diversa, è più sfaccettata, non c'è solo il cattolicesimo e basta, ci sono persone di altre religioni. Io lo vedo a lavorare, io ho la testa cattolica e mi trovo a rapportarmi con buddisti, mussulmani, cinesi, atei quindi su certe cose non ti capisci. Con un mio amico, oltre al gap della lingua c'è un gap culturale, lui non capisce certe cose: per un mussulmano beata la donna che ha le mestruazioni perchè ha un ricambio di sangue.

Voci in coro è già meglio di altre cose...

Laura C'è la mia collega che ha 25 anni che è convinta che se ho le mestruazioni e tocco una pianta, muore!!

Anna allora devi sapere che è vero. Io, che non ci credevo, passavo il mio tempo a toccare le piante e bruciavano.

Voci Ma figurati!! Altre voci E' vero!!

Anna Allora diciamo che se toccavo 100 piante, non la pianta, ma almeno la foglia si seccava.

Non dire “ma dai”, è vero!

Cori di assenso e dissenso

Aurea E' una questione chimica: ci sono persone mestruate o non mestruate che toccando la foglia o il petalo del fiore li fanno morire. A me è capitato di vederlo con delle orchidee che si sono annerite nel giro di venti minuti. Nell'ambito dei fioristi era una cosa risaputa che spesso le donne con le mestruazioni hanno una acidità, un Ph che è trasmissibile immediatamente alla pianta: difatti era una raccomandazione di non toccare i fiori perchè sono sensibilissimi. Così come le mestruazioni non sono state indagate a fondo, anche questa cosa non è stata indagata a fondo.

Paola Comunque la maionese viene bene lo stesso!!

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Giovanna Primo punto, la ricetta della maionese!!!

Secondo punto, ho scritto delle suggestioni: ieri sono andata ad un incontro con un soldato ceceno il quale diceva che ha partecipato sia alla prima che alla seconda guerra cecena. Alla prima c'è andato richiamato, alla seconda c'è andato volontario, e lui diceva che la guerra è la cosa più atroce e più bella che gli sia accaduta nella vita. Io sono rimasta stupita, vedere gli occhi di quest'uomo che trasmetteva in pubblico questo concetto. Lui poi diceva: dalla guerra non torni, torna soltanto il corpo, e tu non sei più lo stesso.

Uno poteva legittimamente porsi la domanda: ci sei andato quando sei stato richiamato, perchè tornarci volontario? Lui non era in grado di giustificare il perchè ci fosse andato una seconda volta volontario, parlava di questa cosa come se fosse un virus. E' una malattia che ti prende ed è come una droga, come prendere cocaina.

Quindi poi sentendovi parlare stamattina mi è venuto in mente che il rito è una cosa che viene detenuta dal potere. Sono stata ad una prima comunione ebraica ed ho assistito a questo rituale che è estremamente lungo, più lungo di quanto possa essere il rito cattolico. Il bambino deve leggere le sacre scritture, deve leggere in ebraico, deve stare attento a quello che dice, c'è l'apertura della Thorà, con tutti i rabbini intorno. E’ una roba molto, molto pesante, ed ho avuto proprio la sensazione di essere davanti al potere, il potere sulla persona, che non ci fosse niente di divino in questa cosa ma che fosse proprio una cerimonia necessaria, indispensabile per affermare il potere.

Rispetto a quello che diceva la Anna sull'eucarestia, anch'io ero convinta che fosse simbolica, e che il corpo di Cristo lì non ci passasse nemmeno per un momento e poi ho avuto un pensiero successivo: se gli altri pensano che ci sia il corpo di Cristo io questo corpo di Cristo così come me lo propongono non lo voglio, la comunione non la voglio più fare perchè è un rito totalmente assurdo, senza senso, atroce. Il corpo, il sangue sono tutti simboli di potere, è tutta una roba che ha a che fare con il potere.

Poi ho pensato che abbiamo sostituito con altri riti, per esempio la televisione è un rituale pazzesco, è entrata nelle nostre case e siamo belli e fottuti! Pensate all'audience, all'audience di San Remo, se non è un rituale quello lì! All'audience di Fazio …

Poi il matrimonio, questa cosa mi interessa molto. Di cosa parliamo per il matrimonio? Del rito che inizia alle ore 11 e finisce alle 23, oppure dei 55 anni dei miei genitori? Da dove iniziamo, da quando lui ti chiede in sposa? Come funziona? Ci sono le fasi precedenti. C'è la nascita della coppia, Pina direbbe: “Perchè la coppia che è felice così com'è decise di aderire al rituale del matimonio?”

E poi l'altro rituale che mi veniva in mente è quello della moda.

Anna Pina aveva detto a suo tempo, utilizziamo il matrimonio che è una cosa significativa, fondante in ogni società perchè fonda la famiglia, e partiamo dal significato che ha il matrimonio, il proprio. Io ho capito così.

Pina Tra noi c’è chi si è sposato e chi non si è sposato: perchè, e che differenza questo fa, partendo dall'esperienza.

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Gloria Io sento che c'è una perdita di rituali oggi, come dice Calasso. Se io penso ai rituali della mia infanzia li sento molto coinvolgenti e carichi di significato, anche se poi io mi me ne sono allontanata. Avevano un alto livello di gratificazione. Che fossero religiosi o anche non strettamente religiosi avevano probabilmente una radice molto forte, coinvolgevano una comunità, che fosse piccola o un po' più grande. Io ho abitato in un quartiere un po' periferico a La Spezia, era una comunità un po' piccola, però mi sembrava che i rituali che seguivamo fossero analoghi a tutti gli altri quartieri della città, e davano questa grande soddisfazione di essere molto simili: la processione, la festa del patrono della città, o anche andare a visitare un santuario particolare dove era avvenuto un miracolo. La causa era religiosa, però poi i rituali non erano solo religiosi: c'era il preparare determinati cibi, partire tutti alla stessa ora, e quindi me li ricordo come estremamente identificativi, tu ti sentivi parte di questa comunità, ed erano soddisfacenti.

Anche per me il distacco dalla religione è avvenuto verso i 15 – 16 anni, con la ribellione ai rituali famigliari, ai rituali religiosi eccetera.

Però oggi sento questo lutto dei rituali, anche se capisco la riflessione che fa Calasso che i rituali continuano ad esserci, ma sento che c'è qualcosa di diverso rispetto a quelli di prima, anche se non saprei identificare esattamente che cosa. Non sono così gratificanti forse perchè non riesci ad identificarti in loro, non hai elementi di identificazione?

Ultimamente ho vissuto due rituali estremamente gratificanti, due momenti.

Uno è stato il corteo del 13 febbraio col gruppo di donne che mi è sembrato un forte elemento di identità e di coesione.

Il secondo è stato un funerale religioso a cui ho assistito un mese fa dove mi sono trovata a contatto con una comunità di persone estremamente coesa. Era morto un giovane figlio di un mio collega di Pavia, una cosa drammatica e sconvolgente. Questo funerale religioso, sia perchè tutta la famiglia e questo giovane erano molto coinvolti nella vita religiosa del quartiere ed erano anche molto conosciuti, sia perchè questi preti avevano conservato la capacità di usare la religione per colloquiare con le anime e i sentimenti delle persone, è stata una cerimonia molto, molto coinvolgente, durante la quale è tornato in vita questo ragazzo. Questo ragazzo è stato rappresentato in tutti i modi possibili ed immaginabili ristrutturandone l'immagine nell'assenza. Io ho riprovato le stesse emozioni che mi ricordavo di aver avuto da bambina in situazioni particolari, la morte di persone particolari, quando la comunità si riuniva.

Quello che mi sento di dire di oggi è che anch'io sento un vuoto di rituali, un lutto di rituali pubblici che non identificherei come rituali del potere, ma rituali che sono gestiti da persone autorevoli e che riescono a rappresentare qualcosa della comunità, che aiutano la comunità sia nei confronti della vita che nei confronti della morte.

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Luciana Fino a qualche mese fa non avevo mai pensato che la mia vita fosse inserita dentro dei rituali. Vivevo e basta. Il rendermi conto che ripetevo quotidianamente dei rituali mi ha sorpreso e mi sono domandata il perché della loro necessità. Mi sono risposta che i rituali sono una necessità, come il religioso, il sacro, la fede, che va a rispondere ad una paura arcaica dell’essere umano, alla paura della morte. Tutto ciò serve a capire che siamo dentro qualcosa di molto più grande di noi, un universo sempre più in espansione, non solo in senso fisico; la scienza e la tecnica si sono appropriate della nostra umanità. Ho preso atto che faccio parte di una società dove ci sono dei rituali che servono a darci delle certezze, che ci fanno sentire di appartenere ad una comunità, che ci fanno riconoscere dagli altri, a cui noi chiediamo di essere riconosciute. Però, nel mio piccolo, pur non essendo consapevole che la mia vita fosse così impregnata di rituali, agivo alcune mie scelte in opposizione a quello che mi si diceva si dovesse fare o a cui appartenere. Ero critica verso i rituali, pur non riconoscendoli come tali, a partire dalla religione. Ho cominciato a non credere a questo ‘oltre’, a questo simbolo di un Cristo che si è fatto uomo, che si è sacrificato, ai miracoli ecc. quando avevo tredici o quattordici anni, a fronte di una grande delusione, di una mancanza di risposta da parte di questo ‘oltre’ più grande di me, di questo dio che mi era stato presentato come colui che può risolvere i tuoi problemi e rispondere alle tue richieste.

Ho perso il senso metafisico della vita e quindi, pur vivendo in una società ritualizzata al massimo, ho rifiutato tutto questo, più o meno consapevolmente. Mi ricordo, per esempio, il mio matrimonio. Solo pochi mesi fa mi sono resa conto di essere dentro dei rituali, figurarsi allora, ventidue anni fa, non sapevo quasi di essere al mondo! Mi sono sposata perché volevo fuggire da una realtà, non sapevo dove andavo a finire! Ricordo che non mi volevo sposare in chiesa perché ormai avevo scelto di non essere una credente, ma la famiglia da cui provenivo, che non era cattolica praticante, aveva bisogno che io facessi il rituale del matrimonio perché loro avevano bisogno di sentirsi integrati nella società, perché la loro vita era ai margini e io potevo rispondere al loro bisogno di integrazione. Tutto ciò era separato dal problema religioso. I miei suoceri erano cattolici praticanti, e mia suocera si era subito attivata per convincermi a sposarmi in chiesa con l’abito bianco. Lei aveva bisogno di mettersi a posto la coscienza con la propria fede, aveva bisogno che il figlio adempisse al rito religioso, anche se il figlio, come me, non era credente e non voleva sposarsi in chiesa. Alla fine abbiamo ceduto, perché volevamo toglierci il problema, perché non ce ne importava niente. Dal momento che non ci credevamo, anche l’ostinazione di fare una guerra non ci sembrava necessaria. Però ci è toccato il rapporto con il prete, ci hanno obbligato a frequentare il corso di preparazione al matrimonio, a fare la confessione. Mio marito ha cercato di opporsi, io no, me ne sono fregata, ho finto di stare al gioco, a questo rituale. Per me il matrimonio era liberarmi dall’oppressione familiare, era andare a vivere con una persona che mi voleva bene, che io credevo di amare e quindi il matrimonio per me, all’inizio, è stata una liberazione. Se tu fai una vita dura, prigioniera, affrontare qualcosa di nuovo, di diverso, ti appare come una liberazione. Invece, poi, la libertà vera è tutto un percorso.

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Gabriella Indubbiamente sia il rito che il rituale cambiano. Attraverso questo ripetersi di gesti, di parole, cambia veramente il modo di essere di ciascuna di noi. Il rito della guerra che si organizza attraverso gli eserciti, cambia il soldato che diventa uno che odia o ama quel modo di vivere, che dà probabilmente sfogo a dei bisogni. Evidentemente il fatto di uccidere, essendo legittimato a farlo, gli lascia un segno tale che chissà che scarica di adrenalina gli percorre il corpo. E’ proprio la liberazione dalla paura, il fatto che tu puoi compiere il delitto perché è una cosa legittimata, importante e addirittura premiata.

La differenza tra rito e rituale, che si è detta poco fa, ha un significato per me. Il rito è pubblico, qualcosa che mi accomuna a una società. Il rituale lo vedo come modo di comportarsi, come etichetta della buona educazione, che mi fa diventare capace a fare delle cose: confezionare i cibi, radunare delle persone, fare del tuo meglio per essere accogliente, per essere parte di una comunità.

Il matrimonio stesso che è sicuramente un rito pubblico, civile, che è nato da delle necessità patrimoniali, ha anche un significato rituale molto importante.

Per me, che sono stata la prima a sposarmi, nella mia famiglia, la prima di quattro figli, dopo la guerra, dopo tanti eventi che ci avevano cambiato e allontanato, il matrimonio di cui io non ero tanto la protagonista, quanto il tramite, ha consentito a mio padre di chiamare suo fratello dalla Francia, ha permesso di riunire tutta la famiglia intorno a questo evento.

La funzione fatta in chiesa con la partecipazione delle suore del collegio dove io avevo frequentato le scuole superiori, aveva il significato di farmi sentire parte di un mondo da cui io, sposandomi, mi distaccavo completamente. Il gesto che mi separava definitivamente dall’adolescenza era importante che avvenisse in presenza delle testimoni di quel tempo. Il matrimonio è stato il segno della separazione e del distacco, che mi ha permesso di salutare tutti, e tutti mi hanno fatto doni e a tutti ho offerto i miei confetti.

Per me è stata una cosa molto bella, però c’è stato anche un segno di dolore, mia madre non era mai stata sorridente, ma sempre con l’aria sofferente. Solo dopo molto tempo ho capito che la ragione della sua sofferenza era che io, ben più giovane, mi sposavo prima di mia sorella. Io avevo marcato una differenza di comportamento e di scelta di vita. Questo mio rito segnava una differenza che non aveva dato gioia a tutti. In tutti i riti succede questo.

Perché noi scegliamo certi riti e non altri? Scegliamo quelli che ci accomunano e ci fanno stare bene. Altri riti li abbiamo rifiutati perché abbiamo avuto bisogno di affermare che la nostra identità è altra rispetto a quella che il rito vorrebbe farci assumere. Perciò tutto questo discorso dei riti ha un percorso che, secondo me, non finisce mai, ci accompagna per tutte le fasi della vita, e ha un significato a volte terribile, a volte consolatorio. Vorrei aggiungere che oggi ho sentito la differenza tra chi di noi ha letto il capitolo dal libro di Calasso e chi non l’ha letto. Io l’ho cominciato ma era troppo difficile per me, chi l’ha letto ha avuto la capacità di affrontare il tema di oggi in modo molto interessante, ma non è riuscito a schiodarmi dal mio bisogno di esprimere come io vivo il rito, devo starci dentro a partire dalla mia emotività, più che dalla mia conoscenza.

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Eleana Ho portato un testo che ho trovato quest’anno mentre facevo ripetizioni. E’ un testo di Tacito, tratto da la ‘Germania’ (testo datato intorno al 98 d.C.). Ve lo leggo nella traduzione italiana…

Pina E’ bello che io sia partita dal latino e che tu adesso porti un testo latino, questa è una simpatica coincidenza.

Eleana Il testo inizia con una descrizione dell’abito femminile per il matrimonio, è la descrizione delle abitudini del mondo dei Germani. “L’abbigliamento femminile non si differenzia molto da quello maschile, se non per il fatto che le donne spesso si coprono con vesti di lino e le tingono di porpora, inoltre non lasciano nude solo le braccia ma anche la zona più vicina al petto. Ciò nonostante nei rapporti matrimoniali vige un’austerità che costituisce l’aspetto più encomiabile dei loro costumi. Infatti, quasi unici tra le stirpi barbare, i Germani si accontentano di una sola moglie, tranne pochi che, non per eccesso di sensualità, ma per questioni di nobiltà, ricevono varie proposte di matrimonio. Non è la moglie che porta la dote al marito, bensì il marito ad offrirla alla moglie. Di tale gesto sono testimoni i genitori e i parenti che valutano e apprezzano i doni. Questi non sono certo destinati a soddisfare capricci femminili, né sono oggetti di cui la sposa possa adornarsi. Si tratta piuttosto di buoi, di un cavallo bardato, di uno scudo e di una spada. In cambio di questi doni si acquista la moglie che, a sua volta, dona al marito delle armi. Nello scambio delle armi i Germani vedono simboleggiati il sacro vincolo, i sacri misteri e la divinità delle nozze. La moglie non deve considerarsi estranea alle aspirazioni eroiche del marito e alle sorti della guerra. In questa prospettiva, fin da quando inizia la cerimonia del matrimonio, la donna è sollecitata ad essere compagna del marito nelle fatiche e nei pericoli, a sopportare e ad usare bontà e coraggio, sia in pace che in guerra. Questo significano i buoi aggiogati, il cavallo bardato, le armi date e ricevute, così la donna deve vivere, così deve morire. La si esorta a trasmettere pure e inviolate ai figli le cose che riceve, in modo che le abbiano poi le nuore, le quali a  loro volta le trasmetteranno ai nipoti”.

La condivisione di quello che ho visto io in questo brano - ciascuna può fare l’interpretazione che crede - è che questo è un rituale di matrimonio che non differisce tanto da quello odierno. Si descrive un rito in cui i detentori del potere, gli uomini, si passano dei simboli, dei segnali, le armi, i buoi, la fatica della guerra ecc., e in cui non c’è nulla in cui si riconosca l’identità della donna. Infatti Tacito dice “l’uomo non aderisce alle donne”. Sono tutti simboli di una iconografia, di un lessico maschile, sono tutti oggetti maschili, la donna è quella che tramanda, che deve trasmettere ai nipoti, alle figlie. Questa è la descrizione di un rito.

Voci Le donne devono essere coraggiose, come in tutte le guerre; hanno una parte attiva, ma solo sul carro condotto dal potere.

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Aurea Ho avuto conoscenza dei riti religiosi che avevo dieci anni; sono di una famiglia non religiosa, però sono stata battezzata dalla nonna spagnola perché mia mamma era andata là per farmi nascere, e quando ha detto che non aveva nessuna intenzione di battezzarmi, al grido di “Ah la bolscevika!” mia nonna mi ha battezzato alla forza. Quando avevo dieci anni mia nonna ha avuto la necessità sua spirituale di farmi fare la comunione.Così io dovevo prepararmi, perché non sapevo cosa era una messa, non sapevo niente. E quindi mia mamma ha dovuto andare dal prete del paese, spiegando la situazione. E lui disse di non preoccuparsi, mi avrebbe fatto fare il catechismo, mi avrebbe dato il certificato che serviva e tutto quanto. Quindi ho conosciuto i riti cattolici così, e ho detto: “Vabbè, mica mi fanno del male, facciamo questa recita”. Ed io ho recitato la comunione. E così mi è successo tutte le volte che ho dovuto.

Invece i riti, quelli di casa, i riti familiari, il 25 aprile che per la mia famiglia è sempre stato un rito, mi piacevano da morire, perché mi sono sentita di appartenere. Io ho sentito la necessità di frequentare quei riti, la manifestazione, lo sciopero, perché ne avevo bisogno.

Adesso abbiamo deciso di parlar di riti e allora mi sono domandata il rito per me che cos’è. Io credo che sia una necessità che si è dato l’individuo perché ne aveva bisogno spiritualmente, però anche per stare in mezzo agli altri. Le ritualità sono dei linguaggi secondo me, per condividere in quel momento questa cosa con tante altre persone, e cambiano a seconda del momento i riti, proprio perché la gente usa un linguaggio diverso.

Il rito religioso di oggi è cambiato perché la gente che va a una funzione religiosa credo che sia fondamentalmente diversa da quella che ci andava cento anni fa, ha un bagaglio di conoscenze talmente più vasto, più variegato, anche per il fatto di conoscere meglio le altre religioni.

Per quanto riguarda Calasso una cosa che mi ha trovata in sintonia, è quando lui parla della energia. Io non so se sono atea o che cosa sono, però oggi ho la certezza di essere una parte di un insieme di energia. Questo poi, facendo Tai Chi e Chi Fu sicuramente diventa automatico, però ce l’avevo anche prima questa sensazione. Questo fatto di sentirmi dentro un insieme, che è questa cosa che esiste dapertutto, mi fa stare bene. Da quel punto di vista sono molto appagata … non è che non ho paura, naturalmente, però il ragionarci sopra è stato … mi emoziono a parlarne … qualcosa che mi ha dato moltissimo. E Calasso dà una spiegazione proprio del perché chi ha fatto questo ragionamento si sente bene. Il rito che ti da soddisfazione, quello che poi tu ti senti di perpetuare.

Invece io il rituale del matrimonio non lo volevo, e ho pensato che nella società nella quale stavamo vivendo forse l’unico motivo per il quale mi sarei potuta sottoporre al rito del matrimonio era una protezione legale per il figlio. Del mio matrimonio non ci sono fotografie, non c’è niente, perché era una formalità per me, non saprei dirvi come l’ho vissuta, perché è stata talmente rapida che è stata come se non l’avessi vissuta.

Pina … Magari ne riparleremo

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Paola Allora, due o tre cose.

Funerale: tu hai parlato di un funerale religioso in cui hai sentito questa condivisione ed emozione, in cui hai detto che è stata ricostruita la persona che era morta. Viceversa due settimane sono andata al funerale religioso di un signore che è morto a novanta anni, che è stato un ingegnere navale, che ha fatto una marea di cose, una persona che è stata significativa sotto diversi aspetti, e lì si è capito solo che si chiamava Luigi …

Risate … voci: è successo che abbiano anche sbagliato il nome … sovrapposizioni di voci

Paola … quindi ormai anche il rito religioso del funerale, pur se stratificato nei secoli eccetera eccetera, funziona solo nella particolarissima condizione che effettivamente ci sia una comunità che sta condividendo, in cui ci sia una relazione che crea questa possibilità.

Sui significati dei rituali: tutte diciamo: eh sì, l’emozione con cui li ho vissuti … noi abbiamo vissuto alcuni rituali, religiosi o no, quando eravamo bambine, quindi sono legati alle emozioni dell’infanzia. Quindi noi mischiamo un po’ questi terreni, da bambini era emozionante qualunque tipo di cosa, e il rituale entrava in questo … La domanda è: a un bamino di adesso cosa viene offerto come rituale? Cosa gli si dà?

Gabriella Li portano di continuo dalla scuola alla psicina, alla palestra, a …

… sovrapposizioni di voci

Paola … anche questa perdita del vuoto: Io mi ricordo questi pomeriggi che ho vissuto, non c’era la televisione, non c’era nulla, la meraviglia di questi pomeriggi assolutamente vuoti, in cui stavo per i fatti miei, a trafficare. Quindi quali sono i rituali che si offrono ai bambini, e gli spazi che si offrono.

Perché adesso il rituale è andare a fare la coda sull’autostrada alla domenica. E' un rituale di non poco momento, ci partecipano milioni di persone tutte le settimane …

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Paola Poi la questione della guerra. Cioè, la guerra e la bellezza della guerra: basta leggersi l’Iliade! E’ una apoteosi della bellezza della guerra l’Iliade. L’ho letta molte volte, e ogni tanto la rileggo. E se non è uno splendore, voglio dire … E’ uno splendore vero, non è uno splendore per finta, è proprio l’esaltazione delle armi, della guerra, e di ogni singolo …

Gloria  si, di ogni singolo

Paola L’Iliade è piena di particolari assolutamente espliciti ed agghiaccianti, ti spiega ogni dettaglio di come si rompano le ossa, di come esca il cervello dalla testa, non è che vada sull’aulico. La passione è questa, è chiaro, l’hai detto tu: il fatto che tu possa uccidere una persona, ti da un potere in quel momento! Eserciti il massimo dei poteri dell’universo, la gratificazione e la bellezza di questa cosa qua, figurati te! E posso immaginare poi che uno che ha provato l’ebbrezza della uccisione e della guerra lo desideri e continui a desiderarla.

Certo, puoi reagire in due modi: con l’orrore del massacro, o viceversa con l’ebbrezza sconfinata.

Del resto funziona tanto bene che sta funzionando da molto tempo e continua a funzionare.

Ieri sono andata a sentire David Riondino, e lui ha fatto questa cosa molto bella: ha preso un testo francese del 1600, una serie di illustrazioni con didascalie che lui ha recitato in un modo molto ritmico, molto suggestivo. Queste descrivevano come in una certa guerra i soldati si fossero lasciati andare ad ogni tipo di massacro, di spoliazione dei villaggi, rubare, torturare, violentare le donne … Tutto questo era detto come se ci fosse una condanna nei confronti di questi che avevano disonorato la loro figura di soldato, e che alla fine vengono giustiziati e impiccati. In realtà – Riondino l’ha detto, ma era molto evidente – c’era una doppia faccia: c’era una condanna, ma contemporaneamente c’era una descrizione di questi fatti che era …

 Anna … una celebrazione.

Paola … c’era una grossa seduzione nella descrizione di quello che avveniva, del fatto che tu hai mano libera, che tu vai in un posto e puoi distruggere tutto, dare fuoco. Come dire: tu segni di te quella cosa.

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Paola Sui rituali del potere: ci sono i rituali dove il potere si veste anche di una pubblica dignità. Tutte le cerimonie della Corte, la gioia del popolo perché i nobili si fanno vedere in questa loro magnificenza. Oppure la Chiesa. A me è capitato recentemente a S. Giovanni di vedere una messa in latino con un sacco di sacerdoti che co-officiavano, molto suggestiva, e una volta a Siviglia, una cosa da brivido , con questo organo, una cerimonia che non avevo mai visto, inaudita. Quindi questa grande ritualità del potere, che può essere del potere secolare o del potere religioso, che si manifesta.

Invece nel nostro disgraziato paese non abbiamo più nessun rituale del potere perché il potere non ha più nessuna dignità di cui vestirsi. Dietro quella ritualità c’erano le peggio cose, però noi qui siamo passati in una situazione in cui la ritualità del potere è scaduta a un livello … non ho parole.

Voce … La televisione! E’ lì che ora …

Arianna Sul rito della guerra. Gesù Cristo ha detto “io porto la spada” perché nel momento stesso in cui il rito è la base di una comunità, per definire questa comunità bisogna prendere le armi, cioè bisogna difenderla, costruirla ... sovrapposizioni di voci, obiezioni ... io porto la spada perché divido le madri dai figli ...

Voci: è diverso …

Paola … il senso è "io porto un segno di contraddizione" …

Arianna creo una comunità: c’è chi ci crede, chi non ci crede, e andranno a dividersi. Questa è la base: che poi sia una guerra reale, una guerra rituale, però è importante che ci sia, altrimenti non c’è la comunità. Il rito … facendo una serie di gesti io definisco la mia appartenenza a questo gruppo e il fatto che io appartenga a questo gruppo e non ad un altro crea la mia definizione. Quindi serve anche la gente che non ci sta dentro, è importante che ci sia anche chi dice no, per definire una comunità.

Poi un’altra cosa della televisione mi fa impazzire: la prosemica della stanza del salotto, è bellissima! Ci sono tutti questi divani con la televisione …

Alisia … L’altare!

Arianna è proprio vero! L’altare. E’ vero che il rituale del potere è stato fatto attraverso la televisione, ed è anche il motivo per cui siamo così arretrati dal punto di vista del wireless

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Arianna Invece volevo parlare della strana situazione in cui io e mio marito ci siamo trovati quando ci siamo voluti sposare. Era il momento dei Pacs e abbiamo detto: Vai! Figata! Noi facciamo il Pacs! Abbiamo fatto tutto un discorso … è importante che la nostra unione venga certificata dallo stato, perché noi facciamo parte dello stato, ci sono delle implicazioni anche di ordine pratico per cui se io vado in coma … e quindi assolutamente facciamo il Pacs

Paola: anche il matrimonio civile, va bene uguale …

Arianna: no, il Pacs era fighissimo perché durava due anni e poi c’era il rinnovo, quindi non è per tutta la vita

Gloria: … Rosy Bindi brava!

Arianna: E quindi, figata! Poi il pacs è naufragato insieme al governo e abbiamo detto, ormai eravamo partiti in quarta, e vabbè, facciamo il matrimonio civile … e siamo andati prima da suo padre e dalla sua compagna e abbiamo detto: ci sposiamo! E ci han detto: perché?? “Eh, perché ci vogliamo sposare …” e loro “no, assolutamente … perché volete sposarvi?”. Poi andiamo da mio padre e da mia madre e abbiamo detto: “Mà, pà ci sposiamo!” E mio padre: perché? Ed io: “ma come perché papà?” “Ma io pensavo che tu non ti saresti mai sposata”. Ma con una faccia come dire mi hai deluso!

A questo punto mancava solo la compagna di mio padre che quando le abbiamo detto che ci sposavamo si è incazzata come una iena e da quel giorno praticamente non mi ha più rivolto la parola

I nostri genitori si sono sposati tutti quanti due volte e perché noi non ci possiamo sposare manco una volta? Vabbé, ci siamo rimasti malissimo…

Poi abbiamo avuto tutto il problema della cerimonia che è stata una cosa ancora più angosciante…

Gloria Ma nessuno voleva che vi sposaste!

Sovrapposizione di voci: è pazzesco!

Risate

Arianna Io credo che il matrimonio sia una cosa importante, perché c’è una forza nel matrimonio. Quando prima Luciana parlava del matrimonio, per cui ha lasciato una famiglia ed è entrata in un’altra, cioè si è liberata attraverso il matrimonio: è un rito di passaggio fondamentale ed io volevo che questo rito di passaggio fosse bello chiaro: che io non facevo più parte della mia famiglia ma entravo e formavo la mia famiglia. Con un Pacs era ancora meglio perché sarebbe stata una cosa, diciamo, più dinamica, e questa cosa qui non la voleva nessuno… E secondo me non la voleva nessuno perché volevano rimanere giovani. Non volevano che io crescessi e quindi attivassi la mia famiglia; questa è una mia interpretazione, non lo so

(silenzio prolungato di tutte)

Anche la preparazione della cerimonia è stato un casino, perché a questo punto non c’è più un ordine ... Allora, mia mamma ha fatto le controbomboniere

Voci: Le controbomboniere?!

Risate

Arianna: Noi abbiamo fatto le nostre bomboniere e lei ha fatto le sue. Alla fine c’erano quattro idee di cerimonie diverse…

Gloria: E voi non vi siete costruiti la vostra?

Arianna: Un paio di cose ce le hanno cassate perché mio marito voleva vestirsi da sposa … e voleva leggere Carmelo Bene sul matrimonio.

Luisa: Anche voi però, insomma, ci avete messo del vostro!

Risate

Arianna A questo punto c’è rimasto male mio padre perché voleva assolutamente che leggessimo il pezzo di Carmelo Bene sul matrimonio, perché sarebbe stata la sua rivalsa, ci saremmo sposati, però almeno leggevamo Carmelo Bene … Insomma è un casino questa libertà totale.

Gloria: Volevano agire attraverso di voi il loro rifiuto nei confronti del matrimonio

Laura il mio rito di passaggio non è affatto il matrimonio, perché non mi sposo e spero di non sposarmi, ma è il cambio di residenza … per me questo è il punto di passaggio. Che poi io stia più o meno convivendo con il mio attuale ragazzo per me non è importante, l’importante è andare a vivere da sola.

Arianna: sul matrimonio il problema secondo me non è come lo vivi tu, è come lo vivono gli altri.

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Luciana Sentite queste ultime cose mi veniva in mente che c’è, stranamente, una contraddizione tra il fatto che oggi viviamo in una società dove è esaltato l’individuo e l’individualismo, con i rituali che servono per farci sentire una comunità, un’appartenenza.

Allora da lì vedere quanti riti, o rituali abbiamo, quanto sono cambiati, quanto sono realmente necessari, quanti ne stiamo buttando via.

Però mi domandavo: a cosa rinunciamo accettando il rito e il rituale, che cosa sacrifichiamo, cosa perdiamo, cosa diamo. Prima Paola diceva: io non potrei vivere senza rituali …

Paola … alcune dimensioni di ritualità… ad esempio: andare alle feste di Ikaria …

Luciana: Io non so quanto, ma mi verrebbe da dire: vorrei provare a vivere senza riti e rituali. Perché se il conflitto, quel conflitto che ricordava Pina, è necessario, i rituali dominano? Controllano i conflitti? Mi domando, il rituale risponde ad un arcaico che abbiamo ancora molto presente, profondo dentro di noi? Siamo ancora in un’evoluzione culturale per cui oggi dobbiamo rinunciare a qualcosa per accettare il rito e il rituale? Cosa ci può essere alternativo, al posto della mancanza del rito o del rituale? Appunto, potrei vivere senza rituale senza riti?

Il rito indubbiamente contiene, normalizza il conflitto, ma mi sembra tutto questo sia un’alternativa a una libertà non conosciuta, non definita, forse da scoprire. Perché se il rito ci rende socialmente riconosciuti, accettati nella società umana, senza riti / ritualità saremmo liberi? Si può stare fuori dai riti? Crescendo culturalmente e antropologicamente si può fare a meno dei riti?

Il rituale del matrimonio mi ha fatto venire anche in mente che ci sono dei rituali tra gli uomini e le donne nella relazione. Il matrimonio stabilisce dei rituali di convivenza nella coppia dell’uomo e della donna, anzi tra il maschile e il femminile, e questi si ripetono anche appunto nella coppia omosessuale, ricordo un film che ho visto “I ragazzi stanno bene” che erano due lesbiche e si ripetevano gli stessi rituali e dinamiche delle coppie.

La domanda finale è: non possiamo essere diversi da ciò che siamo socialmente, senza i rituali?

Pina Solo più consapevoli

Luciana Vabbé è già molto, dall’inconsapevolezza di esserci dentro…

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Anna Sentite, sono andata, perché avevo questo scrupolo, a vedere sul vocabolario rito e rituali. Allora il rito rinvia, come prima definizione, al divino; il rituale è quello che diceva Aurea: il linguaggio del rito, cioè i gesti dei riti. Allora io ho detto: ma perché io prima facevo riferimento al rito e al rituale? L’ho fatto inconsapevolmente, ma non a caso, perché in realtà ci resta il rituale senza il rito. Cioè oggi noi abbiamo molti rituali che non hanno più riferimento al rito, questo nella società …

Paola … anche nella religione

Anna … sia in senso sociale, sia in senso individuale. Ricordo, non ci ho pensato bene, quello che aveva detto Eleana la scorsa volta, aveva parlato di ribaltamento dei riti, noi avevamo detto che il ribaltamento è una negazione che li confrema.

Se mi sposo con il marito vestito da sposa non sto ribaltando un rito, lo sto semplicemente mettendo in ridicolo.

Luciana adesso faceva questo discorso su “A cosa rinunciamo accettando i riti” e “A cosa rinunciamo rifiutando i riti”, e mi sembra che ad un certo punto si dicesse “Sai, i riti non è che li puoi rifiutare, cioè li puoi rifiutare, ma i riti esistono, poi tu li accetti o non li accetti, decidi che conti ci fai, ma non li puoi negare”.

A un certo punto però Paola all’inizio aveva detto: “Eh, però, potremmo …”. Io ho letto nel discorso di Paola un desiderio a cambiare dei riti, a creare dei nuovi riti, e io avevo pensato “Ma questo non è che possiamo farlo, a parte che ci vogliono tanti anni …”. Però poi ho pensato, ascoltandovi, che in realtà, cambiando i comportamenti, noi abbiamo il cambiamento dei riti, o la nascita di nuovi riti, quindi questa è una buona cosa mi vien da dire…

Resta il punto, e qui c'è la questione della televisione, che il rito comunque rimanda a un oltre, divino o no; cioè, l’oltre non è comunque umano. Perché usiamo il termine divino? Perché vuol dire che non è umano … Allora la televisione, la televisione come altare, rimanda a un oltre? Probabilmente sì; certo che quando tutti ascoltiamo il discorso del presidente Napolitano a Capodanno è qualcosa che effettivamente mi sento di chiamare rito perché rimanda ad una sacralità, a un divino che è la Repubblica, e allora mi è venuto in mente qual è il problema che secondo me ha l’Italia …

(risate)

Anna ... Semplificando: c’era la monarchia, e c’è stato un Risorgimento che per anni e anni è stato contrastato dai briganti, tra virgolette, da tutto il Sud, da tutto l’Est, da tutto l’Ovest; poi c’è stata una prima guerra mondiale che ha cominciato a unificare … è lì che si è fatta l’Italia da un certo punto di vista, perché i dialetti si sono parlati, hanno dovuto imparare a scrivere, quindi su un sacrificio di milioni di persone, si è fatta l’Italia. Poi c’è stato un fascismo… mica male eh, sempre con una monarchia un po’ particolare, poi ci sono stati, come dice Bocca, venti mesi di resistenza che per lui sono stati fondanti del popolo italiano, ancorché non se parli, compreso nelle celebrazioni dei centocinquant’anni: della Resistenza non se ne è parlato

Paola: Non se ne è parlato proprio

Anna: no assolutamente. Allora qual è il punto? Il punto è che noi come italiane e italiani non abbiamo riti del potere perché siamo passate in mezzo a tutta questa roba, e Berlusconi ha capito bene il vuoto dei riti e ha detto: beh che cavolo! Ho la televisione, ne posseggo addirittura tre! E quindi è diventato, vabbé ...

Giovanna: E il corpo delle donne nella televisione… che se mai non è un rito quello lì …

                                                                                                                    torna all'inizio

 

Anna: Dico ancora solo due cose, veloci, una sul conflitto e la guerra, e una sui riti, se siamo liberi o non liberi senza riti.

Allora sul conflitto e la guerra: io sentito da Fazio Gino Strada che parlava della guerra e ha detto: perché non possiamo pensare che non esisterà più la guerra? In fondo anche la schiavitù nell’Ottocento non pensavano che sarebbe smessa … ed è vero. Allora noi possiamo lavorare, possiamo – ecco qui l’oltre - credere all’utopia che si possa vivere senza guerra. Ma certo! Possiamo vivere senza guerra vivendo appieno il conflitto, perché il conflitto produce vita, la guerra produce morte, quindi questa è una cosa che possibile…

Così come: senza riti siamo liberi? Più liberi? Ecco, allora se il rito è il richiamo, il rimando all’oltre, al divino inteso come l’energia che continua nel mondo, io dico, per me personalmente, adesso che ci ripenso dall’inizio di questa mattina, allora mi vanno bene i riti che abbiano questo significato di libertà … Che strano eh?

Pina Tre minuti per un argomento: il linguaggio. Partendo da là il nostro gruppo lavora benissimo, ma c’è da restarne stroncati perché nel momento in cui pensiamo al rito, oppure al matrimonio dobbiamo tenere conto che il linguaggio determina se ne stiamo parlando in termini emotivi, psicologici, antropologici, storici, etnografici, politici, eccetera. Quando dico conflittualità permanente, oppure quelle altre frasi che uso, voglio esprimere il fatto che ci sono degli aspetti bianchi o neri, morte e vita, che fanno parte del nostro modo di vivere, di parlare, di pensare, anche arcaici, che sono tutti aspetti dello stesso problema. Allora, culturalmente, in generale nel linguaggio razionale esiste il principio di non contraddizione: A non può essere anche non-A. Invece in tutti gli aspetti primitivi il principio di non contraddizione non vale, per esempio l’odio e l’amore: una donna o un uomo ama e odia nello stesso momento, sono stata chiara?

Voci: Certo!

Pina Se noi teniamo conto di questo comprendiamo come sia difficile capirci collettivamente. Questo a proposito del linguaggio.

 

Pina A proposito della guerra, anche qui: la guerra rappresenta uno dei modi, fondamentalmente maschili, di esprimersi, no? Perché – ora parlo in termini psicologici - l’ho già detto mille volte – un uomo non crede alla morte …

Giovanna: è vero, non la vuole sentire!

Pina Poverino non lo sa! No, no! E’ nella sua natura! Si può cambiare? Modificare un po’, magari … Fa la guerra perché può non sa che deve morire… Fornari, un grande psicanalista diceva: un uomo non esce mai dall’utero, dunque non sa che muore. Non lo sa, non lo sa, non lo sa! E’ un modo di vivere. Punto.

E’ la differenza sostanziale tra maschile e femminile, ed è quello che dicevo… per cui basta tenerne conto.

E’ difficilissimo capirsi … l’aspetto psicologico, emotivo, antropologico … è ricchissimo poter parlare di tutto questo insieme, ma anche molto, molto difficile.

A proposito del matrimonio, ci sono molti linguaggi e molti aspetti intorno al matrimonio, appunto da quello civile a quello religioso … sino ad arrivare che secondo me, pensandoci, secondo me, l’affermazione “Il privato è politico” rappresenta la frase più conflittuale … come Creonte e Antigone… Come mettere d’accordo il politico che è Creonte con il privato che è Antigone? Come muoversi dentro la coppia Antigone e Creonte? E’ l’aspetto più filosofico, più antropologico, difficile …

Anna: Io stavo con Creonte, pensa un po’

Voci No! Cosa! Cosa? No! Creonte! Antigone!

Paola: Creonte! Anche Creonte aveva le sue ragioni!

Pina: La polis è Creonte! Siamo con tutte due! Siamo l’uno e l’altro!

Anna: Lo so che siamo l’uno e l’altro, però quando si gioca con chi sei, io stavo con Creonte.

Gloria: Questa difficoltà dei punti di vista e dei linguaggi differenti come la risolviamo però?

Pina La accettiamo!

Gloria: La accettiamo e chiuso.

Pina Basta saperlo! E’ Creonte e Antigone.

Gloria: Tu del matrimonio ne volevi parlare in termini antropologici, in termini psicologici, in termini emotivi, personali …

Anna: Noi sappiamo che le difficoltà sono molto grandi … Poi cosa vuol dire? Arriviamo dove? Non arriviamo! E’ il percorso.

Paola: Diceva Kavafis, il viaggio è quello che conta, non Itaca.

Anna: Posso dirvi solo una cosa? Fermi un attimo! Questa cosa, che è bellissima, la storia in piazza, ringraziamo per tutta la città... avrete sicuramente fatto caso che donne, pochissime…

Voce: Una!

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